Davide Tedesco ha pubblicato il suo primo lavoro discografico da solista. Unconventionalspaces è un viaggio della coscienza all’interno di spazi, appunto, non convenzionali. Ma anche molto altro. Ecco cosa ci ha raccontato l’artista.
Quanto tempo ha richiesto la realizzazione e la registrazione di Unconventionalspaces?
La fase di realizzazione in se, si è compiuta in 9 mesi circa. Dopodiché abbiamo deciso che sarebbe uscito negli stessi giorni in cui, un anno prima, era avvenuta la registrazione. Questo soprattutto perché UCS racchiude molte atmosfere dal sapore invernale. Quanto alla registrazione, è avvenuta lungo 5 giorni con riprese quasi ininterrotte in una location che rispecchiava le nostre esigenze tecniche ed emotive. E l’ abbiamo trovata a Varenna, presso Villa Venini.
Quali tematiche tratti nel nuovo album? A quali brani sei maggiormente legato?
L’album è sostenuto da un unico tema principale, cioè la possibilità di fare esperienze al di la delle proprie aspettative e dei propri schemi mentali. E’ proprio a questo che si riferisce Unconventionalspaces, spazi dell’esperienza non convenzionali. Un viaggio multidimensionale della coscienza, che attraversa la vita lasciandosi meravigliare dalle cose senza discriminazioni, per andare incontro ad un senso profondo delle cose. Tra i brani che ho a cuore ci sono “I have promises to keep and miles to go before I sleep” ed “Exposed to the Universe”, poiché entrambi racchiudono il tema del disco muovendosi tra atmosfere terrene ed altre più eteree.
Oltre al fatto che questo è il tuo primo vero lavoro discografico come solista, quali sono le principali differenze tra questo disco e i lavori precedenti su cui hai suonato?
Sicuramente, la completa libertà di poter approfondire diversi aspetti dell’atto musicale e della mia personale ricerca. Ad esempio, nel disco ho affiancato brani che hanno caratteri e sapori totalmente diversi che rispecchiano il mio desiderio di far musica al di là di generi e pratiche musicali, tanto che in alcuni frammenti l’espressione del suono è al limite tra ciò che si può considerare bello ed il brutto. Mentre in lavori precedenti la direzione musicale era definita entro certi parametri, sicuramente “aperti”, ma necessariamente limitanti.
Hai già diverse esperienze alle spalle, quale collaborazione ha contribuito maggiormente a formarti come musicista?
Per quanto sia ovvio, tengo molto a sottolineare che ogni incontro ha seminato qualcosa di prezioso, utile ad elaborare il mio percorso. Ad ogni modo le esperienze più intense sono quelle avvenute con i compagni di viaggio, tra i quali ricordo coloro con cui sono nati progetti longevi e parlo di Simone Massaron e Carlo Garofalo (Tip Toe trio), Alberto Turra (International Troubadours), Daniele Parziani e Manuel Buda (NefEsh trio).
Come vedi la situazione del mercato discografico attuale? Che prospettive ci sono per chi vuole (continuare a provare a) vivere di musica?
Domandone… Quando mi trovo a girovagare sul web, mi stupisco spesso di quante case discografiche esistano. Oltretutto sono tante le cose belle. Questo mi sembra il segno di una comune volontà a creare proposte che sembra non avere fine. Tuttavia, pensando alle mie esperienze e quelle altrui, ciò che fa la differenza sono l’impegno e la volontà degli stessi musicisti. Mi spiego. Spesso siamo noi stessi ad investire sul nostro operato (sotto tutti i punti di vista…) attraverso il canale discografico, che diventa un’alleato ma di certo non risolve la questione del “campare di musica”. Vivere di musica si può ma è importante capire come fare. Le possibilità sono diverse e ognuno di noi deve trovare le proprie modalità. Quindi, penso che che le prospettive vadano create.