C’è qualcosa di indefinibile nella musica dell’Officina della Camomilla – una sorta di indie pop rock sghembo, vagamente rarefatto e fuori dal tempo – che può lasciare spiazzati. Cercare dei termini precisi per descriverne le sonorità è un’operazione più che altro vana, ragion per cui per parlare in maniera adeguata del loro nuovo disco, “Senontipiacefalostesso Due“, è consigliabile un approccio meno scientifico e più di pancia. Anzi, il modo migliore per parlarne e lasciare che siano loro stessi a farlo. Ecco cosa è venuto fuori dall’incontro con il chitarrista e cantante Francesco De Leo e con il batterista Gaetano Polignano, una chiacchierata dalle traiettorie imprevedibili più che una vera e propria intervista, in cui le parole vagabonde e suggestive del primo sono state bilanciate dal desiderio di spiegare del secondo.
Il titolo “Senontipiacefalostesso Due” fa presupporre un legame forte con “Senontipiacefalostesso Uno”…
Gaetano: Il legame c’è perché comunque fanno parte dello stesso portfolio di canzoni di Fra.
Francesco: Sì, abbiamo registrato molte canzoni e solo alla fine abbiamo deciso di dividerle in due album diversi.
G: È stato un po’ come chiudere il cerchio aperto con “Senontipiacefalostesso Uno”. Poi oltre a quelle nel disco sono finite altre tre canzoni per così dire inedite – “Meringa Lexotan”, “Piccola Sole Triste” e “Sibilla” – che abbiamo riarrangiato in una sorta di full immersion perché tre giorni dopo saremmo dovuti entrare in studio.
Nei testi abbondano i riferimenti a Milano: com’è il vostro rapporto con la città?
F: Ci sono vissuto in momenti diversi nel tempo e mi piace raccontare questa città, che è molto ricca di stimoli, è interessante perché è un grande non-luogo. È un posto pieno… è un posto che alla fine è pieno di nulla. Ed è bello perdercisi.
G: È tipico della sua poetica: Milano è lo spunto, la cornice di quello che vuole raccontare. Ed è da lì che arrivano i colori e gli odori delle sue metafore, le suggestioni contenute nei testi.
Milano è anche metafora della città in generale?
G: Sì, potrebbero essere tante città. Ma è anche vero che Milano è unica, perché è la sola che ti dà allo stesso tempo un senso di alienazione e di provincialità. In Italia non c’è un altro posto così, Roma è un caso a parte, mentre le altre città sono troppo piccole per ospitare questo tipo di dinamiche.
Quindi qual è il legame tra la città e la vostra musica?
G: L’Officina della Camomilla, per il suo stile e la sua poetica, è un’avanguardia. È un genere non genere che è il risultato di tante cose. Non sarebbe potuto nascere in una cittadina più piccola. Anche nell’arte, le vere avanguardie sono sempre nate nelle città, dove c’è confronto, c’è scambio. Questo nuovo genere di indie cantautorale non poteva venire fuori dalla provincia.
L’apparente non senso dei testi, che a questo proposito rimanda ad alcune avanguardie artistiche…
G: Ecco, in effetti se guardi il manifesto del Futurismo, assomiglia ad alcuni testi di Fra. Ma lì era più cut & paste, nel nostro caso invece no.
…per l’appunto: questo apparente non senso dei testi nasconde invece un senso più ampio?
G: Assolutamente sì.
F: È per l’appunto un non senso apparente. Può sembrare indecifrabile per qualcuno stupido…
G: ….o qualcuno che semplicemente non ha i mezzi per comprenderlo, per fare un esempio. È come con la poesia, molte volte ti sembra un insieme di parole messe a caso. Ma la cosa bella è che quando finisci di ascoltare una sua canzone, magari pensi che alla fine non ci hai capito un cazzo, ma comunque ti rimane un’emozione ben precisa, come se quell’associazione di idee, sensazioni, sapori ti fosse entrata nel cervello. L’unico che può dire qual è il senso però è lui.
F: È come decifrare geroglifici.
G: Se non sai l’alfabeto egizio, dici “boh…”. E invece hai davanti un quadro di senso compiuto. Serve solo una chiave di lettura.
E la musica che ruolo ha nel completare queste parole?
G: La musica fa parte del flusso. Noi lo accompagniamo per fare in modo che la musica sia emotiva come i testi.
Le canzoni del disco come vengono trasformate, nei live?
F: Affrontiamo i live suonando, infrangendo un po’ le regole degli arrangiamenti e tracciando le nostre idee sonore liberamente. C’è molta improvvisazione.
G: Non gliene frega un cazzo a lui che la gente capisca, o di dare una chiave di lettura. È insito in un certo tipo di arte alta: gli artisti non devono comunicare, devono solo far uscire quello che hanno dentro, senza scendere a compromessi. Allo stesso modo noi non siamo una di quelle band che comunicano o cercano di coinvolgere il pubblico. Spesso lui dà le spalle al pubblico, siamo molto aggressivi da questo punto di vista.
F: Non ascolti il disco ai nostri concerti, è qualcosa di diverso.
G: Ascolti un’onda sonora che ti arriva in faccia.
Quindi con la vostra musica vi sentite di fare arte?
G: Assolutamente. Soprattutto lui, perché noi alla fine siamo i suoi gregari.
F: Beh, forse arte può suonare un po’ presuntuoso…
G: Infatti non è lui che deve dirlo. Lo diciamo noi, che lui fa arte.
Abbiamo parlato di arte e avanguardie, ora abbassiamo decisamente il tono della conversazione con un quesito “filosofico”: fare buca a scuola (nda: dal titolo di una loro canzone “Bucascuola”) può essere un’esperienza formativa?
F: Penso di sì. Poi dalle scuole milanesi si può solo fuggire. L’istituto Pierpaolo Pasolini non era dei più allegri. Grigio. Triste. Ci sono andato per due settimane e ho deciso di abbandonarlo. Le scuole italiane sono squallide, lasciate a se stesse. Che ognuno cresca un po’ come vuole.
Le illustrazioni del disco fatte da Cristina Bregni sono molto suggestive: qual è il loro legame con le canzoni?
F: Le ho chiesto di fare un po’ di disegni e lei ha deciso di approcciare il tutto con questo suo tratto essenziale ed esile. È la sua personale interpretazione delle canzoni.
G: Lei ha fatto anche i disegni per il primo disco e loro due si conoscono da una vita, quindi c’è un legame molto forte tra le illustrazioni e le canzoni. Tra l’altro c’è un altro artista che si è proposto per realizzare delle illustrazioni per noi, di sua spontanea volontà. Ecco, non voglio essere presuntuoso: lui è un’artista e un senso lo ha colto. Non è non sense, il nostro.
F: No, è interpretativo…
G: È come i geroglifici. Non è che non c’è scritto un cazzo, è che non sai l’alfabeto. E in questo caso l’alfabeto esiste solo qua dentro [indica la testa di Fra e ride]. Poi è vero che ognuno trova il proprio senso nelle canzoni, ma un Senso preciso c’è, esiste, ed è il suo.
Potete godervi l’onda sonora live dell’Officina della Camomilla in una delle prossime date del loro tour:
15 novembre 2014 – Foligno (Pg), Supersonic Music Club
21 novembre 2014 – Parma, Arci Mu
05 dicembre 2014 – Napoli, Cabaret Portalba
07 dicembre 2014 – Roma, Esc Atelier
12 dicembre 2014 – Brescia, Lio Bar
13 dicembre 2014 – Segrate (Mi), Circolo Magnolia
19 dicembre 2014 – Rosà (Vi), Vinile