Negrita, intervista a Pau: la gioventù di “9”

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Il 24 marzo 2015 è uscito il nuovo album dei Negrita intitolato “9“, un disco dal mood disincantato e cinico di chi a quarant’anni vede la vita dall’angolazione misurata della maturità. Così la band aretina, a quattro anni da “Dannato Vivere”, torna sotto i riflettori con tredici brani inediti che mettono sotto analisi spietata la società moderna, facendone emergere le problematiche che sono sotto gli occhi di tutti ma prive di soluzione apparente. Un disco critico dunque ma anche fatto di contrasti, come ci racconta lo stesso frontman Pau.

Iniziamo da “Poser”, critica feroce alla società attuale.
In “Poser” racconto la verità: viviamo in un mondo per vecchi. I giovani dovrebbero avere più peli sullo stomaco per farsi spazio, la nostra società vive gli interessi economici con troppo malaffare. I giovani d’oggi devono indossare delle armature. Ci hanno dato l’Eden e siamo qui a mangiare mele e a rovinarci da soli. Ho visto più della metà del mondo e devo dire che ci sono pochi territori come i nostri e anche poche persone cattive come le nostre: tutto questo non fa bene a livello umorale. Quando sei in giro da mesi e vuoi soprattutto tornare, vivi questo tipo di frustrazione. “Poser” mette in luce i tic moderni della nostra Italia.

In “9”, alla critica si contrappongono però brani come “Se sei l’amore”, una preghiera in crescendo sia musicale che a livello testuale in cui, ad un certo punto, canti: “togli il mio cuore dal frullatore, io voglio un sogno di gioventù, che quel che ho dentro non mi basta più.
“Se sei l’amore” è una preghiera laica che non rivolgo a qualcuno in particolare. Molti vi hanno visto una richiesta a un dio, io dico alla divinità umana, a quel bene contrapposto al male che viene sbandierato in modo sbagliatissimo dai capi di Stato quando si tratta di legittimare una guerra. In questo brano parlo a quel Bene vero che dovrebbe essere l’attitudine di ogni uomo. Eppure, quest’attitudine inizia a vacillare: basta leggere i giornali o guardare ciò che accade per strada. Ci stiamo dirigendo verso tempi bui ed aspri fatti di individualismo, un nuovo Medioevo. Io voglio un sogno di gioventù fatto di musicisti maturi, la speranza al contempo di rovesciare il mondo, voglio una linfa nuova per credere alla fratellanza e all’amore. Siamo ancora qui a scannarci per cazzate allucinanti, abbiamo ancora un atteggiamento moralista e superficialmente disarmante verso il diverso.

Una gioventù che continui a descrivere ne “Il nostro tempo è adesso” con fotografie nitide, in contrasto a quella effimera de “L’eutanasia del fine settimana”.
“Il nostro tempo è adesso” rappresenta il modo per tirare fuori le gambe dal pantano. Le coppie che non riescono a metter su famiglia, la stessa famiglia che ci è stata venduta per anni come la base della società: siamo una nazione con una cultura profondamente cattolica, continuiamo a sentire discorsi atavici riguardo le adozioni gay, le coppie di fatto. Discorsi che, a furia di esser ripetuti, mi annoiano. È un mondo difficile, ce ne accorgiamo maggiormente noi quarantenni che siamo cresciuti in tempi più morbidi e ricchi di bambagia. Quando sei abituato a vivere in un certo modo, è impossibile tornare indietro. Non c’è la sicurezza per il proprio futuro, ci si trova laureati senza avere un posto di lavoro: come si può vedere un orizzonte positivo? “9” è un disco di contrasti, la vita è un continuo contrasto.
“L’eutanasia del fine settimana” racconta invece delle esagerazioni a cui si è propensi nel weekend. È un brano che critica non tanto gli attori ma i motivi per cui la gente tende a distruggersi.

Altro contrasto sono le generazioni a confronto, quella del 1969 in “Non è colpa tua” e quella di “1989”.
“Non è colpa tua”, con il riferimento a Shel Shapiro, racconta proprio degli anni ’60. Rappresentano un momento della storia occidentale che ha segnato i nostri genitori e involontariamente anche noi e le nostre scelte successive. Quei valori, quel modo di concepire il mondo e la vita, ci sono rimasti aggrappati addosso. È un brano romantico che cerca di far emergere la stagione dell’amore. Abbiamo scritto casualmente del ’69, quando i nostri genitori avevano vent’anni, e in 1989 abbiamo parlato dei nostri vent’anni: è un parallelo che esprime appieno quelle speranze tradite dalla storia.

“9” può essere riassunto come un viaggio? Tra l’altro, con “Il Gioco” si parte tematicamente da un viaggio.
Sì, assolutamente. Non solo “Il Gioco” ma praticamente in ogni brano del disco si narrano storie di vita. Abbiamo quarant’anni, siamo arrivati ad un’età che viene spesso equiparata, con merito o meno, alla maturità. A quarant’anni guardi il mondo da un’altra angolazione e all’interno di “9” si tracciano questi riferimenti con consapevolezza e disincanto.

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