Afterhours Padania presentato dalla band

Nella suggestiva cornice della Cascina Cuccagna di Milano, gli Afterhours hanno presentato la loro ultima fatica, “Padania“, che arriva a quattro anni dal precedente “I milanesi ammazzano il sabato” e a tre dal progetto-compilation “Il paese è reale”. Per questo disco, la band di Manuel Agnelli e soci ha optato per l’indipendenza, come spiega lo stesso cantante: “Il nostro non è stato un gesto di bandiera, non volevamo dire che le case discografiche non servono più. Ma in questo modo ci sentiamo più a nostro agio e in controllo del nostro lavoro. Anche da un punto di vista economico“. Insomma, gli After non vogliono certo indicare un percorso kamikaze alle nuove band: “Un gruppo emergente ha bisogno di una struttura alle spalle, di qualcuno che si occupi di tutta una serie di cose al posto suo. Noi ce lo potevamo permettere“. Insomma, gli veniva più comodo così. Punto. È cambiato anche il modo di lavorare: “Questa volta il grosso del disco lo abbiamo fatto a distanza. Quando si sta seduti nella stessa stanza, spesso si fa la cosa che funziona meglio subito. Che però non è necessariamente la cosa migliore“.

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In questi giorni di tribolazione per la Lega Nord, il titolo sembra quasi un ironico riferimento a recenti accadimenti. Ma “noi ci siamo limitati a usare una terra, la Padania, che peraltro nemmeno esiste, come una metafora di uno stato interiore dell’individuo. Le tensioni, il panico, l’odio… volevamo fare un concept album, però non da un punto di vista narrativo, bensì emozionale“. Chissà se Renzo Bossi apprezzerà – o sarà anche soltanto in grado di capire – il discorso. In ogni caso, tra brani più graffianti e altri più distesi, da “La tempesta è in arrivo” alla title track, il disco vuole, negli intenti della band, descrivere il Paese al di là dei consueti filtri televisivi e mediali: “Il musicista, secondo noi, deve raccontare quel che sente davvero la gente, che spesso è molto diverso da quello che ti viene detto in tv“. Ma se l’intento è comunicativo, il modo è sempre quello non troppo immediato che ha reso celebre gli Afterhours: “Vogliamo comunicare, sì, ma sempre utilizzando il nostro linguaggio. Quando invece ci siamo trovati a voler promuovere altri gruppi, allora ci siamo adattati ad andare dappertutto“. Anche in territori inaspettati. Il riferimento, ovviamente, è al progetto “Il paese è reale”, per il quale il gruppo ha accettato di “sporcarsi le mani” e salire sul palco del Festival di Sanremo. E oggi gli Afterhours se ne dicono soddisfatti: “Se non lo facevamo noi, chi lo faceva? Quando abbiamo iniziato e suonavamo nei centri sociali o nelle birrerie, non c’è stato nessuno che ha fatto lo stesso. Non Vasco, né i Litfiba. Invece per un musicista è un dovere, cercare di essere un punto di riferimento culturale“.

Marco Agustoni

 

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