Abbiamo raggiunto questa mattina Ryan Bingham, poche ore prima del suo concerto di stasera a Desio, (MB). Il suo ultimo passaggio, in versione full band, risale allo scorso ottobre, quando ha suonato a Roma, a Bologna e a Mezzago.
Suonerai un set acustico stasera. Com’è suonare con una line-up ridotta, rispetto alla full band? Crea più intimità con il pubblico?
Certamente, ho una piccola band di tre pezzi con me: un violinista, ed un altro chitarrista, quindi sarà un set acustico. È molto carino, molto intimo, ma suoniamo lo stesso un po’ di rock’n’roll, oltre ad alcune ballad più tranquille, che stanno molto bene in questo contesto.
Crescendo in Texas, eri circondato dalla musica country e folk? In Italia possiamo ascoltare questi generi, ma è difficile capire come vengano ascoltati negli States. Sono ancora generi molti popolari?
Sì, lo sono. Sono cresciuto ascoltando molta di quella musica, quand’ero molto giovane. Folk tradizionale, musica country… Molte band la suonavano nei festival e per le strade delle piccole città, ed è la musica che passavano per radio È sicuramente qualcosa che si ascoltava molto ed è diventato parte del mio crescere.
Immagino sia stato fantastico. In Italia la musica popolare non è così buona.
[ride] beh sono molto felice di avere l’opportunità di suonare qui, e grazie, sono felice che vi interessi!
La tua voce ha un tocco molto particolare, alcuni l’hanno paragonata a quella di Tom Waits. Ci lavori sopra, per farla suonare come vuoi, o è così di natura?
È il modo in cui si è evoluta naturalmente. Non suonava proprio così all’inizio, ma sai crescendo in Texas e suonando negli Honky Tonk e nei bar, c’era sempre molto fumo e molto whiskey… Sono stati anni di torture alla mia gola!
Una voce di natura Jack Daniel’s insomma.
Esattamente [ride].
Hai anche scritto alcune canzoni per film e televisione, come “The Weary Kind” [per il film “Crazy Heart” con Jeff Bridges] che ti è valsa un premio Oscar. Ci sono differenze nel processo compositivo, se sai che un pezzo finirà sul grande schermo?
Lo è, in parte perché parti dalla sceneggiatura che ti inviano il regista o lo sceneggiatore per leggere la storia, e scrivi una canzone dal punto di vista di qualcun’altro, il punto di vista del personaggio della storia. La maggior parte delle volte quando scrivo per me stesso, per un album, è tutto più personale: riguarda ciò che mi è capitato nella vita e cose così. Mi piace scrivere per il cinema perché mi dà l’opportunità di scrivere di altre cose, di altri personaggi, e mettermi in una situazione nella quale non mi sono mai trovato. È un processo diverso.
T Bone Burnett è un grossissimo nome. Com’è stato lavorare con lui? Pensi che ricapiterà?
Lo spero davvero, ho lavorato di nuovo a qualche cosa minore con lui dopo “Crazy Heart”. È un produttore eccezionale, è così talentuoso, e ogni volta che entri in studio con lui impari moltissimo da lui e dagli altri musicisti, quindi sì spero ricapiti l’opportunità perché è stato fantastico.
Ci sono dischi ai quali ti capita spesso di ritornare? Album che sono sempre fonte di ispirazione, e non ti stancano mai?
Sì, ce ne sono alcuni. Sono sempre stato un grande fan dei Rolling Stones, soprattutto dei dischi dove hanno fatto country e blues, con quel sound acustico ridotto all’osso, come “Let It Bleed”. Bob Dylan, “Hard Rain” è molto importante per me, e Guy Clark, questa è la roba alla quale torno spesso.
E qualche “guilty pleasure” musicale ce l’hai?
[ride] Merda, non saprei. Ne ho qualcuno, ma la maggior parte della musica che ascolto è stata registrata prima del 1970. Mi piace un po’ di hip hop: per un breve periodo ho vissuto a Huston, Texas, e c’era una vasta scena hip hop. I rapper di Houston li chiamano “The Third Coast”, la terza costa. C’erano gli UGK, gli Undergound Kingz, rapper che mi piacevano molto da giovane.
Ora stai girando l’Europa, e poi suonerai di nuovo negli Stati Uniti. Dopo hai qualche piano per un nuovo disco? Possiamo aspettarci del nuovo materiale a breve?
Sì, sto lavorando a del materiale dal vivo registrato negli scorsi concerti in America, sto mettendo insieme un album live che uscirà entro fine anno, e sto anche scrivendo un nuovo album. Un album dal vivo e uno in studio, ho molto per le mani.
Fantastico.
Le tue canzoni sono in un certo senso “fuori dal tempo”, tra vent’anni suoneranno ancora bene perché non segui le mode. Quando componi getti mai uno sguardo a quanto sta capitando nell’industria musicale, o canti semplicemente quello che ti senti?
Cerco di cantare quello che mi sento, cerco di non prestarci troppa attenzione. Di certo non seguo troppo la musica, cerco sempre di scoprire nuove band e cose così, ma quando si tratta di scrivere mi concentro su quanto sto sperimentando al momento, su quello che so. Ogni album è come il capitolo di un libro, come un diario che sto scrivendo, tutte queste storie lungo la strada… Continuo a migliorarmi, e a godermi la musica che mi piace suonare. Cerco di divertirmi più che posso.