Quali significati si nascondono dietro il titolo?
Il piccolo pagliaccio è l’italiano medio, sono io e siamo tutti quanti. Esiste un prontuario per capire tipologie e categorie delle varie pagliacciate che tutti i giorni facciamo. Si può farne una classifica durante una vacanza o anche solo in una serata. Da anni giro con un naso rosso in tasca.
E’ complicato scrivere una canzone all’apparenza semplice come “Milano no”?
Direi facilissimo. Credo che Milano sia la città che subisce più lamentele del Nord Italia. Basta ascoltare quello che dice la gente e saperci fare con le rime.
C’è qualche cantautore della scuola meneghina a cui ti sei in qualche modo ispirato, in particolare per questa canzone?
“Il mare l’abbiamo avuto anche noi a Milano”, dicevano Cochi e Renato, i maestri dell’ultimo surrealismo lombardo. Poi beh, Jannacci, Gaber, Nanni Svampa.
Milano a parte, cos’altro racconta il tuo disco?
Racconta di Giuliano -un ragazzo che compra un cane per rimorchiare, di una storia d’amore che sta in piedi solo grazie ai regali costosi che lui fa a lei, di un ragazzo che beve un sacco di birra anche se non gli piace.
Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?
Battisti e i Nirvana, Vasco e John Lennon, Luca Carboni e Marilyn Manson, Jovanotti (ai tempi di “Gimme Five”) e i Beastie Boys. Mi piace quasi tutto.
Tre canzoni che non ti stanchi mai di ascoltare.
“Kiss” di Prince, “Alla Prese Con Una Verde Milonga” di Paolo Conte e “Fratelli d’Italia”: l’inno di Mameli, ma solo prima delle partite, in piedi, con la mano sul cuore.
Francesca Binfaré