Fin dagli anni ’80, Fabrizio Consoli, musicista milanese, è stato protagonista di un’intensa attività di session man al fianco di diversi artisti di primo piano della scena musicale italiana, quali Eugenio Finardi, Alice, C.De Andrè, Mauro Pagani, PFM, O Fado, “La notte delle Chitarre” e moltissimi altri, intraprendendo anche una lunga serie di tournée dal vivo, sia in Italia che all’estero. Dagli anni’90 ad oggi, il suo percorso professionale lo ha portato a pubblicare diversi dischi e a vincere la selezione di Sanremo Giovani ’94 guadagnandosi il passaggio al 45° Festival della Canzone Italiana del febbraio successivo. L’artista è stato sul palco del Teatro Ariston per Sanremo 1995. Ha scritto e prodotto diverse canzoni di successo (per i Dirotta Su Cuba ed Eugenio Finardi) e ha creato “Forgive us” (un progetto che vedeva alla voce Giovanni Paolo II). Negli anni ha vinto premi e riconoscimenti importanti (come il premio Ciampi 2004) e ha scritto colonne sonore e recitato in commedie teatrali. I suoi concerti, sono un raffinato “crossover” tra jazz, canzone d’autore e un’allegra e malinconica “voglia di Sud America”.
Ciao Fabrizio, cosa hai provato a suonare dal vivo con Finardi, De Andrè, Mauro Pagani, la PFM? E quando hai iniziato a sentire la necessità di esprimerti come autore?
Essere arrivato a suonare con questi artisti è stato il coronamento di un sogno che avevo da ragazzo. A tante cose non ero preparato, molto spesso mi sono ritrovato a suonare con artisti di cui conoscevo la storia, le canzoni ed è stato davvero bellissimo. Avere qualcosa da dire è la molla che ti porta a scrivere canzoni proprie ed interpretarle. Io non mi considero un cantante, perché ho un’altro tipo di vocalità, però la voglia di scrivere l’ho sempre avuta, anche se mi mancava probabilmente la tecnica, la concentrazione su quello che significa creare qualcosa di proprio. Scrivere è uno stato mentale, in realtà quando scrivi le canzoni per un disco nuovo o devi fare dei testi per qualcuno non smetti mai, anche quando vai al letto, quando mangi, quando guidi. Sono pieno di canzoni con frasi scritte al semaforo, a volte si pensa che le canzoni escano così, ma spesso ti devi mettere con molta fatica e olio di gomito. Il “la” alla scrittura mi è stato dato dal mondo della famiglia De Andrè, io ho lavorato per un periodo abbastanza lungo con Massimo Bubbola, che è una persona che sa scrivere, con cui ho condiviso anche la casa per un periodo. Da una parte la curiosità ti porta a rubare il mestiere, a vedere come fanno quelli veri, dall’altra io ero molto giovane, avevo 22 o 24 anni non ricordo, Massimo mi dava qualche dritta e da lì a mettermi a fare canzoni mie il passo è stato breve. Il primo brano che ho firmato di un certo livello è stato “La Forza Dell’Amore” che è presente anche nel mio disco dal vivo (Live In Capetown). La canzone è nata grazie Eugenio (Finardi), da me che cazzeggiavo con la chitarra, in un palasport della Liguria. Anche Eugenio è stato importante da questo punto di vista, ho visto come scriveva, come nascevano certe canzoni, il significato che andava a cercare nel messaggio dei brani, come arrivava, poi ho fatto dei parallelismi tra la maniera di scrivere di De Andrè e quella di Finardi e ho riscontrato le differenze.
Quali influenze musicali maggiormente riconosci nel tuo stile?
Bella questa domanda! Non mi è facile rispondere. Sono convinto che ognuno di noi, anche i grandissimi, quando affininano una tecnica o uno stile di scrittura o vocale, di genere, diventano dei crocevia musicali per cui altri a loro volta ci passano. Così è per quello che mi riguarda, mi influenza la gente con cui ho lavorato e un pò tutta la musica che mi piace perchè si diventa crocevia di altri crocevia, sono strade già battute prima di noi, ma che si condivindono fino a quando si arriva, tramite qualche misteriosa alchimia, ad averne una tua attraverso la quale altri magari un giorno passeranno, o si fermeranno o ne faranno un tratto con te. A me ha influenzato di tutto: il jazz, il blues, il rock… io adoro il rock, ma anche il tango argentino. A volte dicono: “Ah un pò contiana!” certo, è vero! un pò contiana… perchè mi è piaciuto anche Conte, ma io credo che a Conte sia piaciuto lo stesso jazz che piace a me, così come mi è piaciuto Piazzolla e allora certo se fai un tango ricorda un pò quello, ma anche quello ricorda un pò quell’ altro, ed è un passare da uno stesso crocevia. Diciamo che l’obiettivo di chiunque voglia in qualche maniera farsi una strada è quello di diventare, ad un certo punto, crocevia dopo crocevia, riconoscibile, e a sua volta un piccolo incrocio per cui altri possano passarci attraverso.
Quali sono i sentimenti, le emozioni che ti hanno portato a scrivere “Musica Per Ballare”? Come mai questo titolo?
“Musica Per Ballare” è un lavoro unitario, inizia con un battito, (addirittura la copertina io l’ho pensata prima di avere le canzoni, ho immaginato la musica che muove il mondo, ossia il battito del cuore, che abbiamo dentro, la musica primordiale che muove tutto) quello del cuore di mio figlio che aveva cinque settimane non di vita, ma di gestazione, il percorso di una vita attraverso questa musica. Non posso immaginare di fare un disco che sia semplicemente una raccolta di canzoni, ma io vivo ogni cosa come se fosse un opera d’arte, criticabile per carità, ma io voglio che il disco sia un’opera d’arte unitaria. Cosi “Musica Per Ballare” ha questa interpretazione metaforica del viaggio di una vita dall’inizio alla fine, il disco finisce con “fly” e il silenzio. E’ stato un lavoro di ricerca sulla musica che una volta ti costringeva a ballare, come ad esempio alcuni balli di una volta, però rileggendoli, provando a fare un tango che non sia proprio un tango o una bossa che non sia proprio una bossa. Faccio un esempio: “Camera Con Vista” era una canzone cantautoralissima e l’abbiamo trasformata proprio per poterla inserire nel disco, perchè ha un senso sia come messaggio che come testo e musicalità. Altre canzoni sono state scartate perchè non avevano questa importanza. “Blu!!” invece aveva un riff tanto particolare e originale che alla fine sembrava un pò contiana, ma serviva nell’economia del disco e l’ho dedicata a lui, ringraziandolo per il suo lavoro. Il senso di “Musica Per Ballare” è da una parte di ricerca interiore e di esperienze condivise, dall’altra di ricerca sonora, che parte da una musica che a me è piaciuta e di cui sento la mancanza proprio per la filosofia che ne giustificicava l’esistenza: la vicinanza, il ballo come condivisione di un momento. Negli anni ’60 ballare voleva dire “abbracciare una donna” ecco questo è il senso del disco.
Un brano del disco che mi ha colpito molto è “Camera con vista” ce ne potresti parlare?
Tutte le canzoni sono canzoni d’amore, ma questa è proprio incentrata sull’amore: io me lo immagino proprio come una camera con vista. Ognuno ha il proprio privato chiuso, ma decide di spalancare queste finestre verso qualcuno piuttosto che verso qualcun altro. La canzone parla dell’amore come di una esperienza assoluta, che condividiamo in qualche maniera tutti, talmente importante che vogliamo interpretarla, e soprattutto in gioventù, vogliamo essere protagonisti ma non protagonisti, vivendola a modo nostro. Facendo così molto spesso sbagliamo perchè queste finestre le chiudiamo. “Amore” è una parola che deriva dall’arabo “amaru” che significa guardare, spalancare gli occhi verso qualcosa, mirare, e quando vogliamo esserne protagonisti senza capire questa cosa in realtà è una chiusura non è uno spalancarsi all’ altro o agli altri. Questa canzone è una domanda, una riflessione… quello che vorrei veramente capire è che cos’ è l’amore… è una cosa a cui non sai dare un nome, ma che conosci, che ti passa attraverso, che ti devasta come un vento a cui non sai dare un nome.
Quanto sono importanti per te i concerti dal vivo?
In questo momento le esibizioni dal vivo sono tutto quello che posso fare per far sapere a qualcuno che esisto. Da un parte c’è l’importanza del bisogno di esprimersi davanti a un pubblico, che è come l’ossigeno. Un musicista che non suona dal vivo, che musicista è? Dall’altra è davvero una forma di resistenza perchè spesso davvero non ne vale la pena, soprattutto economicamente. E’ una forma di resistenza che secondo me pratica chi, per testardaggine o passione, sa di possedere contentuti culturalmente originali o presunti tali. Questa è diventata una nazione di concerti di cover band, dei “concerti saponetta”.
Come vedi il panorama musicale italiano?
In questo momento, delle nuove generazioni conosco poco, fatico a sentire, ma so che c’è tutta una serie di artisti della scena indipendente bravi, ma che non conosco bene. Tra quelli famosi, mi piace molto Nicolò Fabi. Gradisco la bella musica in generale, quando l’ascolto riesco a riconoscerla, ma esiste anche molta musica inutile. Ad esempio anche i grandi spesso fanno dei dischi inutili, tanto sanno che li vendono facilmente, sono titoli che servono a portare avanti il marchio di fabbrica. Secondo me le cose che meritano di più sono quelle che fanno un pò più fatica ad uscire. Mi rendo conto che forse come diceva Liga, “Non è tempo per noi”. (ride)
Che consigli daresti agli artisti emergenti?
Il consiglio che darei fondamentalmente all’artista emergente è di andare all’estero, di fare comunque un pò di esperienza fuori, perchè non si sa mai se il proprio cammino possa essere da un’altra parte. Onestamente è sempre stato un casino a fare il musicista, ma nel passato c’era un economia, comunque potevi infiltrarti in qualche giro dove lavoravi e c’era un ritorno anche economico. Oggi è veramente un casino… è come vincere il superenalotto… che possibilità ha uno che gioca al superenalotto..uno gioca, però magari fa anche qualcos’altro nel frattempo. Purtroppo questa non è una situazione per cui io mi sentirei di dire a mio figlio: “fai musica”. La musica è una cosa bella, imparala perchè ti piace e poi provaci, ma io se fossi giovane in questo momento, e avessi 20 anni, andrei a Londra o a New York. Guarda, basta dirti una cosa, per capire fino a che punto sia devastante la situazione per chi fa musica a tutti i livelli. In Italia non esiste un associazione dedicata ai musicisti, non esiste un sindacato, non esiste nulla che dia una voce politica a chi fa questo mestiere o a chi lo vuol fare… anche quelli che fanno sport a livello dilettantistico hanno le associazioni, hanno qualcosa che, arrivati ad un certo punto, nel momento in cui ce ne fosse bisogno, diventa voce politica, diventa voce che si fa sentire dove deve: presso il CONI o presso altre istituzioni sportive superiori. In musica non c’è nulla… nulla… tutti compartimenti stagni: esiste la musica classica, esiste il balletto… ognuno si rivolge allo stato perchè ha gente più o meno seria, più o meno importante. Gli artisti italiani, parlo di quelli che sono famosi, che hanno voce in capitolo, che riuniscono gente, non si sono mai sognati di fare nulla… anzi il loro problema è come apparire sulla copertina di Vogue o piuttosto di un altro giornale.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho disco nuovo da finire di scrivere e poi uno spettacolo…
Luigi Di Lorenzo