Tempo fa girava in rete la frase: con Simone Agostini una chitarra può bastare. Ed era evidente ascoltando il suo primo disco “Green” pubblicato nel 2009. Oggi torna in scena con una seconda opera di composizioni dal titolo “Maka” e, forse per lui, una chitarra iniziava a cedere ai limiti e alle prospettive di scrittura. Ed infatti troviamo un bousouki greco, flauti dei nativi americani, troviamo la viola e il violino (firmato da Francesco Moneti dei Modena City Ramblers), troviamo percussioni etniche e anche qualche sana sperimentazione elettronica e di E-bow, come nel surreale scenario decantato dal brano “Outer Space” accompagnato da un videoclip altrettanto visionario.
“Maka” è la chitarra acustica. “Maka” è il tempo che scorre. “Maka” è anche sperimentazione. Cos’altro, secondo te?
“Maka” è il mio modo di vedere il mondo raccontato attraverso una chitarra acustica e qualche altro strumento usato occasionalmente. È un viaggio per il mondo che mi sono costruito su misura. Un viaggio tra luoghi e periodi, tra spazio e tempo.
La scrittura, la composizione. Le sue chitarre acustiche. Nel pop esiste l’editing, la sovraincisione e le correzioni di ogni tipo. Con una sola chitarra acustica, è corretto dire che quel che ascoltiamo è assolutamente live?
In realtà anche in un disco acustico di sola chitarra è ormai possibile intervenire direttamente sulla traccia in fase di produzione. Penso che però innanzitutto sia determinante capire che tipo di disco si vuole produrre.
Nel caso di “Maka”, i brani sono stati tutti composti sulla chitarra per essere eseguiti live. Dunque non è stato mai necessario ricorrere a sovraincisioni, fatta eccezione per il finale di “Outer Space”. Abbiamo inoltre scelto di lasciare molto spazio all’interpretazione dei brani, per dare la sensazione di un’esecuzione live, magari affianco al caminetto di casa, e questo probabilmente ci ha portato a dosare e gestire consapevolmente le risorse tecnologiche a disposizione.
Ma insomma, i live sono una cosa e dischi un’altra, penso sia giusto trovare il doveroso equilibrio per adeguarsi alla tendenza e allo stesso tempo non snaturare la propria musica ed il proprio stile.
Complimenti per la tua produzione video. Se guardo il video di “A25” trovo il mondo nella sua espressione più naturale. La montagna, la fuga, l’evasione. Il video di “Outer Space” mi restituisce un mondo più atomico, più chiuso, più scuro, più industriale. Come mai questa scelta? Che direzione vuole raccontare?
Il video è stato confezionato da Paolo Tocco, che è anche il produttore di questo disco… i complimenti vanno dunque a lui, e in questo mi associo. A differenza di “A25”, in cui ho comunque chiesto al regista Sebastiano Bontempi di provare a raccontare quello che per me rappresentava quel pezzo, in questo caso il video racconta il punto di vista di Paolo. Questa cosa è molto bella perché la musica strumentale può lasciare spazio a differenti interpretazioni. E nel momento in cui abbiamo delle immagini, siamo in presenza di una seconda arte ed il risultato finale è dunque l’incontro di due punti di vista differenti. È interessante sperimentare come la musica possa veicolare verso alcuni tipi di immagini, oppure come determinate immagini possano veicolare verso altrettanti tipi di musica. Credo che tutto dipenda dalla singola persona, dal singolo artista, dalle sue esperienze e dal suo modo di saperle rappresentare o leggere.