Il successo di Vasco a Modena ha fatto bene a tutta la musica italiana. Perché il nuovo che avanza ha fallito, perché l’impianto della musica prodotta dai talent ci ha stufato.
La musica pop ormai è una finzione inghiottita dalla retorica televisiva. I talent show hanno ridotto la nascita autoriale in Italia come in tutto il resto del mondo a una Corrida dove l’unico metro di giudizio sono gli scampanellii fracassoni del pubblico e le spadellate con gli scampanacci. Introdurre il sacro fuoco della nascita della musica nell’impianto telecomunicativo ha portato a quello che in molti avevano predetto. La musica passa inesorabilmente in secondo piano vittima della sensazionalità e delle emozioni dopate da telenovelas.
La novità è che la gente si è stufata e i talent stanno “lucidando le maniglie sul Titanic” usando un’espressione di Tayler Durden in Fight Club, film che condanna e sbeffeggia le catene del mondo occidentale. Le catene che i produttori da ormai un decennio tentano di usare per imbrigliare un’arte che per definizione non è controllabile e veicolabile secondo dei canoni commerciali, almeno non per molto. L’idea dei talent è quella, produrre un pacchetto perfetto per determinati gusti ben mirati e venderlo arrivando addirittura a prevedere quanto e come un certo prodotto venderà, con attenzione ovviamente alla presentazione estetica del pacchetto.
Quindi vediamo molti artisti rap conciati come la gente si aspetta di vedere e sentire un’artista rap, e così quello pop e quello rock o country o qual si voglia. L’imprevedibilità non fattura, quindi viene messa al bando. Nei programmi talent ormai fanno più ascolti le puntate delle prove dove spesso e volentieri vengono sbeffeggiati artisti di minor se non nullo talento ma che hanno una resa comica, magari addirittura tragicomica. Il pianto isterico e la rissa valgono più dei versi e delle note.
Questa tendenza ha mandato ai matti personaggi dal nostro Red Ronnie al gigante internazionale Paul Mccartney concordi nel fatto che questa macchina incoraggia i futuri artisti a concentrarsi sulla resa vocale o sul guardaroba piuttosto che nello sviluppo di un linguaggio e di idee con il quale veicolarle, sicuri del fatto che qualcuno userà il loro timbro facendogli trovare bello che pronto dal testo e musica delle canzoni che comporranno il suo disco a date e tour. Tutto impacchettato, in un trampolino potentissimo che però ti lancia nel vuoto senza rete e senza motore, così da rappresentare nient’altro che un preludio ad una rovinosa caduta.
La perdita dell’ingenuità del mondo dei talent è rappresentata da una fila che ormai si fa corposa di trionfatori alle serate finali che poi si sono visti scaricare dai promoter, che adesso non vengono più riconosciuti per strada e che vedono i loro concerti vuoti. Si legge di concerti annullati dei più recenti musicisti usciti dai programmi musicali quali Elodie e Sergio Sylvestre mentre trionfatori indiscussi del passato come Giusi Ferreri, una che ha collezionato premi su premi per le vendite mastodontiche, è opinione comune che questa sua carriera sia stata solo una parentesi al suo lavoro da cassiera, come se questo fosse una cosa denigrante e soprattutto come se il successo donato da questi format sia effimero e destinato a scemare se non a fallire.
Questa ormai serpeggiante opinione che i talent non funzionino a riflettori dello studio televisivo spenti quando la musica dovrebbe veramente prendere piede e sostituire gli stacchi pubblicitari e le pantomime da intrattenimento, sta inducendo i telespettatori a perdere interesse con conseguente calo tremendo degli ascolti.
L’aspetto più grottesco di tutta questa faccenda è che l’aria fresca è stata portata da una rivincita della vecchia guardia, capitanata dal rocker Vasco Rossi, che con i suoi 225.000 paganti ha imbastito il concerto più grande che si sia visto, un evento storico che ha ridimensionato tutti i talent che con i loro artisti proposti non farebbero queste presenze live nemmeno se li sommassero.
Tutti i colleghi di Vasco si sono esposti pubblicamente per complimentarsi, da Ligabue a Piero Pelù, proprio perché questa è una vittoria di tutti loro. Di quelli che possono piacere o meno, amati o odiati, si sono costruiti una carriera con la gavetta, che hanno scritto le loro canzoni veicolando uno stato d’animo e delle emozioni vere, genuine. Questo è stato ripagato con questi grandi numeri. Non solo Vasco, ma anche Ligabue, Tiziano Ferro o Nek. Hanno tutti una storia di palchi costruiti con il sudore e la sofferenza. Le loro canzoni d’amore nascono da delusioni, opinioni, sofferenze che esistono e sono esistite e ancora vivono in quelle note. La rabbia è vera, vissuta. Si presentano sul palco, in radio o in televisione per come sono realmente e non per come qualcuno gli ha detto di essere. Siamo noi fan a decidere se ci piacciono o no, non siamo raggirati o costretti.
Questi artisti hanno un’evoluzione riconoscibile, sono come sono perché hanno passato quello che hanno passato, e in carriere decennali come quella di Vasco i suoi fan hanno passato le stesse cose con lui e lo hanno seguito senza mai abbandonarlo influenzando altri nella stessa generazione e in generazioni successive diventando un fenomeno esponenziale. La musica nuova becchetta come un pulcino sulla superficie di questo mondo gigantesco senza mai scalfirlo.
Rimane da chiedersi cosa sarà del sistema una volta che questa generazione di musicisti genuini scomparirà. Ci rimarranno band da usa e getta come quelle uscite dai talent e le schermaglie da parrucchiera dei rapper? Per ora Vasco ci ha defibrillato con i suoi 65 anni contro la morte di questi nuovi ventenni. Vale la pena investire sulla scienza e sulla clonazione, o forse sperare in qualche piega inaspettata dell’evoluzione. Non voglio lasciarvi con questo scenario apocalittico: qualcuno ipotizza un fenomeno di contrasto a questa nuova industria della musica da palinsesto. Gli artisti emergenti, consci del fatto di non avere praticamente nessun modo di emergere al di fuori dei format televisivi, magari si stanno concentrando maggiormente sulla musica. Su questo possiamo sempre contare, sulla voglia di fare parte del mondo musicale indipendentemente dal venderlo. Fino a che non arriverà il primo squalo esperto nel vendere accendini al diavolo.