Un lungo viaggio sonoro tra Parigi, Napoli, Medio Oriente, Brasile, fino a New Orleans e New York, trasportati dall’onda delle sei corde di Renato Caruso e del suo nuovo album: “Pitagora Pensaci Tu”, disponibile in formato fisico e digitale.
Undici inediti più due cover – “Quando” di Pino Daniele e “Tears in Heaven” di Eric Clapton – per un disco ricco di contaminazioni e in equilibrio tra scienza e romanticismo. Un omaggio a Pitagora, fortemente voluto dal chitarrista e compositore crotonese, docente di chitarra e teoria musicale, saggista, programmatore informatico, autore e strumentista per Ylenia Lucisano, Pietro Baffa, Mara Bosisio e Adolfo Durante, nonché fautore di un nuovo genere al confine tra i generi: il Fujabocla.
Lo abbiamo intercettato per farci raccontare di questo suo nuovo lavoro guitar solo, che dal 7 giugno lo porterà live su qualche palco in giro per l’Italia (info sul sito ufficiale dell’artista).
“Pitagora pensaci tu” è un titolo che colpisce.
Volevo omaggiare il filosofo e scienziato che visse a Crotone, quindi è un tributo anche alla mia città. Pitagora fu uno dei primi musicologi della storia, colui che ha inventato la teoria musicale, che ha fatto i primi esperimenti sulla frequenza, sulla nota, quindi tutta la parte scientifica della musica. È un omaggio a questa personalità molto importante per me, anche per i miei studi scientifico musicali.
Com’è entrata nel disco la tua passione per la scienza?
La scienza occupa molto spazio nella mia vita, anche perché per un po’ di tempo ho lavorato come programmatore informatico. Volevo che questo disco fosse proprio un omaggio alla scienza, alla matematica e quindi al mondo che ci circonda, perché viviamo nel digitale, quindi come diceva Pitagora: “Tutto è numero” e i numeri hanno vinto nel nostro mondo. Dall’altra parte, però, nell’album c’è un ritorno al suono classico, quasi all’analogico, perché va bene tutto, ma non perdiamo di vista il vero punto focale della musica, cioè la qualità, la sostanza. Senza andare a ingarbugliarci in cose super virtuose, torniamo alla semplicità e a essere un po’ più reali e più legati alla natura.
All’orecchio, però, arriva subito la contaminazione presente nel suono di questo disco.
Ascoltando tanta musica proveniente da studi classici, anche bossa nova, samba e tutti questi ritmi del fado portoghese, ho fatto un po’ un mix di tutto quello che ascolto e di tutto quello che sono. Mi piace contaminare molto la musica che faccio, però in una chiave e con uno stile personale, che spero arrivi a chi ascolterà il disco.
“Fujabocla”?
Esatto. Il Fujabocla si fonda sulla contaminazione di generi, in particolare funk, jazz, bossa nova e classico. Il disco è fatto di questi quattro generi fusi insieme.
Per atmosfere è un vero e proprio viaggio, che ha anche una qualità cinematografica. Se dovessi scrivere una sceneggiatura per questo disco, cosa racconterebbe?
Sono tante piccole sceneggiature in realtà. Per ogni brano ho immaginato un piccolo trailer e tenendo conto che sono molto legato al cinema francese o a film tipo “La vita è bella”, credo che racconterebbe sicuramente qualcosa di romantico e sentimentale.
Ci sono anche due cover: “Quando” di Pino Daniele e “Tears in Heaven” di Eric Clapton.
Le ho volute riadattare in maniera molto semplice, senza fare alcuna rivisitazione a livello armonico e melodico, proprio per non rovinare queste opere d’arte, che ho suonato con la chitarra dando un tocco mio a livello di esecuzione. Pino Daniele l’ho sempre suonato, perché lo amo e un po’ mi rappresenta, mentre Eric Clapton mi ha sempre affascinato per l’uso dell’acustica.
A Pino Daniele nel 2015 hai dedicato anche il tuo primo libro, “LA MI RE MI”. È il chitarrista che ti ha più ispirato?
Si, è stato il mio maestro nascosto. Poi tra i musicisti che mi hanno ispirato c’è sicuramente Carlos Jobim, il re della bossa nova, Roland Dyens, un chitarrista classico molto importante scomparso pochi mesi fa, infatti l’ultima traccia del disco “Ciao Roland” è dedicata a lui. Ma poi anche Paco De Lucia, Tommy Emmanuel, John McLaughlin, Santana, Mark Knopfler, potrei andare avanti all’infinito, ma sono tutti chitarristi non super virtuosi o super rock, ma molto più classici, più da unplugged, visto che io cerco più un suono pulito che distorto.
So che sei al lavoro su un altro libro, di che si tratta?
È un romanzo culturale, che parla di fisica e musica. Due persone si incontrano e si scambiano delle informazioni, uno parla di musica e uno di fisica, alla fine parlano della stessa cosa, però in chiavi diverse. Ci sto lavorando ora, quindi non so dirti quando uscirà.