Mi chiamo Dave, e sono un maledetto metallaro, di quelli duri, inossidabili e cazzuti. Più di cinquant’anni, vado quasi verso la sessantina; ne ho fatte di cose, alcune non proprio edificanti, eppure eccomi qua, capelli lunghi come quando ero ventenne, birra in mano, in piedi, in cima al mondo, ancora. Mi guardo allo specchio e vedo il viso di un uomo stanco, al posto di quello di un giovane ribelle, incazzato con il mondo; vedo le cicatrici lasciate da una vita sempre sull’acceleratore, fregandomene e lottando sempre, contro tutto e tutti. Ma non è cambiato quel mio sguardo, quella scintilla che divampa, lo so e lo vedo. Il ragazzo che mi intervista mi guarda sorridendo: per lui sono un mito, si vede, ma non fa il timido, mi guarda in faccia, senza soggezione. Forte. Gli offro una birra.
Mi chiede un po’ di cose sulla mia vita, sulla carriera, sul passato e su come mi sento. Niente domande su come va il tour, il disco, mi chiede di me, soprattutto mi chiede come mi sento. Bella domanda…come mi sento? Fortunato, accidenti; sono invecchiato, ma sono fortunato. Penso a quello che accade, nel mio ambiente, a molti altri artisti, che, ancora giovani, arrivano all’apice della carriera e si sentono frustrati, stressati. Come fai a sentirti frustrato quando hai venticinque anni? Come fai, quando sei famoso e fai questo lavoro? Devi essere pazzo! Mi viene da ridere; fammi bere un goccio. Voglio dire, c’è gente che fa lavori più duri, in ombra, per trenta, quarant’anni… loro, quindi, cosa dovrebbero fare? No, non scherziamo: quelli come me sono fortunati, altroché!
Il mondo è pazzo, me ne sono accorto tantissimi anni fa: lo odiavo, questo mondo, ne ho parlato in continuazione, mai bene, mai sottovoce, tutt’altro. Ho tirato fuori ogni aspetto lercio e nauseante di questa palla di fango, l’ho presa a frustate a suon di riff per decenni. Ho spogliato la società dalle vesti eleganti e sfarzose dell’ipocrisia e ho messo a nudo il loro aspetto avido e spietato. È tutto folle: questi maledetti giochi di potere, queste guerre innescate solo per far cassa… diavolo se ne ho parlato, se ne parlo ancora. Anche questo forse mi ha appesantito, negli anni.
Un mondo folle, l’ho letto, l’ho studiato, nei libri. Ho appreso tanto, di come le cose siano cambiate, pur rimanendo molto simili. Oggi girano tutti con il telefonino connesso qua e là; è comodo, sì, se vuoi sentire un amico lontano. È forte vedere che puoi mostrare agli amici e ai fan dove sei, cosa fai, anche quando sei per conto tuo, però mi preoccupa: vedo questi frustrati, che sfogano sui social la propria rabbia, le proprie insoddisfazioni e il proprio odio, e trovano terreno fertile. È più facile cercarsi, riunirsi e incitarsi a vicenda contro qualcuno, nutrire le intolleranze… blablabla inutili, deleteri e pericolosi… il mondo sta impazzendo, sì, e fa paura. Mi bevo un altro sorso di birra.
Certo che ne ho fatti di dischi. Ci penso, e mi piacciono, tutti, sì. Ho sempre fatto ciò che volevo, me ne sono sempre infischiato dei giudizi, e ho mantenuto inalterato lo stile. Ho parlato nel modo che preferivo, anche se non è facile: il mondo ti chiede cose diverse, man mano che cambia, e poi è capace di dire che non sei lo stesso, che “sei invecchiato”, se fai cose diverse. Io sarò invecchiato, ma non sono cambiato! Faccio la mia musica, brani diversi, stesso stile. Sono sempre io.
L’italia è bella, mi piace: è ricca di cultura e di arte. Stasera suoniamo qui a Milano. Voglio scassare tutto! C’è un sacco di gente fuori che aspetta, così mi dice il ragazzo, seduto qui con me: tutti entusiasti, impazienti. Sarà uno spettacolo tosto, sono gasato, siamo tutti presi benissimo e ci stiamo divertendo, ed è figo essere qui. Mi si chiede se non abbia pensato di fare qualche cosa con altri artisti, magari d’altro genere. Fare qualcosa di diverso. No, non mi interessa: ho i Megadeth, cosa posso chiedere d’altro? Suono la mia musica, insieme a gente che la sa lunga, accolto dai fan come un dio… è perfetto!
Certo però che è stancante, anche se divertente. Sono in ballo da un bel po’ con questo tour, di corsa, non ci si ferma mai un momento. Sono stanco, ma sto bene. Il braccio va alla grande: me lo ricordo ancora, quando mi sono fatto male. Lo ricordo come se fosse ieri: il Texas, quel medico che mi osserva, mentre io impreco a denti stretti dal dolore, e lui che mi dice che non avrei più suonato. Scherzi? Con chi credi di avere a che fare, doc?! Te lo faccio vedere io se non riesco più a suonare! Andiamo da uno che ne capisce sul serio, forza! Sì, sembra ieri, ogni maledetto giorno, tutti quei fottuti mesi, uno dietro l’altro… li ho impressi in testa, quasi ne sento il dolore ancora oggi, ma sono qui, e suono ancora; diavolo se suono!
Il ragazzo ha finito, raccoglie le sue cose e se ne va, mi saluta e mi dice “in bocca al lupo”. Gli sorrido, gli do una pacca sulla spalla e facciamo un ultimo brindisi con le bottiglie di bionda. Un ultimo sorso, poi si va: stasera si demolisce Milano!