A tre anni da “Guardare per aria” e dopo una lunga tournée in Italia e in Europa come band di Niccolò Fabi e del suo straordinario “Una somma di piccole cose”, Alberto Bianco – Bianco, per gli splendidi – torna venerdì 19 gennaio 2018 con “Quattro”.
Anticipato dai singoli “Felice” e “30 40 50”, il nuovo disco del cantautore torinese, autore e produttore (tra il resto, anche degli ultimi due dischi di Levante) è stato registrato, con la direzione artistica di Marco Benz Gentile, ai Superbudda di Torino. Al suo fianco i compagni di viaggio Matteo Giai (basso), Filippo Cornaglia (batteria) e Damir Nefat (chitarra), che dopo l’instore, al via il 19 gennaio da Roma, lo accompagneranno anche nel tour in partenza il 15 febbraio dal Locomotiv di Bologna.
Ecco cosa ci ha raccontato su questo quarto interessante capitolo della sua carriera.
“Quattro”, perché è il tuo quarto lavoro, ma ho la sensazione che ci sia dell’altro dietro questo titolo.
Avrei dovuto chiamare questo disco con tutti i titoli delle canzoni che ci sono dentro, perché non ce n’era una più importante di altre per dargli il titolo. Per cui ho pensato al fatto che fosse il quarto disco, che sono quattro anni che suono con questa band, che siamo in quattro e abbiamo vissuto delle esperienze molto fighe in questi anni, quindi visto che siamo una band, ma il progetto è mio, una cosa strana, era anche un mod per celebrare questa nostra unione.
Tra le esperienze di cui dicevi immagino ci sia anche il lungo tour come band di Niccolò Fabi. Quanto ha influito sul processo creativo per quest’album?
Parecchio, perché appena ho sentito l’esigenza di scrivere un altro disco, ho subito pensato che avremmo dovuto fare una roba molto lontana dall’ultimo disco di Niccolò. Sembra strano, ma già questa è stata un’influenza forte. E poi tra le ottanta date con Niccolò, più le nostre abbiamo suonato tantissimo, quindi quando ci siamo trovati ad arrangiare i pezzi, praticamente non c’è stato bisogno di decidere nulla, tutto è venuto in maniera molto naturale.
Ecco, com’è andata in studio?
Essendo la prima esperienza che facevamo tutti insieme è stato figo anche scoprire le doti nascoste degli altri musicisti che non erano ancora venute fuori eseguendo dei pezzi già scritti. Cercando le idee e andando a scavare il rapporto è diventato ancora più stretto.
Facciamo un passo indietro, però: la maggior parte delle canzoni del disco le hai scritte a Ortigia un’isola di fronte a Siracusa, che impulso ha dato alla scrittura?
In realtà non ci avevo ancora ragionato, però assolutamente si, perché è un posto che è molto simile alla vita di un musicista, con momenti in cui sei affollatissimo, con un sacco di gente intorno e altri, come quello in cui ci sono stato io, in cui era completamente deserto. Più che altro, però, mi ricordo che quella settimana lì è stata una settimana in cui ero partito per concentrarmi su me stesso e scrivere delle cose su di me e invece sono finito a parlare di altri, forse data la lontananza mi è venuto naturale parlare, anzi chiacchierare con qualcun altro.
“Quattro”, infatti, è un disco più estroverso rispetto a “Guardare per aria”.
Si, per me che l’ho scritto e spero che passi anche a chi lo ascolta, è un disco molto più diretto, come se scrivessi una lettera a un amico e ogni pezzo è un amico diverso, quindi sono tante piccole storie, anzi la storia di un rapporto, di un certo tipo di amicizia con persone diverse.
In che senso esplori questo concetto dell’amicizia e del trovare anche un po’ te stesso nel rapporto con gli altri?
Infatti, è stato un modo per trovare me stesso, perché poi, diciamocelo, l’ego di un cantautore è sempre la cosa più grande che ha. Più che altro è stato un esplorare la mia crescita personale, che è anche quella di riuscire ogni tanto a mettere da parte le mie cose, il mio progetto di vita per provare ad ascoltare un po’ di più le persone che ho accanto e che mi vogliono bene. Poi questa volta i testi hanno un’importanza grandissima, anche se in realtà è nato tutto al contrario, cioè è nata prima l’idea musicale, di stile e poi i testi sono andati a infilarsi ognuno nella sua casetta giusta.
Come accennavi, questo è un disco che affonda le radici nella dimensione live.
Si, è nato in sala prove, quindi sappiamo già le canzoni, faremo delle prove prima dei concerti, perché ci va di farlo e di stare un po’ insieme. È un album un po’ alla vecchia, come quelli di quei gruppi punk che scrivevano il pezzo, lo registravano e lo suonavano dal vivo, praticamente nella stessa maniera, senza perdersi sulla. Questo perché non abbiamo intenzione di usare metronomo o basi dal vivo, perché secondo me perdi un po’ quella libertà di rallentare quella sera che senti che il pubblico è un po’ più tranquillo o viceversa. Ma poi tre di noi sono diplomati al conservatorio e il pensiero di far suonare a una macchina quello che lui farebbe molto meglio non ha molto senso.
Tra l’altro, rispetto ai tuoi dischi precedenti, qui ci sono molte più tastiere. Una scelta dettata anche dal concetto di tradizione e cambiamento che aleggia nell’album?
Sono tutte tastiere suonate da un musicista. Sicuramente il fatto di avere lavorato con Marco Benz Gentile come produttore artistico ha portato un po’ di quel suono lì, perché lui suona con Meg, Africa Unite, comunque mondi in cui l’elettronica e i sintetizzatori sono utilizzati parecchio. Il fatto di scegliere lui come produttore era legato anche a questo, perché in questo disco avevo intenzione da subito di dare all’ascoltatore una gamma ampia di quello che è il mio gusto, che è molto aperto, mi piacciono molte cose, quindi era inevitabile inserire dei tastieroni anni 80, che mi piacciono molto, o le chitarre molto anni 90.
Sempre rispetto ai tuoi altri lavori qui non ci sono collaborazioni, se non quella a livello autoriale in “La persona innamorata” con l’attrice e scrittrice Virginia Virilli.
Ci siamo conosciuti tramite Margherita Vicario, che è la sua coinquilina e che a un certo punto non ha fatto altro che dire: “ragazzi, non vi conoscete, ma a te piacerebbe tantissimo il libro di Virginia e a lei piacerebbe il tuo disco”. In effetti ci siamo trovati. Non ci eravamo mai incontrati, ma quando ci siamo conosciuti abbiamo sentito da subito il desiderio di fare qualcosa insieme, quindi lei mi ha mandato delle frasi sparse di quello che potrebbe essere il suo prossimo romanzo, “La persona innamorata”, che poi è il titolo della nostra canzone. Innanzitutto ho cercato il mio significato i quelle frasi apparentemente senza senso, per capire se c’era affinità reale. C’era, così ho aggiunto delle frasi per fare suonare bene la canzone ed è stato tutto molto bello perché mano a mano che andavamo avanti con gli arrangiamenti, l’ho sempre tenuta aggiornata, perché era una cosa proprio fatta in due.
Tra le collaborazioni importanti di questo periodo c’è quella con Giorgia.
Il 19 gennaio in contemporanea al mio disco uscirà anche “Oronero Live” di Giorgia, che ha preso un pezzo che ho scritto io: “Chiamami tu”. L’esperienza è stata divertente, perché ho potuto scrivere una cosa che di base come interprete io farei un po’ di difficoltà a dire. Pensa che non ci siamo mai incontrati, la conoscerò di persona il prossimo mese, ma sono stati i nostri editori a metterci in contatto. C’è poco romanticismo in questa storia.
Ieri è uscito il video di “30 40 50”, il primo di una serie di clip che alla fine diventerà un cortometraggio. Raccontaci qualcosa su questo progetto nel progetto.
Probabilmente non saranno i singoli, perché sono due cose diverse, uno è il discorso di quest’operazione che comprenderà altri tre pezzi, che racconteranno una storia, ma poi parallelamente faremo uscire anche dell’altro a livello di singoli. Visto che in questo momento, anche se uno cerca di farsi i cazzi propri il più possibile, è necessario fare musica che piace e bisogna cercare di attirare un po’ le persone ad ascoltarsi anche le altre canzoni oltre ai singoli quindi è nata quest’idea tra me e Regina Pozzi, che è la regista. Ci saranno Viola Sartoretto, Paolo D’Asso, il papà di un nostro amico, che è professore universitario e non ha mai recitato, ma quando gli ho detto che era stato bravissimo mi ha detto, che ha recitato tutti i giorni per quarant’anni, alla cattedra!
Hai già idea di quale sarà il prossimo singolo?
A me piacerebbe “Tutti gli uomini”, vedremo se sarà possibile, dall’etichetta mi hanno risposto: “pensa a una cosa per volta”…
Hai affermato che sarà un album poco di moda, ma che resterà nel tempo per te come qualcosa di cui andare fiero. Quale musica resta nel tempo? E non dirmi quella non di moda.
No, secondo me avviene quando si riesce ad unire autenticità e bellezza, almeno per se stesso e in questo disco, secondo me, ci sono dei momenti molto importanti sia a livello musicale, sia a livello testuale, che mi portano a pensare che rimarrà una parte importante della mia vita, anche per come è nato, per questa famiglia che si è creata tra musicisti, una cosa molto importante, che succede una volta nella vita.