I Baustelle (assoluta libertà di pronuncia) nascono nella seconda metà degli anni novanta. Dall’esordio discografico nel 2000, per Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini di acqua ne è passata sotto i ponti: riconoscimenti, apprezzamenti da parte della critica e del pubblico, un nome che si è costruito una solida credibilità nel panorama musicale italiano. “I Mistici dell’Occidente”, titolo che ricorda certe frasi care a Franco Battiato, è il nuovissimo album della band, scritto in pochi mesi in una casa sul promontorio maremmano. Questo cd è anche il primo in cui Francesco Bianconi si è incaricato della produzione, al fianco del celebrato tecnico del suono irlandese Pat McCarthy, che già ha lavorato con R.E.M. e U2.
Iniziamo proprio da questa collaborazione, che avete in comune anche con una certa Madonna…
Pat McCarthy faceva parte di un elenco di persone con cui ci sarebbe piaciuto lavorare. Per noi, lui era la superstar, quello più difficilmente raggiungibile, e invece ha accettato di lavorare con noi. Si è dimostrato una bella persona, tranquilla, per niente superstar.
Francesco, tu che hai scritto i testi delle canzoni, perché definisci “I Mistici dell’Occidente” un disco non spirituale?
Può anche essere spirituale, ma nell’intenzione non è religioso. I mistici provano a credere che i modelli di vita proposti dalla società non siano gli unici possibili, e non scappano dalla realtà: anzi, con estremo coraggio prendono come unica missione la fede in Dio. Non c’è passività in loro. Quando in alcuni testi parliamo di ‘disprezzo’ per la realtà intendiamo dire di non dargli prezzo, o di non credere ai prezzi in vetrina.
C’è una riflessione ampia e anche complessa dietro questo album: da dove è nata?
Domande me ne faccio sempre, sull’esistenza in generale. Osservo a livello politico e sociale il mondo e mi interrogo. Nello specifico, ho letto un’antologia che si intitola proprio “I Mistici dell’Occidente”, e da cui sono nati gli spunti per le canzoni.
Ci fai qualche esempio?
Il brano “I Mistici dell’Occidente” prende spunto da alcune frasi scritte da Jacopone da Todi.
Francesco, tu hai scritto brani per Irene Grandi, Noemi e Paola Turci: è più difficile scrivere per altri piuttosto che per i Baustelle?
Molto più difficile. Se devo scrivere per un’interprete femminile, devo ‘vestirmi’ un po’ da donna, ed è proprio l’immedesimazione con chi canta che rende il lavoro più complesso. E’ chiaro che l’interprete deve essere credibile. Irene Grandi lo era quando cantava “Bruci la città”, e proprio quella canzone ha reso credibile “La cometa di Halley”, che ha un testo che osa un po’ di più.
I Baustelle se dovessero iniziare a suonare oggi, parteciperebbero a un talent show?
No. Non abbiamo niente contro, però è un problema quando a 16 anni pensi che per cantare l’unica via che hai è andare in tv a esibirti con delle cover.
Foto di Gianluca Moro
Francesca Binfaré