Due chiacchiere veloci con i romani Hopes Die Last. Oggetto della discussione la loro più recente release, “Six years home”.
10 settembre 2009
Il vostro lavoro risulta molto ben curato dal punto di vista dei suoni e degli arrangiamenti.. qual è stata la genesi di “Six years home”?
Ci abbiamo lavorato moltissimo! Volevamo curare ogni aspetto di questo album, ma allo stesso tempo è nato abbastanza naturalmente, principalmente dalle mie idee in fase di songwriting. Le idee poi le abbiamo sviluppate insieme, come credo succeda nella maggior parte delle band.
“Six years home”, dopo un ascolto attento, risulta all’orecchio più “malizioso” come un lavoro studiato per ritagliarsi un ruolo piuttosto rilevante nella scena Oltreoceano; questo anche grazie ad un sound che in più passaggi ricorda gli Underoath, molto famosi in patria. E’ una cosa voluta o il disco è il risultato di un lavoro “naturale”?
Non c’è nessun ragionamento di quel tipo dietro a “six years home”. L’unica cosa che ci interessa è sfornare un prodotto che soddisfi prima noi, poi se la nostra soddisfazione è condivisa da molta altra gente ne siamo contenti, altrimenti fa lo stesso. Sicuramente non rinunciamo alla nostra soddisfazione personale, alla nostra passione per cercare di avvicinare più persone possibile alla nostra realtà.. e ti assicuro che potremmo farlo molto facilmente.
Avete fatto, in passato, un tour di poco più di trenta date negli States. Come è nata questa esperienza? E le differenze tra il pubblico Oltreoceano ed europeo sono così rilevanti come si crede?
Il tour è nato semplicemente perchè c’era interesse per noi da quelle parti, e noi appena abbiamo avuto l’occasione l’abbiamo sfruttata. Il loro pubblico è più esigente, dato che hanno miliardi di band non si mettono ad esaltare chiunque. L’esperienza negli States, però, non ci ha permesso di notare differenze di mercato con l’Europa.. o almeno, non ci siamo concentrati su questo aspetto!
Come state pianificando la promozione di “Six years home”? Tornerete negli States o preferite focalizzarvi in Europa?
L’Europa avrà sicuramente precedenza, come è normale che sia, ma stiamo organizzando anche un ritorno negli States..
La scena romana emergente non è mai stata così viva come negli ultimi anni in ambito hardcore/punk/pop-punk. Tre nomi a caso: Hopes Die Last, Vanilla Sky, The Electric Diorama. Questa è solo un’apparenza o in realtà nella Capitale si sta muovendo qualcosa?
Non è un’apparenza, la scena è abbastanza florida da queste parti, e c’è sempre più ricerca della qualità da parte delle bands anche emergenti.
Un’ultima domanda, legata alla vostra esperienza ormai quinquennale nell’underground nazionale.. se qualcuno vi dovesse chiedere tre nomi di band italiane da tenere sott’occhio, chi scegliereste?
A Breach on Heaven, che sono fermi da un po’ ma torneranno sicuramente più forti di prima (e li stiamo aspettando a braccia aperte, ndNL), Helia e If I die Today.
Nicola Lucchetta