E’ partito ieri sera da Glasgow il nuovo tour mondiale dei Living Colour: una serie di date che terrà impegnato il quartetto statunitense fino al mese di maggio (con altri concerti in arrivo nei mesi successivi) per celebrare il venticinquesimo anniversario del loro disco di debutto “Vivid”. L’unica tappa italiana è programmata per il prossimo 16 marzo al Factory di Milano.
Anche se all’apparenza può sembrare strano parlare di un così importante evento con l’attuale bassista Doug Wimbish (entrerà in lineup per registrare “Stain”, disco del 1993), in realtà il musicista era già legato da un’amicizia con il chitarrista e fondatore Vernon Reid che lo aveva portato a creare dei legami con i suoi futuri colleghi già ai tempi dei loro esordi. Ecco il risultato di una lunghissima chiacchierata.
Alcune settimane fa avete annunciato un tour speciale in Europa e Stati Uniti per celebrare il venticinquesimo anniversario del vostro debutto “Vivid”. Chi ha avuto l’idea di questo progetto?
La stessa band. L’idea alla base di questo tour è celebrare quell’amicizia e quel duro lavoro che hanno caratterizzato gli ultimi venticinque anni delle nostre vite. Alcuni anni fa avevamo realizzato che prima o poi sarebbe arrivato questo momento ed avevamo pensato che sarebbe stato bello fare una sorta di celebrazione; già in quel periodo avevamo iniziato a raggruppare le prime idee e a fissare dei termini che poi ci hanno portato a parlare di questo tour nel 2013.
In Europa avete scelto di suonare in locali di piccole e medie dimensioni. Come mai questa scelta? E pensate di espandere il tour con qualche data estiva?
Sì, posso confermarti che faremo qualcosa nei prossimi mesi anche in Asia e Australia. La scelta di iniziare dall’Europa, e in location più intime, è in parte voluta: è nostra intenzione prima di tutto rodare il meccanismo poiché come attività live siamo fermi da un po’ di tempo. La priorità è quella di recuperare l’affiatamento tra di noi, ritrovare il groove della nostra musica e, soprattutto, rivedere da vicino le facce dei nostri fan. Torneremo in Europa in estate: abbiamo già nei nostri piani diversi show nei vari open air, che annunceremo nelle prossime settimane. Posso dirti che per i prossimi mesi la nostra agenda sarà di impegni: saremo in Giappone e siamo già stati confermati nella lineup del brasiliano Rock In Rio, con altre esibizioni importanti che arriveranno con il tempo. In questa prima fase vogliamo solo tornare in contatto con i nostri fan e iniziare a familiarizzare con una nuova agenzia con la quale collaboriamo da qualche mese: grazie all’aiuto di un nuovo manager, vogliamo far tornare in auge il nostro nome e le nostre canzoni, partendo proprio dal nostro primo capitolo discografico.
“Vivid” è uscito nel 1988. Puoi raccontarci brevemente la storia dietro la stesura delle canzoni?
“Vivid” rispecchia un po’ la storia della band, visto che è stato concepito e realizzato piuttosto velocemente. Come molti sapranno, l’idea iniziale dei Living Colour l’ebbe il nostro chitarrista Vernon Reid all’inizio degli anni Ottanta; io entrai nella band negli anni Novanta, quando ormai erano un nome già consolidato, per le registrazioni di “Stain”. Ho conosciuto Vernon nel mio appartamento a New York, un loft che era frequentato da diversi musicisti della scena locale, un posto nel quale abbiamo condiviso tutte le possibilità del periodo e i nostri sogni come artisti. Ufficialmente la band si è formata nel 1984 e pochi anni dopo, più precisamente tra il 1987 e il 1988, hanno registrato il debutto “Vivid”. Erano stati un po’ fortunati, perché già prima dell’uscita del disco entrarono in contatto con stelle del calibro di Mick Jagger e Jeff Beck, che hanno assistito ad uno dei loro show al CBGB e, interessati alla proposta, sono stati così gentili da dar loro una mano. Alla fine degli anni Ottanta c’erano molte cose che stavano cambiando negli Stati Uniti: era un’epoca di transizione e si voleva creare una rottura con un periodo ricco di eccessi, basti pensare alla diffusione della cocaina su scala nazionale. La fortuna è che la nostra nazione è sempre stata vivace ed ha raccolto subito il nostro nuovo messaggio, che racchiudeva in musica tutto il cambiamento che stava vivendo il nostro Paese. Si era parte di una scena, e noi stessi eravamo già in contatto prima della fondazione del gruppo. Molte canzoni presenti in “Vivid” erano state in realtà scritte già negli anni precedenti, per poi evolversi con la stessa band negli anni. Siamo una famiglia e abbiamo ricevuto grande aiuto anche dai nostri amici, che ci aiutarono nelle registrazioni delle prime demo, e ne abbiamo anche dato alla gente che ci è stata vicina: basti pensare che, personalmente, ho aiutato Mick Jagger quando mi ha chiesto di registrare con i Rolling Stones negli anni Novanta (nel disco “Bridges to Babylon”)
Puoi parlarmi della tua amicizia con Mick Jagger? Penso sia una cosa favolosa per un musicista la possibilità di conoscerlo..
E’ stata una cosa splendida ed uno di quegli incontri che chiunque vorrebbe fare nel corso della sua vita. Era la metà degli anni Ottanta e mi capitava di lavorare per conto di diversi artisti della scena di New York e di Londra. In quel periodo stavo lavorando con Jeff Beck e proprio grazie a lui sono entrato in contatto con il cantante dei Rolling Stones, visto che era stato invitato da Jagger per la registrazione di un assolo. Con l’occasione ottenni anch’io il ruolo di collaboratore in quello che poi diventò “Primitive Cool”. Siamo diventati già da subito molto amici, anche se io provenivo dalla scena hip hop e, in tutta onestà, avevo poco da spartire con un’icona del rock come lui. Un’esperienza grazie alla quale, oltre a delle splendide relazioni personali, sono riuscito anche ad entrare nella lineup del gruppo di supporto che lo ha accompagnato in tour in giro per il mondo. Grazie al tour di supporto a “Primitive Cool”, sono entrato in contatto anche con gli altri colleghi degli Stones per delle collaborazioni, come ad esempio con Charlie Watts.
Pensate di coinvolgere il bassista della formazione di “Vivid”, Muzz Skillings, come ospite speciale?
Non per tutto il tour, ma per alcune date selezionate lo inviteremo come nostro grande amico. Per ora, la sua presenza è confermata per l’esibizione di New York, ma non escludiamo di vederlo sul palco per altri concerti. Come ti ho detto prima, questo non è un vero e proprio tour, ma una celebrazione della nostra famiglia, e scelte di questo tipo possono affrontarle i Living Colour, vista anche la nostra storia passata. Ironia della sorte, quando saremo in Europa cadrà anche il ventesimo anniversario di “Stain”, il primo disco che mi ha visto coinvolto come membro attivo del gruppo. In uno dei tanti progetti era nostra intenzione fare un tour celebrativo per entrambi i dischi, chiamandolo “Twenty Five Times Twenty”, ma poi siamo giunti alla conclusione che era meglio ricordare quando tutto ebbe inizio, partendo quindi dalle nostre fondamenta. Non abbiamo alcun nuovo disco da promuovere e neanche un contratto milionario da festeggiare: quanto vogliamo fare è toccare con mano l’eredità che la nostra musica ha lasciato nella cultura popolare. Ti cito un simpatico aneddoto per spiegarti ciò che intendo: uno dei nostri pezzi più famosi, “Cult Of Personality”, viene utilizzato da un wrestler come musica di ingresso in uno degli spettacoli trasmessi in televisione il lunedì sera. Ogni volta che lo vedo flettere i suoi muscoli con quel brano in sottofondo, devo essere sincero, mi viene da sorridere. Ma poi mi fermo un attimo e realizzo che tutto ciò, all’apparenza ridicolo, è in realtà una dimostrazione di quanto le nostre composizioni abbiano dato un grosso contribuito anche ad un mondo diverso da quello della musica.
Denise D’Angelilli