Partirà con tre eventi, il 3 luglio all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 25 agosto al Teatro Antico di Taormina e il 31 agosto all’Arena di Verona, il tour di “Domani è un altro film (seconda parte)” dei Dear Jack, che segue la tournée della “prima parte” del progetto discografico della band risalente allo scorso autunno (guarda le foto dei concerti a Milano e Torino).
In attesa dei live, ho incontrato il gruppo per un confronto sulla generazione che scorre, il tempo che viviamo, la consapevolezza della musica e il lavoro che stanno svolgendo. Stigmatizzati spesso da una critica feroce, mi sono trovata di fronte a cinque ragazzi consci della dimensione musicale e di ciò che le generazioni sotto palco stanno vivendo.
Che genere musicale siete?
Alessio: Ci categorizzano come pop-rock.
Cos’è per voi il pop-rock?
Alessio: Il pop rock è un genere misto che include appunto il pop, ovvero la dimensione della musica commerciale e popolare, ascoltata dalla gran parte dei fruitori musicali, e il rock che può essere esemplificato con chitarre distorte e sfumature aggressive.
Francesco: Il rock non si spiega il rock va vissuto (ridendo, ndr).
Lorenzo: Io non so quanto la definizione di musica pop sia stata storpiata o quanto possa essere stata interpretata. Perché pop è qualcosa di realmente popolare che può comprendere anche dimensioni più attinenti al rock. Da decenni, in parte sbagliando, si intende musica pop come musica commerciale, in un’accezione parzialmente negativa del termine. Noi di fatto proponiamo musica pop, visto che viene ascoltata da molte persone, e rock perché sono le sonorità che vogliamo rievocare. Un rock vintage con cui siamo cresciuti, fuso alle armonie moderne.
Un paio di nomi di riferimento della scena attuale che collocate nel vostro stesso genere o punto musicale? Qualche chitarra riprende il suono dei primi Muse.
Alessandro: Qualche distorsione anche gli U2.
Lorenzo: Dal punto di vista chitarristico, abbiamo avuto dei punti di riferimento. Abbiamo usato il fuzz e questo ci ha portato probabilmente ad aver accorpato dei suoni che vedi rimandanti a qualcos’altro.
Alessio: Anche i moog e synth su “La pioggia è uno stato d’animo” rimandano al discorso fatto da Lorenzo.
Accorpate diverse generazioni. Tralasciando le più piccole, cosa avete capito della vostra generazione?
Alessio: Per quanto concerne la generazione più grande di noi, abbiamo capito che riproponendo Baglioni e Celentano facciamo rivivere loro attimi di gioventù.
Riccardo: Sono veramente contemporanei nella loro grandezza. Abbiamo anche capito che piacciamo per la nostra umiltà e ciò che siamo stati sul palco senza maschere o protagonismi da indossare.
Alessandro: Un pubblico più maturo è anche esigente, non si lascia conquistare facilmente, e devi guadagnarti la sua fiducia.
Alessio: Diciamo che l’energia che si instaura, frizzante e – perché no – potente, viene captata dal bimbo all’adulto.
“Le strade del mio tempo” parla di tempo in senso lato. Cosa vi estranea da questo tempo?
Lorenzo: Il dubbio sulla capacità di riconoscere la propria strada, interpretare il proprio passato e guardare in direzione futura, e con quale sguardo riuscire a farlo. La nostra generazione è sicuramente disorientata e un po’ lo imputo al fatto che negli ultimi anni c’è stata questa crescita esponenziale dei social network. Noi ci troviamo esattamente in mezzo: eravamo adolescenti quando sono arrivati i social e sono diventati preponderante caratteristica culturale e sociale con il tempo. Siamo arrivati nel momento in cui tutti si laureano e cambia la prospettiva con cui guardi al futuro, lo immagini e cerchi quantomeno di fotografartelo in testa, nell’incertezza che comporta. Non tutti hanno la possibilità di investire sul proprio futuro e questo disorienta ancora di più. Negli anni Ottanta ciò non accadeva, è stato stravolto l’intero meccanismo.
Riccardo: Ciò che abbiamo notato è che nonostante i problemi, o forse proprio per evadere dagli stessi, c’è tanta voglia di ascoltare musica da parte di tutte le generazioni. C’è tanta voglia di live che non immaginavamo.
Alessio: Bisogna sfatare il mito che i teenager seguano un artista solo per l’aspetto fisico, perché si toglie la padronanza di raziocinio ad un adolescente.
Mi ricollego a questo: a Sanremo siete stati provocati da qualche giornalista per via delle foto a torso nudo e di come pensate di alzare l’asticella della qualità musicale.
Riccardo: Iniziando a provare e suonare. Penso che la credibilità si guadagni con il tempo.
Lorenzo: Noi non siamo strutturati o settati per alzare l’asticella. Noi proponiamo la nostra musica e il discorso di fondo è semplicemente “se vi piacciamo seguiteci, se non vi piacciamo ascolterete altro.” Noi ci mettiamo veramente molto impegno in ciò che facciamo, abbiamo messo tutta la nostra anima in questo secondo disco. Abbiamo dato il massimo.
Il brano più difficile da riproporre live?
Riccardo: Per me “Le strade del mio tempo”.
Lorenzo: “Io che amo solo te”, per intenzione e dinamica.
Alessio: “L’amore è il mio destino”, con passaggi drastici tra un registro basso ad acuti improvvisi.
Come vi vedete tra dieci anni?
Riccardo: È difficile risponderti perché ancora stiamo raddrizzando il tiro in cerca della nostra strada. Magari tra un anno avremo tutto più a fuoco.