I Wooden Shjips torneranno in Italia alla fine di febbraio per quattro concerti all’interno del tour europeo di promozione dell’ultimo lavoro “Back To Land”. I californiani si esibiranno il 25 febbraio 2014 al Magnolia di Milano, per poi proseguire la serie di concerti il 26 al Circolo Degli Artisti di Roma, il 27 al Bronson di Ravenna e con l’ultima tappa del 28, in programma allo Spazio 211 di Torino.
In vista del ritorno nel nostro Paese della band, abbiamo avuto l’occasione di intercettarli per quattro veloci chiacchiere sull’ultimo album e sulla situazione di una scena, come quella psych rock, molto vivace.
“Back to Land” sembra essere probabilmente il vostro album più accessibile. Questa è una dichiarazione per il vostro futuro discografico o è totalmente imprevedibile?
Quando abbiamo registrato “Back to Land” abbiamo usato 24 tracce, mentre per gli album precedenti ne abbiamo usate solo 8, questo vuol dire che abbiamo avuto più spazio per aggiungere in postproduzione synth, percussioni e chitarra acustica. La nostra filosofia generale è “less is more”, ma crediamo che il modo in cui abbiamo mixato il tutto faccia risultare il prodotto finale più minimal. In futuro continueremo a seguire il nostro semplice principio, ma non si può mai sapere quale sarà il risultato finchè non si mettono insieme tutti i pezzi.
A volte ai recensori piace creare enormi liste per le vostre influenze. Vi è mai capitato di leggerne di assurde? Potreste fare una vostra personale lista per noi?
In questo momento è difficile ricordarne una davvero assurda, ma ce ne sono sempre alcune che appaiono forzate. Quello che di fatto succede è che i redattori sentono qualcosa nella nostra musica e decidono che dobbiamo essere stati necessariamente influenzati da un dato artista, anche se non abbiamo mai avuto quella musica in mente. Non è da escludere che siamo stati influenzati dagli stessi principi che hanno ispirato altri artisti, ma ognuno di noi poi interpreta le cose nella propria maniera.
Una nostra lista delle influenze dovrebbe includere Neil Young, i Velvet Underground, gli Stooges, i Grateful Dead, i Rolling Stones ai tempi di Mick Taylor, oltre a decine di altri artisti classic rock, jazz e country.
Cosa potete dirti del particolare artwork di “Back to Land”? Ha qualche significato nascosto?
L’artwork dell’album è stato creato interamente da Oliver Hibert. Sostanzialmente è stato ispirato dalla nostra musica, quella del disco in questione, e quello che è venuto fuori non è altro che la sua interpretazione di quello che ha ascoltato. Non gli abbiano dato alcuna linea guida, quella è la sua personalissima rappresenzazione visiva della nostra musica.
Come vedete lo scenario psych rock odierno?
Sembra che da quanto abbiamo inziato a esibirci dal vivo, nel 2007, la scena psych rock sia cresciuta considerevolmente. Ogni anno ci sono sempre più festival e nuove band eccezionali. C’è di sicuro una grande gamma di suoni e sensazioni in giro in questo momento.
Ci sono delle band emergenti che pensate di aver ispirato con la vostra musica?
Alcune settimane stavamo suonando in California e una delle band che ha aperto il nostro concerto si chiamava Dahga Bloom. Ebbene, ci hanno detto che una volta, quando erano in tour negli Stati Uniti, hanno guidato per oltre 20 ore con due dischi soltanto per il viaggio e hanno sostanzialmente ascoltato quelli tutto il tempo. Uno di quei due dischi era era il nostro “Dos”. Per noi è davvero un onore pensare di averli ispirati in qualche modo.
E se poteste scegliere chiunque per aprire i vostri concerti, su quale nome ricadrebbe la vostra preferenza?
A Londara a dicembre abbiamo suonato con i Kandodo. Sarebbe molto divertente iniziare un lungo tour con loro!
Tra le nuove tracce, qual è quella che preferite suonare dal vivo?
Fino ad adesso ci siamo divertito molto a suonare “Ruins” perché ha un grande groove che ci permetter davvero di tirare fuori delle sorprendenti improvvisazioni.
Il vostro tour italiano sta per iniziare. Come descrivereste il nostro pubblico?
L’ultima volta che siamo stati in Italia abbiamo tenuto molti concerti outdoor durante l’estate. C’era qualcosa di molto speciale nel suonare sotto le stelle. Ognuno ballava e si divertiva in quelle serate afose. Pensiamo che il pubblico italiano si diverta tantissimo e riesca a sprigionare un’incredibile energia.