I Giöbia rappresentano un’anomalia, in Italia. O meglio, un’eccezione, in entrambi i sensi del termine. Perché dalle nostre parti non è che ne escano tante, di band di rock psichedelico in grado di attirare l’attenzione a livello internazionale. Eppure con il loro nuovo disco “Introducing Night Sound“, che arriva dopo “Hard Stories“, ci stanno riuscendo e il tour europeo che li vede attualmente impegnati ne è la conferma, così come lo è l’inclusione del loro brano “Orange Camel” nel secondo volume della compilation “Reverb Conspiracy”, in uscita a novembre per Fuzz Club Records. C’è in ogni caso l’occasione di sentirli suonare in Italia: il 13 settembre a Milano e il 3,4,5 ottobre a Firenze, Roma e Terni (altre date si aggiungeranno a breve). Abbiamo parlato con loro alla vigilia del concerto milanese.
In giro si trovano molte recensioni straniere del vostro disco: che effetto vi fa?
“Introducing Night Sound” è uscito per un’etichetta tedesca, la Sulatron, che si muove nei circuiti legati a psichedelia e space rock, e questo ha contribuito ad attirare l’attenzione e le recensioni all’estero. Ci ha fatto un effetto molto positivo perché è curioso sapere cosa pensano della nostra musica fuori da qui. Poi sono quasi tutte recensioni fighe, per cui…
Come siete finiti a pubblicare con un’etichetta tedesca?
Abbiamo cercato sia etichette italiane che straniere, ma poi ti rendi conto che è più facile trovare le cose fuori. Qui magari ci dicevano che eravamo bravi e tutto quanto, ma poi basta. In Germania addirittura di etichette ne abbiamo trovate tre e abbiamo dovuto scegliere.
Vi guardano strano quando suonate all’estero?
Ce ne sono di band italiane legate alla psichedelia che anche adesso si stanno facendo notare all’estero, ma di certo non ne abbiamo esportate tante. Suonando fuori spesso troviamo curiosità, ma non preconcetti. Tuttalpiù guardano che non tenti di scimmiottare quello che fanno loro.
A proposito di live, come vi approcciate ai concerti?
Abbiamo sempre cercato di fare concerti che al proprio interno variassero molto, con un inizio e una fine e passando per vari stadi, sempre rimanendo legati alla psichedelia, ma spaziando parecchio.
Le esperienze più strane in tour?
Ce ne sono capitate di tutti i colori, dall’essere fermati dalla polizia in Germania piuttosto che scoprire che ci avevano rubato tutto l’incasso in Inghilterra.
Vi considerate dei nostalgici?
No, anzi. Ci piace la musica degli anni ’60, ma siamo abbastanza tecnologici e proiettati nel futuro.
E come vi tenete legati al presente?
Ascoltiamo tutto quello che esce di nuovo e interessante. A volte non è facile, perché negli ultimi anni gira molta roba non all’altezza. Notiamo che ci sono band un po’ sempliciotte negli arrangiamenti e nella tecnica esecutiva. Noi facciamo parte della vecchia guardia e siamo abituati a suonare e provare tantissimo. Diciamo che non ci piace lasciare nulla al caso.
Sperimentate molto con strumenti particolari…
Siamo appassionati di musica, prima di tutto. Poi due di noi lavorano come musicoterapeuti e quindi sono pieni di strumenti. Ci piacciono gli strumenti particolari, per cui ci viene naturale prenderli e ficcarli dentro i nostri brani.
Se poteste riscrivere la colonna sonora di un film del passato, cosa scegliereste?
Qualcosa di Maya Daren, visto che già abbiamo usato degli spezzoni di sue opere per i nostri videoclip.
E se poteste condividere il palco con un musicista o band del passato?
Sicuramente gli Electric Prunes!
Marco Agustoni
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