I Biffy Clyro adorano l’Italia. Sono passati a trovarci lo scorso luglio, durante l’I-Days Festival di Monza, e torneranno ancora il 20 ottobre per una nuova data a Firenze. Noi li abbiamo incontrati poco prima dello showcase acustico in occasione della rassegna “Incontri D Musica”, per una chiacchierata che ha approfondito la genesi di “Ellipsis”, l’ultima fatica in studio del trio scozzese, e l’incredibile varietà di stili e di ispirazione racchiusa in essa. E non solo.
“Ellipsis” è decisamente più breve di “Opposites” ma è molto più variegato. Ha un atteggiamento hip hop, che vi ha ispirato A$ap Rocky, ma ci sono anche eco reggae, country, addirittura qualche sprazzo di blast beat qua e là. Non solo l’inizio di un nuovo percorso, ma anche qualcosa di simile a una trasposizione del caos in musica.
Di base “Ellipsis” è una reazione agli album che abbiamo fatto in precedenza. “Opposites” era un album colossale, c’erano sì diversi elementi dentro, ma questa volta abbiamo deciso di superarci. Ci siamo imposti delle regole, le più importanti delle quali sono mai essere ripetitivi, cercare di fare progressi e uscire dalla comfort zone e metterci alla prova con qualcosa di più complesso. In studio abbiamo utilizzato elementi diversi rispetto a prima, e ci siamo concessi il lusso di intraprendere nuove direzioni. Hai citato A$ap Rocky, l’atteggiamento hip hop in “Ellipsis” è tutto lì da vedere. A volte il rock perde un po’ di attitude e si rischia di rimanere nei confini, magari emulando i grandi album del passato, ma noi abbiamo sentito il bisogno di andare oltre. Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, sappiamo solo che sarà diverso dal passato. Ci sono band che magari hanno avuto successo con un album e continuano a ripetere lo stesso sound nel tempo, per non deludere i fan, ma noi vogliamo fare di testa nostra.
Quindi, se “Ellipsis” è l’inizio di una nuova trilogia, cosa dobbiamo aspettarci per il vostro album numero 10?
Non ce l’ha mai chiesto nessuno! [Ride] Di sicuro continueremo a fare la musica che vogliamo, è tutto quello che sappiamo per il momento. Abbiamo sì delle linee guida, ma non ci piace attenerci a un piano preciso, cerchiamo di vivere alla giornata da questo punto di vista. Siamo una band rock, ma siamo aperti a nuove esperienze, magari con l’aiuto di nuovi strumenti, drum machine, tecnologie, sintetizzatori, roba moderna e interessante. Speriamo solo di fare al meglio i prossimi due album e completare questa nuova trilogia. Mentre registravamo “Ellipsis” non sapevamo cosa aspettarci, ogni mattina non riuscivamo a prevedere cosa avremmo fatto il pomeriggio stesso. Se riusciamo a mantenere il tutto interessante come per “Ellipsis” possiamo già ritenerci soddisfatti.
“Ellipsis” è un termine che può avere molteplici significati. Perché avete scelto proprio questa parola come titolo del nuovo disco?
Può significare sia omissione che pausa nel flusso di pensieri. Questo si rispecchia nella cover, in cui appaiamo tutti e tre come “ellissi umane”. Ci sembrava che fosse il titolo perfetto per rappresentare quella pausa, quel ricominciare da zero, rinascere sia come essere umani che come atteggiamento nel registrare nuova musica.
Il video di “Howl” è un misto tra Stanley Kubrick e David Lynch. Come mai avete deciso di omaggiare proprio questi registi?
In realtà non ci sono motivazioni particolari, volevamo semplicemente un video che rappresentasse bene la canzone, la sensazione che hai quando perdi per un po’ la ragione, passi attraverso un periodo di grandi cambiamenti e ti trasformi in qualcosa che non riconosci più. Siamo convinti di aver illustrato molto bene tutti questi elementi nel video. È stato anche molto divertente e spontaneo realizzarlo, ma la parte più difficile sono stati gli accenni di coreografie! “Howl” è una feel good song, che dovrebbe motivare a uscire dai momenti più cupi, di confusione.
L’amicizia è un elemento basilare nella vostra storia. “Wolves of Winter” è davvero rappresentativa del vostro legame, sia come band che come amici. Diciamo una specie di clan, interconnesso ora più che mai.
Sì assolutamente, il nostro rapporto sta diventando sempre più forte, abbiamo passato momenti difficili ma ci siamo sempre ritrovati ad affrontarli insieme, come band e come amici. Suoniamo insieme da un fottio di anni, ne abbiamo passate un po’ di tutti i colori, abbiamo perso tante persone care lungo la strada. Quindi, se si riesce a rimanere insieme proprio in questi momenti, se ne esce più forti che mai. Probabilmente se non ci fossimo trovati nella band non avremmo superato questi momenti difficili, o non in questo modo. Prima che “colleghi” siamo amici.
Tempo fa, parlando dei gusti musicali del pubblico e della vostra evoluzione, avete dichiarato di non essere una band affidabile. In che senso?
Di base non vogliamo che la gente pensi, “ah, i Biffy Clyro, sì, mi piaciucchiano”, vogliamo suscitare emozioni forti e anche contrastanti, perché no. Non ci piacciono le vie di mezzo. Capiamo benissimo che ad alcune persone non piacciamo, ma di certo non ce la prendiamo, perché abbiamo tutti gusti diversi. Forse quando eravamo più giovani la nostra reazione sarebbe stata “non ci capisci proprio per niente”. Ma adesso pensiamo “non siamo di tuo gradimento, va bene”. Vogliamo solo fare musica che ci piace e che ci renda felici. Sapere che anche altri possano avere questa sensazione e canticchiare le nostre canzoni sotto la doccia ci rende davvero orgogliosi.
C’è qualche artista in particolare con cui vorreste collaborare in futuro?
Il primo nome che ci viene in mente è ovviamente Mark Kozelek (Red House Painters e Sun Kil Moon). Siamo suoi fan da una vita. Le sue melodie e i suoi testi ti arrivano dritti al cuore, ci piacerebbe davvero che cantasse una delle nostre canzoni un giorno, o che cantasse con noi addirittura, sarebbe un sogno. In realtà, anche se è un’utopia, ci piacerebbe lavorare con tutti gli artisti che ammiriamo.
La vostra fanbase italiana è davvero agguerrita. Come si spiega secondo voi questo successo e questo calore?
Forse perché gli scozzesi sotto molto punti di vista sono simili agli italiani e viceversa, parliamo molto veloce, ci piace divertirci e siamo ospitali, siamo anche popoli molto appassionati in quello che facciamo. In qualche modo scriviamo nella vostra stessa lingua, toccando argomenti che ci accomunano. Siamo davvero felici di queste somiglianze e ovviamente siamo grati per il nostro successo. È pazzesco quando andiamo all’estero e la gente canta a memoria le nostre canzoni, anche se magari non conosce l’inglese. È un’esperienza magica per noi. Adoriamo suonare dal vivo in generale, ma soprattutto qui. Ci piace stare in studio di registrazione, ma non esiste nulla di neanche minimamente eccitante quanto stare su un palco e comunicare con il pubblico, sentire quella passione di cui parlavamo prima. Uno dei nostri show migliori in Italia è stato l’I-Days Festival a Monza di quest’anno. Si moriva di caldo, ma la passione e l’energia del pubblico compensavano la fatica, ci sembrava quasi di essere in Scozia.