In occasione della mostra “Stormtroopers In Stilettos”, prima iniziativa volta a celebrare il compleanno della band e della ristampa dei primi cinque dischi, abbiamo avuto l’onore di incontrare Brian May e Roger Taylor all’interno dei celeberrimi Trident Studios di Londra, quelli dove venne registrato il loro primo album, ma soprattutto “Bohemian Rhapasody”, forse il brano più celebre della Regina.
Ciao Brian, come ti sei sentito ieri sera guardando le foto e le memorabilia presenti alla mostra? Conoscevi già tutto il materiale esposto?
Entrare alla mostra e trovarsi di fronte a tutte quelle foto devo ammettere che mi ha davvero emozionato. Molte cose le conoscevo, visto che provengono dalla mia collezione privata…Le vere emozioni le ho provate nel vedere foto inedite o di cui avevo perso il ricordo. In particolare una foto rarissima scattata durante le session di “A Day At The Races”, che mi ha riportato in una frazione di secondo indietro di trentacinque anni. La cosa più emozionante, e allo stesso tempo dolorosa, è stata però rivedere persone che oggi non ci sono più e non mi riferisco solo a Freddie. Anche il fatto di vederle insieme a mia moglie mi ha emozionato, anche perché lei non ha vissuto quel periodo al mio fianco e fa impressione pensare a quanto fossi giovane e a quanto ora non lo sia più (ride). Poi, se ci pensate, queste celebrazioni di solito si fanno per i morti, quindi sia io che Roger abbiamo avuto qualche difficoltà. Vuol dire che ormai siamo da museo.
La mostra è stata accompagnata da un party, un classico per i Queen…
Sì il party mi ha aiutato a riprendermi un po’ dal turbinio di emozioni delle stanze a tema della mostra. Eravamo in compagnia di amici (Foo Fighters, Ron Wood, Mika…ndr), c’era da bere e tutto il resto. Un giornalista mi ha chiesto cosa provavo ad essere lì senza Freddie e la prima cosa che ho saputo rispondergli è stata che provavo una grossa rabbia e che mi aspettavo potesse comparire da un momento all’altro al centro della festa.
Quanto è cambiato il tuo modo di comporre durante questi quarant’anni? E dopo la morte di Freddie?
Ad essere sincero non mi sono mai considerato un compositore classico, nel senso che non mi sono mai messo la mattina con un foglio di fronte dicendomi: “ora devo tirare fuori qualcosa di buono”. Sono un songwriter atipico, che vive di sprazzi, di intuizioni che cerco di fermare e mettere giù prima che svaniscono. In ogni caso non ho mai forzato il processo, anche in momenti di minor ispirazione e sostanzialmente non ho cambiato di una virgola l’approccio alla composizione durante gli anni. Certo, alcune canzoni risentono inevitabilmente dei periodi che ho vissuto, ma credo sia naturale.
Ho sempre pensato che “The Prophet’s Song” fosse la tua personale Bo Rhap…Che cosa ne pensi?
Sono lusingato dalla tua osservazione, è un grande complimento per me. Ho sempre amato moltissimo quel pezzo ed in un certo senso, ora che mi ci fai pensare, le strutture dei pezzi effettivamente si assomigliano…Di certo una canzone molto epica e di cui si è forse parlato poco. Il brano non fu comunque frutto del genio o delle mie doti di compositore, ma di un bruttissimo sogno che feci in quel periodo!
Quanto è stato difficile continuare a suonare dopo la morte di Freddie e quando ti è tornata la voglia di tornare on stage come Queen?
Quando Freddie morì pensavo la partita fosse finita. In principio anche solo l’idea di andare avanti non mi passava nemmeno per la testa e non volevo si parlasse di me come membro dei Queen. Avevo un vero e proprio rifiuto nel confronto del mio passato. Poi decisi di proseguire da solo, sia in studio che in tour. Dopo un po’ di anni, ma soprattutto dopo aver metabolizzato la cosa, ci rendemmo conto che non potevamo parlare da ex membri dei Queen, perché lo eravamo ancora! Inoltre le manifestazioni d’affetto continue, il musical che da subito diede risposte eclatanti e la voglia di tornare a suonare insieme ha fatto il resto…
E magari anche Paul Rodgers…
Certamente. L’avventura con Paul è finita e di sicuro non avrà un seguito, ma l’incontro da cui nacque l’idea di collaborare portò una ventata di entusiasmo pazzesco e per molti versi possiamo parlare di un grande successo (soprattutto live…ndr) . Il segreto per cui i tour insieme hanno funzionato è stato proprio che Paul non aveva alcuna intenzione di essere Freddie o di sostituirlo, ma semplicemente di reinterpretare parte della nostra storia.
Tornerete in tour quest’anno per celebrare i vostri quarant’anni o in occasione dell’anniversario della morte di Freddie?
Penso che faremo un concerto insieme ad una serie di amici, che si alterneranno alla voce e ricorderanno Freddie insieme a noi. Un po’ come nel ’92, ma in un altro contesto, molto più raccolto e molto probabilmente per la BBC. Non abbiamo ancora niente di preciso in mente, ma solo un’idea del progetto. Ad essere sincero non sento un bisogno immediato di suonare a nome Queen, se capiterà l’occasione più che volentieri, ma niente progetti a lungo termine.
Luca Garrò