Abbiamo incontrato il frontman nonché autore principale degli A Toys Orchestra, Enzo Moretto, per una chiacchierata sul loro ultimo disco, “Midnight Talks“, e su molto altro ancora.
Siete uno dei pochi gruppi italiani con cui è interessante parlare di composizione, è chiaro che la prima cosa che viene in mente ascoltando i vostri brani non è: “questa cosa è venuta fuori da un cazzeggio in sala prove”… mi raccontate qualcosa della genesi dei vostri brani?
Nonostante non ci sia un gran lavoro di ponderazione, c’è una sorta di ordine che si è creato nel tempo. Prassi comune è che io scriva le canzoni, quindi la stesura della melodia avviene nella mia stanza, la maggior parte delle volte col pianoforte o con la chitarra acustica. Dopodichè si valuta insieme invece, che strada far prendere a queste canzoni, come vestirle, se lasciarle più asciutte, se colorarle molto, si provano due o tre vesti diverse. Anche quando un pezzo resta solo chitarra e voce o piano e voce è sempre una scelta che facciamo insieme.
Parlando delle due vesti delle canzoni hai anticipato la seconda domanda: già i precedenti due dischi avevano degli arrangiamenti curatissimi, ma in “Midnight Talks” si avverte uno scarto maggiore, si nota un lavoro più consapevole: partendo dai suoni delle chitarre, per arrivare ai fiati (mai pomposi) e agli archi (mai smielati). Quando avete iniziato a lavorare con Enrico Gabrielli sull’arrangiamento, era così che avevate pensato il disco, era questa la piega che volevate fargli prendere?
Come ti dicevo prima, non siamo persone che ponderano molto su quello che succederà, cerchiamo di fare tutto passo per passo. Non ci eravamo veramente figurati il disco, avevamo capito alcune cose di questo disco, e sapevamo che lavorando in modo diverso sulle orchestrazioni tutto sarebbe stato stravolto. Quindi abbiamo lavorato passo dopo passo, anche con Enrico. Per prima cosa dovevamo capire se ci sarebbe stato il giusto entusiasmo, che facesse sì che lui si sentisse coinvolto almeno quanto noi. Una volta appurato ciò, non abbiamo voluto fare nessun provino nè preregistrazione, ci siamo visti in studio, a scatola chiusa, Rec acceso, ed è stata la prima volta che abbiamo interagito. Sapevamo che l’ingrediente giusto c’era, ed era l’entusiasmo.
“Midnight Talks”, per il lavoro sul suono e sulla varietà strumentale, a partire da canzoni già efficaci di loro, può ricordare, scomodiamo un mostro sacro, un disco come “Abbey Road”, ma più recentemente gli ultimi lavori dei Calexico o “Blinking Lights” degli Eels…Tra le vostre influenze, in che percentuale ha contato il passato e in che percentuale il presente?
In effetti noi non abbiamo mai voluto fare i revivalisti, i passatisti in tutto e per tutto, anche se abbiamo un saldo background sui gruppi che hanno fatto la storia del rock e del pop. Quei gruppi che tutti conoscono e amano li abbiamo rielaborati molto in forma moderna, con le suggestioni di adesso, io penso che i Toys siano una band moderna. Il fatto che non si possa definire i Toys come una band prog, una band hard rock, una band pop rock, una band electro significa appunto che noi abbiamo bisogno di mettere tutto insieme.
“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, cantava Gaber. Possiamo dire senz’altro che i Toys sono un gruppo esterofilo. Cosa canterebbero a riguardo?
Noi siamo italiani, non ci sentiamo italiani ma siamo europei. È un dato di fatto, siamo italiani ma siamo anche europei, per cui non stiamo scimmiottando nessuno, abbiamo l’opportunità di scegliere quale strada intraprendere, porci come italiani e come europei. Non mi sento italiano per un fatto più sociopolitico, etico e di costume, cosa che va di pari passo con il pensiero di Gaber. Per la musica invece potrei solo vantarmi di essere italiano, qui c’è una cultura musicale immensa, che ha fatto scuola: da Rabagliati degli anni ’30 fino a Battisti, ma anche i gruppi prog degli anno ’70 o i compositori di musica da film.
Un’ultima domanda a mo di giochino: sei l’organizzatore dell’Heineken Jammin Festival, hai budget illimitato. Chi sono i tuoi tre headliner?
Mi devi dare la garanzia che non ci saranno uragani, però! I primi che ti dico sono i Wilco (grande pallino del vostro umile intervistatore, su cui già avevo scambiato un paio di battute off-record con Enzo ndr), giusto perchè me li hai ricordati. Black Rebel Motorcycle Club, che mi piacciono un sacco, e poi uno tra MGMT e Arcade Fire… Avrei potuto anche sparare più in alto, Radiohead o Coldplay, ma direi che i tre sopra sono parecchio interessanti!
Grazie a Silvio Bernardi