C’è una nuova strada da percorrere per il Black Beat Movement. Il gruppo milanese fa i conti con il suo “Radio Mantra”, quarto album di studio disponibile dal 16 marzo in digital e supporto fisico. Emozioni mai provate per la band che ha scelto di sposare i suoni del futuro con l’ultimo disco, piena rappresentazione della maturazione raggiunta sia dalla formazione meneghina sia dal proprio percorso di crescita artistica. Noi di MusicAttitude li abbiamo raggiunti per un’intervista, e qui di seguito vi proponiamo ciò che ci siamo detti nella nostra chiacchierata.
Quando avete iniziato a capire che stava prendendo forma un grande album come “Radio Mantra”?
La creazione di Radio Mantra è avvenuta in un periodo in cui è venuto a mancare l’equilibrio. Le prime sessioni in studio risalgono a fine 2016, ma capimmo subito che non era il momento giusto e che avremmo dovuto aspettare. È seguito un periodo di blocco creativo e poi siamo esplosi nell’autunno 2017. Abbiamo iniziato a produrre, scrivere, ritoccare il lavoro già registrato e fare altre sessioni di registrazione. Il materiale lo abbiamo poi portato in mix e finalizzato. C’è stato un momento durante l’ultimissima sessione di mix in cui Marco Olivi, il nostro sound engineer, ci ha guardato e ci ha detto ‘ragazzi questo album è una bomba, so che adesso avete le orecchie piene e siete stanchissimi ma fidatevi di quello che vi dico’. A quanto pare la gente sembra apprezzare e lui aveva ragione!
Quanto vi rappresenta questo disco rispetto a quelli che avete ormai alle spalle?
Sicuramente è il disco che ci rappresenta di più. Già con Love Manifesto eravamo arrivati a un’idea di sound in cui ci ritrovavamo ma con Radio Mantra abbiamo capito la vera direzione che volevamo prendere.
Con “Radio Mantra” raggiungete un nuovo traguardo e presentate un disco che si pone già come rivelazione. Ma fino a dove vuole spingersi il Black Beat Movement?
Non sappiamo dove vogliamo spingerci, ci piace pensare che questo progetto sia il posto dove possiamo metter dentro tutti noi stessi, senza compromessi artistici e promozionali, senza paranoie da mercato o cose simili, e tutto questo rende il nostro percorso, anche futuro, totalmente indecifrabile. La passione, l’attitudine con cui cerchiamo di fare il nostro lavoro, l’idea della musica come spazio sociale sono invece i punti fermi e la guida, anche quando il percorso sembra duro e in salita; la prossima fermata non la conosciamo ma sappiamo cosa abbiamo nel nostro zaino!
“Edera” è il primo brano in italiano mai realizzato. Da cosa nasce questa esigenza e perché arriva proprio in questo momento storico?
Era da un po’ di tempo che avevamo intenzione di provare a sperimentare l’italiano. È arrivato nel momento in cui doveva arrivare, all’interno di un album maturo in cui potevamo permetterci di lanciarci a occhi chiusi in qualcosa di nuovo senza aver la paranoia di sbagliare!
Sempre per “Edera” avete scelto la collaborazione di un altro grande artista come Ghemon. Perché questa scelta e quanto una voce così particolare si addice a un brano così importante?
Con Ghemon si parlava di una collaborazione già da un po’ di tempo. Condividendo gli stessi gusti musicali e in particolare la stessa passione per la black music appena abbiamo deciso di realizzare un brano in italiano abbiamo subito pensato a lui come feat. perché ci piace molto il suo modo di scrivere.
Oltre a Ghemon, nel vostro ultimo disco ci sono sia Roy Paci che i Technoir. Il primo, appena atterrato dell’ottovolante Sanremo, ha scelto di sposare un progetto ambizioso. Il duo invece crea un mix che sembra disegnato su misura per “Woman”. Quanto contano le scelte delle collaborazioni per i vostri brani?
Quando scegliamo di collaborare con un artista è perché abbiamo condiviso qualcosa insieme. Tutti i feat. che abbiamo realizzato, anche quelli presenti negli album precedenti, sono stati fatti perché c’è una profonda stima artistica e anche umana. Roy è un artista incredibile con un suono inconfondibile e una carriera internazionale, per noi è stato un onore averlo in Lagoon. Mentre i Technoir riteniamo che siano uno dei progetti di electro/future soul più interessanti che ci siano in Italia.
Dallo Sziget Festival di Budapest a Parigi, toccando poi gran parte d’Italia. Molti palcoscenici alle spalle: davanti a quale pubblico sogna di arrivare il Black Beat Movement?
Veramente un sacco di palchi alla spalle… la nostra attività live è davvero densa, parliamo di trecento live all’incirca. Ci piacerebbe suonare in festival europei grossi oppure riuscire a prendere, presto o tardi, un volo intercontinentale e portare la nostra musica lontano!
Chiudiamo con una domanda che racchiude tutta la carriera, dal primo all’ultimo singolo realizzato. A quale album siete più legati e qual è il disco che sognate di realizzare?
Siamo in sette e ognuno potrebbe darti una risposta diversa ma credo che saremmo tutti d’accordo nel dirti che il nostro lavoro a cui teniamo di più è il primo Ep che abbiamo realizzato, ‘Black Beat Movement’. Una bustina in cartoncino nero con solo il nostro logo stampato sopra con all’interno i cinque brani che sono stati l’inizio di tutto.