“Un omaggio al più grande cantautore di sempre, senza nascondermi”. Così Francesco De Gregori descrive “Amore e Furto”, il nuovo album in cui interpreta e traduce (a modo suo) undici canzoni del grande Bob Dylan. “Gli ho rubato persino il titolo del disco” confessa, ridendo, l’artista romano, riferendosi a “Love and Theft” del 2001, per poi tornare immediatamente serio e precisare: “In realtà la scelta delle canzoni non è stata architettata. È come se certi brani mi avessero detto: sì, io posso farmi tradurre”.
“De Gregori canta Bob Dylan – Amore e Furto” (Sony Music) è il frutto di un lavoro lungo e minuzioso, sia sulla parte musicale, sia su quella testuale. Nulla a che vedere con banali sentimentalismi da fan e nemmeno con proteste copia e incolla di natura politica o sociale. Niente a che spartire con gli ultimi progetti di De Gregori, che spesso ci hanno spiazzati e hanno reso il cantautore quasi irriconoscibile rispetto alla sua storia e al suo repertorio. L’ultima fatica di De Gregori riporta finalmente l’artista in carreggiata e ci riconcilia con la sua grandezza e la sua straordinaria carriera.
Parlare di cover nel caso di “De Gregori canta Bob Dylan – Amore e Furto” è alquanto riduttivo. Ogni singola canzone dell’album racchiude in sé il fascino e la spontaneità dei capolavori del “menestrello” che ha dato voce a un’intera generazione, ma cerca, track by track, di andare oltre. Ciascun pezzo dell’album nasce, infatti, dalla profonda stima e conoscenza che il Principe nutre nei confronti del cantautore e compositore statunitense. E resta fedele, nella forma e nella sostanza, all’originale, con rispetto e cura maniacale (sono davvero pochissimi i versi sacrificati), per poi metterci del suo, il carico da novanta, e diventare il vero protagonista del pezzo. Il disco è un mero atto d’amore, senza furto di note e di parole. In esso traspare l’essenza delle produzioni dylaniane, ma le idee sono puramente degregoriane. “Bob è da sempre un artista di riferimento per me. E’ l’impressionista della musica rock – spiega De Gregori in conferenza stampa a Milano – Più della metà degli arrangiamenti di questo disco sono molto simili a quelli delle sue canzoni”. Ma quali sono stati i brani più difficili da tradurre? “Sicuramente “Dignity”: non sono ancora riuscito a fare mio il significato della prima strofa”, confessa De Gregori.
In “Amore e Furto” si resta rapiti da undici ballate, undici poesie talvolta graffianti, come ad esempio “Mondo politico” (“Political World”) e “Non è buio ancora” (“Not Dark Yet”), altre volte più morbide, come il singolo “Un angioletto come te” (traduzione di “Sweetheart Like You”), nel quale Francesco De Gregori riscopre una straordinaria forza evocativa: “Il testo non parla solo di un incontro d’amore ma della sua idea platonica, dell’amore di Dante e Beatrice, per intenderci. La sua è una narrazione epica del mondo e dei sentimenti”. Ascoltando l’album ci si ritrova, a sorpresa, in “Via della povertà” (“Desolation Row”), figlia di quella versione, datata 1971, firmata dalla coppia De Gregori-De Andrè per l’LP “Canzoni”. E ancora: “Servire qualcuno” (“Gotta Serve Somebody” tratta dall’album “Slow Train Coming” del 1979), sicuramente una delle cime di “Amore e Furto”, per concludere con “Una serie di sogni” (“Series of Dreams”), “Tweedle Dum & Tweedle Dee” (“Tweedle Dee & Tweedle Dum”) e la già citata “Dignità” (“Dignity”). Brani con i quali De Gregori confeziona un ottimo album, che ha il merito non solo di emozionare con qualità e intelligenza, ma anche e soprattutto di parlare a tutti coloro che, per motivi anagrafici o semplicemente per pigrizia, non conoscono l’arte, unica e inimitabile, di Bob Dylan.