Quando avete iniziato a comporre “At The Edge Of Time”?
Andrè: Stavolta è stato diverso dal solito in quanto iniziammo subito dopo il tour promozionale di “A Twist In The Myth”: ci chiesero di fare un pezzo per il videogame “Sacred 2”, Marcus e io eravamo grandi fan della serie e quindi accettammo. Non avevamo molta energia fisica residua, ma eravamo ancora concentrati mentalmente perché appena usciti dalla realtà di un tour. Questa energia è stata usata per creare il pezzo per “Sacred”. Non avevamo nessuna pressione addosso perché sapevamo che il brano sarebbe finito su un gioco e non su un nostro disco; una volta terminato il pezzo la stanchezza era sparita e da lì in poi è stato molto facile, siamo riusciti a trovare da subito molte idee per un nuovo disco, in un certo senso il flusso di creatività non si è mai interrotto. È stata la partenza perfetta: dopo aver messo giù varie proposte interessanti ci siamo sentiti di fare finalmente una pausa prima di andare in studio, e questo ci ha tolto ulteriore pressione di dosso perché sapevamo già di avere qualcosa di pronto per le mani, non potevamo credere alla nostra fortuna! (risate)
Hansi: non avevamo una scadenza, abbiamo fatto un po’ di preproduzione solo quando ne abbiamo sentito il bisogno, in un certo senso abbiamo registrato l’album a pezzi: nel 2007 avevamo già due canzoni, altre tre nel 2008 e le ultime nel 2009. La produzione finale è andata da ottobre 2009 allo scorso aprile, quando ci siamo accorti che non potevamo aggiungere null’altro ai pezzi scritti.
Una piccola battuta, a proposito del vostro ritmo di uscite discografiche: sbaglio o ve la prendete sempre comoda, visto che la media si è ormai assestata su un disco ogni 4 anni?
H: siamo molto critici verso noi stessi, non è che ce la prendiamo comoda, la realtà è dobbiamo reinventarci ogni volta, o comunque creare pezzi sempre validi; vogliamo dare all’ascoltatore un disco di 9-10 brani senza nessun filler. Abbiamo imparato a convivere con le nostre tempistiche, che riteniamo commisurate per quello che è il risultato finale.
Visto che mi parli di lavoro accurato, qual è la percentuale di parti che scrivete che finiscono realmente sul disco?
A: spesso non superano il 30-40%. È molto bassa, ma è qualcosa di cui noi tutti siamo molto soddisfatti e soprattutto concordi della sua validità. Ciò che scartiamo non è quasi mai nemmeno riciclabile perché ben poche parti possono andare a creare una nuova canzone quando sono state pensate per un brano con velocità, ritmo e sensazioni diverse. Può succedere il contrario se vediamo del potenziale ma è molto raro, devono essere 3-4 parti unite, altrimenti se non è abbastanza consistente non c’è possibilità di sfruttarla in una seconda occasione.
H: è un metodo di lavoro molto faticoso, ma mi piace perché lascia sempre ogni pezzo aperto e modificabile fino all’ultimo; a volte lavoriamo su un pezzo per sei settimane senza avere un ritornello adatto, poi troviamo il ritornello giusto ma non si incastra bene col resto, e allora devi ripensare a tutto.
A: altro fattore importante per questo metodo è il dialogo che viene a crearsi tra me e Hansi: io ho continuamente bisogno di idee e spunti sulle linee vocali quando sto componendo, altrimenti tutte le parti strumentali mi annoierebbero a morte e non riuscirei a capire se sto procedendo nella direzione giusta, mantenendo il pezzo interessante, oppure se sto sbagliando tutto.
Ripensando a come lavoravate dieci anni fa, come è cambiato il vostro modo di concepire e creare musica?
H: la tecnologia ha giocato un grande ruolo, più di ogni altra cosa. Posso dire che dieci anni fa lavoravamo già con strumenti per la registrazione validi, ma sembra comunque la preistoria rispetto ad adesso; io avevo un 24 tracce analogico, Andrè lavorava con un computer, però dovevamo vederci di persona in studio, o spedirci per posta le parti fatte; adesso basta usare AudioLogic e caricare tutto su un server senza avere tempi morti.
A: ora è tutto più efficiente, non perdiamo più tempo, basti pensare alle ore perse per guidare fino allo studio anche solo per provare una parte in modo diverso; ora investo quelle ore a suonare a casa mia. E a pensarci una volta era ancora peggio, lavoravamo su un 16 tracce, e se volevi provare a sentire come un pezzo sarebbe suonato senza una parte dovevi riregistrare l’intera canzone! Per cambiare una singola parte dovevo lavorare tutta la notte, ora bastano 5 minuti! Adesso quindi possiamo fare molto di più in meno tempo e questo ha drasticamente aumentato la nostra qualità.
H: anni fa io e lui vivevamo nello stesso posto, solo che io lavoravo di giorno, lui di notte e la cosa a volte risultava faticosa, adesso non so nemmeno se sta lavorando, ognuno può fare quello che vuole senza disturbare gli altri o essere disturbato.
Il metal tedesco ha due pietre miliari: “Nightfall” e i “Keeper”. Come vi relazionate con simile fardello quando scrivete un nuovo disco?
A: questa è solo la tua prospettiva, per ogni disco troverai un gruppo di fan che lo ritiene il suo preferito, c’è chi sceglie “Imaginations” e iniziano a trovarsi anche fan che dicono “A Night At The Opera”, quindi non direi che “Nightfall” mi crea pressione; con “Nightfall” abbiamo visto la fanbase aumentare di molto, ma è un altro discorso, nei limiti del possibile quello che cerco di fare è di creare una pietra miliare dopo l’altra, o perlomeno dischi che ottengano comunque un buon riscontro.
H: in generale non sento pressione, non perché è una routine, ma perché è uno scorrere fluido che va da un disco all’altro. Dopo “Nightfall” non c’era pressione ma fummo costretti a definirci più fortemente di ogni altra volta, avevamo bisogno di nuovi elementi per creare una nuova era dei Blind Guardian. Credo che con “Opera” questo sia riuscito, anche se ricordo di aver sentito lo stress maggiormente. Nighfall in un modo è stata una pietra miliare perché ci ha costretto a cambiare qualcosa di noi come band.
Il problema di gruppi con una forte connotazione come voi è che è difficile trovare nuove idee per un nuovo disco senza deviare dall’immaginario in cui siete ancorati, potrei fare lo stesso ragionamento con gruppi come Slayer o Iron Maiden…cosa ne pensate?
H: penso che abbiamo fan molto tolleranti, molto aperti, e quindi ci sentiamo più liberi di provare diverse direzioni nel nostro stile, basti pensare alla recente “Fly”, o alla nuova “A Voice In The Dark”. C’è lo zoccolo duro che vorrebbe che suonassimo ancora come 20 anni fa, ma per fortuna c’è chi apprezza se facciamo qualcosa di diverso o di inconsueto. Insomma, non lo trovo troppo limitante.
Avete mai pensato di comporre una colonna sonora per un film? Vi piacerebbe?
A: sarebbe molto bello, se qualcuno fosse interessato e me lo chiedesse personalmente non mi tirerei indietro. Anche il nuovo disco possiede dei pezzi molto visuali, adatti al grande schermo. Sarebbe sicuramente una bella sfida, prendendo i ritmi già prefissati della trama e unirli a musiche adatte, ma credo che potremmo farcela.
Vorrei qualche rassicurazione riguardo alle vostre scalette…nel passato tour avete proposto pochi pezzi antecedenti a “Imaginations”, mi riferisco ripensando alla data di Milano.
H: è stato solo un caso, in quel tour abbiamo suonato svariati pezzi vecchi, anche se magari non più di tre o quattro per setlist. Di solito nei limiti del possibile cerchiamo di fare almeno un pezzo da ogni disco; richieste come la tua sono frequenti, ma considera che se suonassimo più spesso brani storici come “Wizard’s Crown” o “Damned For All Time” solo una piccola percentuale del pubblico sarebbe interessata, gli altri non avrebbero lo stesso coinvolgimento, quindi bisogna sempre cercare il giusto compromesso.
A: nel tour che verrà abbiamo in programma svariate sorprese, ci siamo esercitati con ben 43 pezzi, e quindi possiamo fare tre scalette totalmente diverse; ci sono molte perle nascoste nel mezzo. Ogni notte cambieremo qualcosa, quindi non saprai mai cosa aspettarti!
Come è stato non avere più Thomen dietro le pelli durante le vostre performance dal vivo degli ultimi anni?
H: può sembrare rude e brutto da dire, ma a parte certi momenti di svago non ci è pesato più di tanto. In sede live Frederik ha il grande vantaggio di essere il conduttore di tutti noi, quindi se io perdo il tempo mi riporta sui binari giusti.
A: Frederik non protesta mai, è sempre in condizione perfetta, e se vogliamo fare tre pezzi veloci di fila per lui non c’è nessun problema, anzi magari mette il doppio pedale anche dove non si era mai sentito prima; del resto è giovane, ci ucciderebbe con la sua velocità se volesse! (risate)
H: purtroppo questa situazione non è dipesa da noi, è stata una scelta di Thomen andarsene e noi abbiamo trovato la soluzione migliore che potessimo sperare.
Nicolò Barovier