Barmagrande la Libertà di distribuire gratis la propria musica

Lo spirito dei BarmaGrande è sempre stato quello di far entrare nella grande caverna ogni genere di musicisti, provenienti da diversi stili musicali, pur mantenendo come stile principale il reggae roots. Per il loro quinto album “Libertà” la scelta è stata quella di distribuire gratuitamente il frutto del proprio lavoro e della loro ricerca dell’identità è spirituale e sonora. Ecco come la band stessa spiega il proprio percorso.

Come mai la scelta di distribuire il disco sotto Creative Commons?
I tempi stanno cambiando, in parte sono già cambiati. Il mercato discografico in crisi non ha più spazi per far circolare nuova musica, bisogna trovare altre vie. Con Creative Commons abbiamo la possibilità di salvare le nostre opere gratuitamente, senza la burocrazia della siae, organismo ormai in completa decadenza, valido soltanto per chi è già radicato da anni in questo sistema, ma assolutamente inutile, anzi, dannoso per tutti gli altri. Oggi, la nostra idea è quella di far conoscere la nostra musica il più possibile, spendere il meno possibile almeno per quel che riguarda le faccende burocratiche e avere una distribuzione propria, almeno via internet. Sta a noi logicamente, il compito di ampliare la nostra visibilità sul web, ma almeno abbiamo la possibilità di distribuirla nei nostri canali senza ulteriori spese. Inoltre ci piaceva molto l’idea di distribuire gratis un disco che si chiama “Libertà”.

In cosa differisce il vostro quinto disco rispetto ai predecessori?
All’inizio musicavamo poesie in dialetto ligure, scritte da Renzo Villa, Isio Bono, Mario Saredi ecc. Non scrivevamo i testi e volevamo utilizzare delle belle parole, ben scritte e di significato. Poi col tempo abbiamo iniziato a scrivere i testi in italiano, francese, inglese. In questo ultimo album il lavoro è stato enorme, rispetto al passato: co-prodotto con Stephen Stewart, 3 anni di produzione, tanto lavoro e tanto investimento. Un viaggio in Jamaica per completarlo e tanti ospiti famosi: Queen Ifrica, Tony Rebel, Max Romeo, Freddie Mc Gregor, Cedric Myton, Bernard Satta Collins e tanti tanti altri.

Cosa pensate del Rastafarianesimo?
E’ una religione cristiana vegetariana. E’ fondata sul rispetto della vita, la scelta di non nuocere, di vivere in armonia con la natura, l’utilizzo della musica nyabinghi come terapia, delle erbe, della vita semplice, nello studio dei testi sacri. Molti vivono questa cultura in modo profondamente sincero, cercando di essere il più possibile di aiuto agli altri.

Quanto il Buddismo influenza il vostro approccio alla musica?
Il Buddhismo ci ha fatto venire voglia di fare un disco completamente diverso e migliore dei precedenti. Quando si decide di parlare di argomenti religiosi, spirituali, di alto valore morale, poi ci si preoccupa moltissimo di vedere realizzato il lavoro in maniera ineccepibile, in modo da dare dignità e valore al messaggio. I testi sono ispirati alle parole del Dalai Lama, del monaco Thich Nath Hann, dai testi buddisti e da problematiche sociali come l’emigrazione o la repressione del popolo tibetano da parte del governo cinese.

Avete alle spalle già diversi anni di carriera, qual è stato fino ad ora il vostro momento migliore? E quello peggiore?
Il momento migliore è senz’altro questo, aver realizzato un’opera come questa ci rende felici, abbiamo l’impressione di non avere perso tempo, di non avere sprecato la vita. Il momento peggiore è sempre questo, perché ci rendiamo conto che nonostante tutto, ci ritroviamo sempre senza lavoro e con un sacco di spese da affrontare. C’est la vie!

Come vivete l’attuale momento di profonda crisi economica e sociale (e culturale) che colpisce l’Europa e l’Italia?
La viviamo cercando delle scappatoie, cerchiamo di aguzzare l’ingegno, di trovare soluzioni. I concerti in Italia sono pieni di musica mediocre o inascoltabile. E’ triste constatare che tante persone si sono abituate al peggio. Un Mc Donald’s fatto di musica. La nostra speranza è di creare cultura, di accrescere l’interesse verso idee più sane e elevate, di far riflettere e far star bene attraverso la musica e le parole delle nostre canzoni. La crisi non apre certo le strade alle novità, nessuno sembra interessato ad occuparsi di gruppi nuovi, quindi ci ritroviamo bloccati, in cerca di lavoro, come tutti. Ci dicono che dobbiamo crearci visibilità, fare notizia, creare interesse, diventare famosi e dopo, solo dopo, potremo essere “venduti” come band per i concerti. E noi lavoriamo in questo senso. Con uffici stampa, social network, produzione di video, blog ecc. Qualcosa prima o poi succederà.

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