“A Dramatic Turn Of Events“, undicesimo album in studio dei Dream Theater, verrà pubblicato in tutto il mondo il prossimo 13 settembre. Sarà anche il primo a non vedere dietro le pelli lo storico batterista della band, Mike Portnoy, sostituito da Mike Mangini (nel suo curriculum spiccano le collaborazioni con Steve Vai, Annihilator ed Extreme fra le altre). Abbiamo scambiato qualche opinione sul nuovo disco e sul cambio di line – up con il frontman del gruppo, James LaBrie.
Che cosa puoi dirci riguardo al processo di composizione del nuovo album, “A Dramatic Turn Of Events”? Quali sono state le differenze principali riguardo a quello dei vostri precedenti dischi?
La grossa differenza rispetto al passato è stata sicuramente quella di essere solo in quattro a scrivere i pezzi, senza la presenza di un batterista. Infatti Mike Mangini è arrivato solo quando il disco era già interamente composto. Non ci era mai capitato in passato, e per noi si è trattata di un’esperienza davvero nuova. In realtà all’inizio eravamo intimoriti da tutto questo, ma lungi dall’essere una situazione menomante e negativa, la cosa si è invece rivelata più che positiva. Il processo di composizione è stato fluente come non capitava da molto tempo, e la mancanza di un batterista di riferimento ci ha aiutati a sviluppare alcune nostre potenzialità che mai avevamo sfruttato. Ora però ci tengo a precisare che non ho nulla contro Mike Portnoy personalmente, è ancora mio amico, sebbene entrambi abbiamo preferito allentare i rapporti per un po’, ed è stata una colonna portante dei Dream Theater in tutti questi anni. Ma il suo abbandono è stato un passo necessario per il futuro della band: semplicemente il carattere di Mike è dominante, lui vuole essere sempre al centro della ribalta. Ma ultimamente a causa di questo lato della sua personalità aveva perso di vista la cosa più importante, ossia l’unità del gruppo, e senza quella sarebbe stato impossibile continuare. Adesso, al contrario, siamo tornati a sentirci una band vera e propria.
Qual è il significato del titolo? C’è qualche connessione con i temi presenti nell’album?
Assolutamente sì. Sai, si può leggere questo titolo in una duplice ottica. Da un lato la svolta drammatica negli eventi può essere collegata a quello che è successo ai Dream Theater in questi ultimi due anni; l’uscita di scena di Portnoy, la necessità di cercare un sostituto e di reinventarsi, etc. Questo se lo vuoi leggere in un senso, diciamo così, più individualista. Ma il titolo può, anzi deve anche esser letto come un chiaro riferimento a quanto sta succedendo nel mondo. Non parlo solo della crisi economica che ha investito gli Stati Uniti prima e il mondo intero poi, parlo anche del fatto che ormai molta gente si sta rendendo conto che certe decisioni che riguardano il futuro del pianeta non possono esser prese da poche decine di persone, e che è un loro diritto esser informati e poter fare qualcosa per evitare ulteriori future catastrofi. Si tratta quindi di un’escalation di eventi che stanno assumendo un volto sempre più drammatico, perché la posta in gioco è sempre più grossa. Da un lato chi vorrebbe farsi solo i propri affari senza pensare minimamente alle conseguenze, dall’altro i movimenti di protesta che si vanno espandendo dappertutto.
Parliamo del singolo: personalmente ho ritrovato in “On The Back Of Angels” similitudini con “The Great Debate”, ma risolte con soluzioni più ‘morbide’. Un po’ come se si trattasse di un ipotetico mix fra le atmosfere di “Six Degrees Of Inner Turbulence” e quelle di “Falling Into Infinity”. Cosa ne pensi? E, in particolare, questo singolo potrebbe essere una buona presentazione per il ‘mood’ complessivo dell’album?
Beh, ognuno può sentirci i riferimenti che preferisce in “On The Back Of Angels”. Possono esser giusti i tuoi, come possono esser giusti quelli di altri. Credo che ogni nostro fan ci può sentire parecchio del nostro passato, così come del nostro futuro. Voglio precisare che le composizioni sono state scritte quasi interamente da Petrucci e Myung, anche se io ho fornito loro qualche spunto e, soprattutto, sono stato coinvolto nella stesura delle melodie vocali come mai prima m’era successo. Posso però affermare con sicurezza che “A Dramatic Turn Of Events” è un classico album progressive, e in questo senso non ci sono novità. I nostri fan saranno sicuramente felici di questo, nel lavoro troveranno tutto quello che si aspettano da noi. Con questo non voglio dire che si tratti di un’opera uguale alle altre; come sempre le differenze ci sono, però nel guardare al futuro abbiamo voluto riaffermare la nostra tradizione e quelle che sono le nostre radici, da dove veniamo.
A proposito del vostro stile, quando componete del nuovo materiale pensate alle possibili reazioni dei vostri fan o vi concentrate interamente sui vostri intenti artistici?
Entrambe le cose. Certo per noi è importante sapere cosa pensano della nostra musica quelli che ci ascoltano, non suoniamo solo per noi stessi. Ma d’altro canto abbiamo anche delle esigenze di ricerca personale che non possono essere completamente mortificate. Diciamo che è una questione d’equilibrio, in cui il fattore determinante è quello di saper essere sempre onesti con noi stessi. Spesso siamo sulla stessa lunghezza d’onda dei nostri ascoltatori, mentre altre volte sono loro che sanno carpire quello che vogliamo esprimere attraverso note e parole.
Non abbiamo ancora affrontato l’argomento Mike Mangini. Com’è lavorare con lui?
Fantastico! Davvero. Il modo di suonare di Mike è fantastico, è un batterista strepitoso. Sono molto ammirato da lui e dalla sua educazione. E dico educazione non mi riferisco al fatto che sa cosa siano le buone maniere, ma parlo proprio della sua educazione musicale, che è ben superiore alla media, anzi è qualcosa si eccezionale. Si è inserito perfettamente nella band e, adesso che siamo in tour, sul palco è davvero trascinante, una forza che ci guida, quasi fosse una mostruosa spina dorsale per il gruppo.
Suonate assieme da più di 25 anni, com’è cambiato il mondo musicale in tutti questi anni? Quanto ha influito internet nel cambiare il music biz? E i cambiamenti sono stati negativi o positivi?
Dipende da che lato si guarda la faccenda. Alcuni cambiamenti sono stati positivi, altri meno. Certo con internet tutto è più veloce, le informazioni corrono e puoi avere tanta musica nello spazio di un click. Alla fine credo che sia positiva questa maggior libertà d’ascolto, tuttavia c’è anche il lato oscuro. Perché se si vendono meno dischi non sono solo le major che ci vanno di mezzo, non è questo il vero problema. Il fatto è che anche per le band rimangono meno soldi per comporre, suonare e soprattutto registrare i dischi. E allora i ragazzi avranno dei dischi meno validi sotto molti aspetti, in cui magari non saranno state sviluppate tutte le possibilità che la musica avrebbe potuto offrire. Poi è anche una questione di tempo; se i musicisti non guadagnano dalla loro musica dovranno fare un altro lavoro per vivere, e non potranno concentrarsi del tutto sui dischi che producono. Non è solo un discorso egoistico, credimi; fare il musicista è comunque un lavoro, e se lo vuoi fare bene dovresti avere anche i mezzi per poterlo fare. Come vedi i lati positivi e negativi spesso s’intrecciano…
Un’ultima domanda. Cosa volete realizzare con la vostra musica? Quali sono i vostri intenti artistici?
Come dicevo prima, per noi è importante esser onesti con noi stessi e con i nostri fan. Ecco, uno dei nostri obiettivi è quello di non perdere mai il contatto con loro. Sappiamo di essere una gigantesca progressive band, e vogliamo continuare ad esserlo, pur continuando ad evolverci. Poi magari qualcuno potrà dire che non siamo più progressivi come un tempo, oppure che i nostri nuovi lavori hanno perso lo smalto di un tempo, ma noi non saremo mai un’altra cosa rispetto ai Dream Theater che tutti conoscono, non sentiamo la necessità di sperimentare roba strana per forza, facciamo solo quello che sentiamo sia giusto fare per noi e per chi ci segue con così tanto entusiasmo sia su disco sia durante i nostri concerti. Se siamo diventati così grandi lo dobbiamo anche a loro.
Stefano Masnaghetti