I siracusani Fiaba sono una di quelle occulte gemme musicali che abbondano nel sottobosco italiano. Sulla scena da quasi 20 anni, hanno raccolto molto meno di quanto abbiano seminato nonostante ogni loro album abbia raccolto unanimi consensi dalla critica musicale. A ragione sono stati definiti “la più grande rock band medioevale del mondo” e vengono lodati per il loro suono peculiare che li porta ad unire atmosfere dal sapore antico, baracconate da guitti, poesia e chitarre pesanti. L’uscita del nuovo “La Pella Nella Luna” è stata una bella occasione per scambiare quattro chiacchiere con Bruno Rubino, padre, compositore, paroliere, mente e batterista del gruppo.
Fiabe e favole non sono mai stati luoghi tranquilli. Mogli decapitate, bambini scuoiati, mangiati e streghe cotte nei forni come happy ending. Eppure il tuo approccio alla materia è sempre stato, pur con alcune eccezioni, rassicurante. Se è vero che il male o la morte non li hai mai censurati, più che all’orrore nudo e crudo nei tuoi brani il lato “oscuro” è storicamente rappresentato da rimpianti, rimorsi, isolamento, frustrazione e fato beffardo. Questo non è più valido ne “La Pelle Nella Luna”, dove invece fra atmosfere e testi scendi in più di un’occasione nelle tenebre (“Il Cerchio della Morte”, “Il Patto Coi Lupi”, “Il Povero Giacobbe”, “l’Uomo è La Preda”). Cos’è successo?
Il mondo che ruota intorno ai racconti del “lupus omenarius “/ “lupus hominarius ” è un mondo oscuro e fascinoso dove le tenebre sono perdizione e conforto, dimensione ben lontana dall’umbratile boschivo di fate e folletti, se pure il bosco e la foresta sono teatro di eventi nobili e tragedie d’uomini gli incanti cupi del piano elfico hanno un sapore beffardo e irriverente reso dalla poesia dell’odore di muschi e licheni, il pelo bagnato dei lupi, l’odore selvaggio della foresta e il grasso combusto delle lampade nei villaggi, sono ben altri umori.
A mio parere, “La Pelle Nella Luna” è un disco che gira intorno a uno dei leit-motiv più tipici dei Fiaba, ovvero quella della mostruosità. Hai giocato spesso in passato con il tema dell’accettazione del diverso (quindi mostruoso), viene in mente (cito un esempio fra tanti) “Turpino l’essere scuro”, che muore da solo, murato vivo, facendoci riflettere su chi veramente sia, alla fine, il mostro di cui aver paura. Sei d’accordo con questo?
Sicuramente la mostruosità come prodigio.
Approfondendo la questione, ci leggo un discorso molto forte che potremmo riassumere dicendo che imbrigliare la natura può portare solo a tragedie. In fondo la lotta fra il lupo e l’uomo porta alla morte di Giacobbe (un uomo buono), per ogni Greta che sfama i lupi c’è qualcuno che ne uccide i cuccioli, per ogni taglialegna c’è un uomo che vorrebbe ma non può. Sono tanto lontano dalla realtà?
Sì, anche questo e molto altro.
Come mai, nonostante la vostra proposta così teatrale si presti (e si sia già prestata ne “Lo Sgabello Del Rospo”) quasi naturalmente alla suite, su questo lavoro hai preferito concentrarti esclusivamente sull’aspetto concettuale, mischiando i “capitoli” di una mini-storia in brani apparentemente senza altri legami se non la “lupitudine”?
Abbiamo pensato di creare degli “affreschi” per utilizzare una modalità diversa di narrazione che ci ispirasse artisticamente, avevamo già utilizzato brani separati come episodi ne “Lo Sgabello Del Rospo” come tu hai detto e la modalità suite ne “I Sogni Di Marzia ” ed il suo seguito “Il Bambino Coi Sonagli”, fare qualcosa di diverso è stata fonte di ispirazione per noi.
Questa risposta è molto bella, siete fra i pochi musicisti per cui tirare in ballo un concetto come quello dell’integrità artistica sia tutt’altro che peregrino. Purtroppo però, per il pubblico, quando resti fedele a una proposta precisa “fai sempre le stesse cose”, quando provi a declinarla sotto un’altra luce, a cambiarla, a osare, a progredire, farti ispirare dal diverso “non fai più le cose belle di una volta”. Come vivi tutto questo? Sei per l’intransigenza a tutti i costi o cerchi un minimo di compromesso? Ci stai male o sai volare più alto?
Seguo la mia strada come ho fatto sempre, se non avessi fatto così non sarebbero mai nati i Fiaba, col tempo il pubblico capirà, in ogni caso non si può piacere a tutti.
So che sei un pignolo, che ti dedichi al lavoro in modo quasi maniacale fino a plasmare le cose così come le hai in mente. Spero che alcune delle critiche presenti in recensione non ti abbiano infastidito anche perché ho il sospetto che alcuni degli elementi che abbiamo considerato “difettosi” siano in realtà fortemente voluti. Cosa puoi dirci in riferimento a quello che abbiamo percepito come “scollamento” fra voce e strumenti (presente soprattutto nelle parti più dure ed elettriche)? Qual era il tuo obbiettivo?
La percezione, dell’arte in genere, è una cosa fortemente influenzata dal background culturale, dal gusto, dal “momento” in cui ti trovi quando fruisci di un’opera e questa può cambiare col tempo, se così non fosse, tutti, persino chi la crea, “sentirebbero” ogni cosa nel medesimo modo, solo tu quindi puoi rispondere a questa domanda poiché la suddetta percezione è profondamente intima. L’ipotesi che posso azzardare è che, come persone, cerchiamo sempre dei riferimenti a ciò che conosciamo e facciamo un lavoro di sovrapposizione per riconoscere le cose che ci sono familiari, quando i “bordi della figura non coincidono” ci troviamo spiazzati e il campanello d’allarme delle nostre certezze suona dicendoci che c’è qualcosa di iniquo, ma è proprio quando ti trovi davanti a esperienze del genere che l’arte comincia a diventare interessante e viene fuori un sospetto di originalità, chiaramente il nuovo gusto si deve affinare col tempo, pensa per esempio al film 300 dove si trova una potente colonna sonora heavy in un’ambientazione arcaica cosa che potrebbe generare lo “scollamento” di cui parli e immagina infatti a cosa avrebbero pensato solo vent’anni fa in merito ad un accostamento del genere. La critica che è stata mossa più volte a noi come Fiaba è: cosa c’entrano chitarre elettriche e batteria in una musica con testi riferiti al medioevo quando all’epoca non esistevano neanche questi strumenti? in altre sedi ho risposto ampiamente a questa domanda, la proposta musicale che facciamo, in sé, è questo tipo di operazione.
So che alcuni personaggi dei tuoi testi passati (mi viene in mente il Crocchiaossa) sono ispirati da libri e raccolte particolari. Come ti sei avvicinato alla Lupitudine?
In questo caso è un’immagine che ha scandito, come sensazione, le notti più inquiete della mia infanzia, abitavo da bambino in una vecchia villa cadente dei primi del novecento, attorno c’era un grande giardino e il vento di notte fischiava tra le fronde degli alberi, era veramente terrificante; “stringevo il cuscino, da solo, nel letto”. Adesso non so che darei per essere di nuovo là a farmi cullare da quell’ululato vegetale, adesso vado fuori a cercare i lupi…
E li vai a cercare nel villaggio di Ogre. E’ un bel posto, a parte i lupi?
Come lo immagino io si, un bel posto per viverci.
In sede Live come pensi funzionerà il nuovo materiale a fianco del precedente?
Bene.
Avete in mente di mettere in scena uno spettacolo particolare (intendo più particolare del solito)?
Non penso, credo che la musica debba essere sempre in primo piano rispetto al resto ma ci divertiremo sempre a giocare un po’ con scenografie e coreografie durante i concerti.
La pelle nella luna, oltre alla tematica, porta con sé anche altre novità. Come il cambio di etichetta e un tuo maggiore coinvolgimento anche per quanto riguarda gli altri strumenti. Ti va di raccontarci?
La Jolly Roger sta facendo un ottimo lavoro con le ristampe (presto avremo anche il vinile di “XII L’Appiccato” e quello de “Il Cappello Ha Tre Punte” e di seguito ci saranno CD e LP de “Lo Sgabello Del Rospo” con credo “Il Bambino Coi Sonagli”), quindi impegnatevi con le richieste e premiamo l’iniziativa imprenditoriale e artistica di Antonio Keller. Per quanto riguarda il suonare altri strumenti , oltre alla batteria, realizzo sempre dei provini che poi ascoltiamo con il gruppo, questa volta il nostro bassista Giuseppe Capodieci era molto impegnato con l’organizzazione del suo matrimonio, ho colto quindi l’occasione e mi sono divertito a suonare sul disco le parti di basso che avevo già eseguito nei provini. A proposito, cogliamo l’occasione per fare i nostri migliori auguri al nostro bassista e ci scusiamo pubblicamente per aver scordato di inserire il suo nome nei ringraziamenti del nuovo album ma è uno spazio nel quale di solito non pensi mai di inserire qualcuno del gruppo…è una stupidaggine formale tra di noi ma andava detto. Le parti di chitarra acustica e classica erano registrate nelle guide del master, ai chitarristi è piaciuta l’intenzione con la quale ho suonato e mi hanno proposto di lasciarle, ne ho rifatta solo una perché il fonico durante una take scacciava le mosche con una sorta di racchetta elettrica, immaginavo che avrebbe interferito con la ripresa ed in effetti c’era un sibilo ad intermittenza su una delle linee di chitarra, ci abbiamo riso su ed abbiamo rifatto la traccia, eravamo troppo soddisfatti del risultato delle registrazioni per arrabbiarci. È sicuramente il disco col suono migliore fatto da noi fino adesso, Toti Valente oltre ad essere un “valente” batterista è anche un grande fonico, molto eclettico.
E ora l’ultima domanda, che ruolo ha la fiaba nel cinico e tecnologico mondo contemporaneo?
Può allontanarci dalla Realtà e certamente avvicinarci ad una Verità.
Stefano Di Noi