DDG: “Con la mia musica cerco nuove forme espressive”

DDG, sigla dietro alla quale si cela Davide De Gregorio, compositore, musicista e cantante, è un progetto dal respiro internazionale che tende alla sintesi di svariate forme e tradizioni musicali, avendo come obiettivo principale quello di unire uomini e popoli attraverso un nuovo linguaggio sonoro. Ecco cosa ci ha detto Davide stesso a proposito del singolo “Dig It” e dell’album di debutto, che uscirà in autunno.

Da dove nasce l’idea per un progetto di così ampio respiro e rivolto alla world music in modo così preponderante?
La world music, come genere musicale in senso canonico, non mi interessa in maniera “esclusiva”, come d’altro canto qualsiasi altro genere, dal rock al blues, al jazz, al funk.
La mia musica non appartiene ad un genere specifico, ma piuttosto tende alla ricerca di una nuova forma espressiva.
Ho scelto, come primo passo in tal senso, la strada del “mio personale vocabolario globale”: ogni giorno mi capita di imparare parole nuove di qualsiasi lingua del mondo, attraverso viaggi, incontri, ricerche e, considerando tutte le parole potenzialmente come musica, le uso associandole alle melodie che scrivo ed alla loro “naturale musicalità”.
Uso dunque varie lingue, talvolta anche nello stesso brano, spesso anche lingue che non conosco, utilizzando tutte quelle parole che mi regalano sonorità interessanti.
Mischiando le parole e le lingue, talvolta prendono forma nuovi linguaggi che appaiono come suoni universali, talvolta senza significati logici, ma che possano essere ricantati in ogni angolo del mondo proprio in quanto “suoni”.
Sento l’esigenza di creare un progetto globale che sia figlio delle mie ricerche e delle mie esperienze di vita, che modificano il mio percorso artistico in costante divenire. Senza criteri di selezione se non quelli del mio gusto e dell’amore e dell’interesse per le cose che mi stanno a cuore e che provo ad esprimere con l’aiuto della canzone, il contenitore ideale della mia comunicazione artistica.
L’enorme quantità’ di musica a nostra disposizione (da Mozart a Pergolesi da Miles Davis a Nina Simone, da Sun Ra ai Radiohead, da Peter Gabriel a David Byrne, da Sting a Manu Chao, da Zucchero a Battiato da De Andrè a Pino Daniele, dall’afro beat di Fela Kuti a Bob Marley, fino a Timbaland Michael Jackson e Black Eyed Peas), genera inevitabilmente una moltitudine di amori infiniti verso tutte queste meravigliose forme di espressione musicale, apparentemente lontane ma vicinissime. 
L’esistere di tutta questa musica rende ancora più forte in me il bisogno di cercare un confronto con tutto questo universo e l’esigenza di non rimanere paralizzato dalla sensazione dell’irraggiungibilità dei miti.
La musica va fatta per la musica senza limiti, poi ai posteri…
E’ importante rappresentare se stessi con coerenza e credibilità dando man mano vita alle facce dell’icosaedro ideale che tenderà verso la sfera idealmente.
Ho scelto di fare l’artista e anelo all’”irraggiungibile” sempre.
La musica per me è condivisione e scambio e deve unire.

La produzione del brano è molto internazionale, quanto punti su quest’aspetto per il disco?
La produzione è internazionale ed è iniziata a Londra dopo l’incontro con Dave Pemberton, sound engineer già per Prodigy, Goldfrapp, Faithless, Kasabian. Abbiamo insieme curato la parte artistica.
Puntiamo tutto su quest’aspetto. E’ una scelta professionale chiara per il nostro metodo di lavoro. Dopo aver vissuto a Londra ed essersi abituati agli standard con cui si lavora a certi livelli, non era possibile tornare “indietro” per un’esigenza professionale “obbligata”.
Nelle altre tracce del disco che uscirà ad ottobre infatti suonano i musicisti di Prince, che sono entrati nel mio progetto con una naturalezza impressionante. Già dalle prime session di registrazione sembrava che avessimo sempre suonato insieme. Sembrava veramente che “parlassimo la stessa lingua”. Per ribadire il concetto della globalità e del multilinguismo. E loro sono afroamericani.
Altri ospiti dal mondo saranno parte del progetto che ovviamente è pensato per una diffusione mondiale.

Quale può essere idealmente il pubblico di DDG? L’audience a cui ti rivolgi tu invece?
Il pubblico di DDG idealmente è ovunque, è un pubblico aperto, fatto di persone che non sono chiuse nelle classificazioni dei generi musicali, che non si meravigliano se una canzone di uno stesso artista è completamente diversa da un’altra, ma persone che si aprono al mondo ed alle sue inevitabili influenze globali. L’audience a cui mi rivolgo è senza preclusioni.
Se la mia musica arriverà, vorrà dire che non sarà stato un percorso inutile. Credo tuttavia che possa potenzialmente arrivare a chiunque sotto forme diverse, perché ciò che contraddistingue la musica come arte è la sua interpretazione, cioè ciascuno ne fa ciò che crede. La mia missione è cercare sempre di fare musica buona.
That’s it.

Vedi “Dig It” come una potenziale hit dell’estate appena iniziata?
Quando decido di far uscire una mia canzone è perché sento che a quel brano ho dato il massimo ed e’ pronto ad essere ascoltato dal pubblico.
Ovviamente mi aspetto il meglio. Ma il successo di un brano dipende da molti fattori.
“Dig It”, in cui credo molto, è in questo senso un brano fortunato. Lo trasmettono un’infinità di radio e stanno nascendo in modo spontaneo molti remix, il che è sintomo di successo.
“Dig It”, spesso, nella presentazione dei dj, è definita una hit, un tormentone estivo, pur essendo una canzone con un messaggio di pace universale nel testo.
Se “estivo” significa far ballare e cantare, unire mani, sorrisi e gioia, che ben venga la sua “stagionalità”.

Quali sono i tuoi prossimi passi?
Ultimare le registrazioni del disco, coinvolgere altri ospiti da tutto il pianeta poi missare tra Londra e Los Angeles per “scaldare” il suono e fare un tour dopo l’uscita dell’album che faccia conoscere sempre di più il mio progetto al mondo.

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