Dopo due album con i Criminal Jokers, Francesco Motta debutta da solista pubblicando quello che, con buone probabilità, sarà ricordato come uno dei dischi più intensi del 2016: “La fine dei vent’anni”, un album che ha trovato concorde musica e critica. Un lavoro che ha il coraggio di raccontare la realtà con quel sorriso ironico che nasconde, spesso, un velo di malinconia.
“La fine dei vent’anni” inizia quando?
Il disco inizia tre anni fa con l’inizio della fine dei miei vent’anni. Ho iniziato a scrivere subito dopo che è uscito l’ultimo disco con i Criminal Jockers. Quando è subentrato Riccardo Sinigallia, abbiamo iniziato a fare sul serio.
Quando invece è iniziata la tua fine dei vent’anni?
Quando ho iniziato a scrivere il disco. La fine dei vent’anni è solo un percepire la consapevolezza del termine di un percorso con un sorriso, un guardarsi sia indietro che avanti. È stato il mio momento di passaggio.
Se non erro l’ultimo disco uscito come gruppo era “Bestie”, un album che se vogliamo si discosta da questo tuo lavoro da solista. Cos’è cambiato?
È cambiato che in “Bestie” ero portavoce di un gruppo, mentre ora sono io che mi prendo la responsabilità di ciò che scrivo e canto. È cambiato il modo di approcciarsi al testo, e che prima non c’era Riccardo Sinigallia mentre ora sì.
Com’è nato l’incontro con Riccardo e cosa ti ha dato a livello umano?
Ci siamo conosciuti tramite il produttore dei Criminals. A livello umano, siamo diventati amici, facciamo fatica a non vederci. È stato bello incontrarsi.
Te l’ho chiesto perché ascoltando il disco si percepiscono echi dei primi Tiromancino.
Pensa che in realtà gli echi di cui parli arrivano da me. Riccardo mi ha dato una mano dal punto di vista testuale, sulle parole.
Nel disco c’è la canzone “Mio padre era un comunista”. Quanto di te e del tuo vissuto famigliare c’è all’interno dell’album?
Parlo di me, di ciò che ho vissuto. È vero che mio padre era un comunista che collezionava cose strane.
Come mai hai deciso di inserire un brano dedicato a tuo padre all’interno di questo disco?
Perché con i miei genitori ho un rapporto bellissimo, sento il bisogno di raccontare anche quel nostro tipo di relazione. Volevo elogiarli, e “Mio padre era un comunista” ha una coda che parla proprio della famiglia.
È più facile scrivere una canzone in cui si parla di ciò che non va, piuttosto che di ciò che va?
Sì, almeno per me è più semplice. Per altri magari no. Se pensi alle cose molto pop, non c’è alcun tipo di errore, la gente si vuole sentire rassicurata, devono essere per forza canzoni che dicano “va tutto bene”. Nel nostro mondo, però, è più difficile dire che va tutto bene.
Nel disco ci sono canzoni politiche: è importante scrivere canzoni politiche? È una domanda ovviamente ironica.
Sono tutte canzoni politiche.
Anche “Sei bella davvero”?
È una canzone d’amore, a prescindere dal fatto che si tratti di una donna transgender. Il fatto che nel brano ci sia questo filo per cui non si capisce bene se sia transgender o meno è proprio per fare capire la normalità dell’amore. Ed è una canzone politica proprio perché parla d’amore. Quando parli d’amore, parli di politica.
Si riesce a parlare di politica in maniera più consapevole prima o dopo i vent’anni?
Sinceramente non lo so. Il mio modo di prendere posizione è arrivato più avanti con l’età. È ovvio che quando sei più piccolo è più difficile. Più cresci, maggiore è la consapevolezza.
Qual è stata la chiave di volta che ha permesso alla critica e al pubblico di acclamare “La fine dei vent’anni”?
Penso il fatto che abbiamo lavorato tantissimo sulle canzoni, e che ogni cosa cantata è vera. Non lo so, me lo sto chiedendo tuttora. Il fatto di avere tutti concordi è perché , forse, è un bel disco. Penso sia davvero il lavoro dietro ai brani ad aver portato ad esser tutti concordi.
“Una maternità” perché?
La leggo in chiave positiva e di speranza. “Una maternità” racchiude un certo velo di malinconia, e penso che la malinconia rappresenti anche un modo per sorridere. Parla di un momento in cui succedono tantissime cose nel cervello e nel corpo di una donna, che spesso provocano un tipo di disagio. Di solito non se ne parla mai, ma parlare aiuta a sfogarsi e questo è utile.