Jamil, rapper 23enne della provincia di Verona, si è fatto notare per il suo esordio “Il Nirvana“, disco rap con una spiccata attitudine rock, in cui non mancano le citazioni a protagonisti del genere come per l’appunto i Nirvana o Courtney Love, che dà il titolo a un brano dell’album. Ora Jamil sta per portare il suo lavoro sul palco, a partire dalla data del 21 novembre al Legend di Milano. Ecco come ci ha raccontato il suo “essere hardcore”.
Cosa significa per te hardcore?
Hardcore nel senso che nei miei testi dico quello che voglio. Non c’è niente di costruito, niente… da paraculo. Hardcore è anche un modo di vivere, nel senso che mi sono sempre fatto il culo, mi sono arrangiato senza chiedere niente a nessuno.
Hardcore fa anche pensare che tu ti ispiri al rock…
Il genere che faccio è rap rock. È ovvio che è rap perché al centro ci sono le parole, le rime. Ma mi piace di più il rock, quindi tante volte ne parlo. Per dire, il mio gruppo preferito sono proprio i Nirvana.
C’è anche un riferimento all’hip hop hardcore dei Colle der Fomento?
Rispetto molto i Colle, so che sono della vecchia guardia, sono veri e spaccano, ma a essere sincero non me li sono mai ascoltati moltissimo. Il mio riferimento nell’hip hop italiano è Vacca. Vacca, Emis Killa e Karkadan, i miei amici.
Che sono poi quelli che hai chiamato per i featuring…
Sì, ho fatto partecipare al disco quelli che erano prima di tutto amici, ma il motivo è anche che li stimo tutti a livello artistico.
Le produzioni a chi le hai affidate?
Parte dell’album l’ho prodotto io con un mio amico, perché volevo curarne ogni singolo aspetto. Alcuni pezzi però li ho affidati ad amici come Big Joe, Mondo Marcio, Kermit e Mastermaind.
In “Alla mia festa” dici: “la scena ormai mi odia”. Hai un rapporto conflittuale con la scena hip hop italiana?
Nessuno mi ha mai dato spazio, in questo senso mi sono sempre arrangiato e sono andato avanti senza leccare il culo a nessuno. I complimenti che faccio sono solo quelli sentiti che faccio a Vacca, Emis Killa e gli altri miei amici.
Nell’hip hop italiano mainstream c’è un po’ la tendenza a “fare gruppo”?
Nell’hip hop funziona così, ci sono giochetti di questo tipo, per cui se ti esce il video nuovo un altro artista lo condivide così la prossima volta condividi il suo, lo inviti alla tua serata così poi lui ti invita alla sua. Io queste cose non le ho mai fatte, ogni mia collaborazione è stata del tutto spontanea.
È tutta una questione di convenienza?
In Italia ci sono certi rapper che dicono determinate cose nei loro testi e quindi sostengono di rappresentare un certo tipo di musica. Non riesco a capire quelli che dicono di credere nell’hip hop e poi vanno a rappare con chi con l’hip hop non c’entra un cazzo. Quelli che dicono di essere hardcore e poi suonano con quelli che dicono cazzate.
In “Io sono” sostieni che “tutti sono rapper”. Con il boom del rap italiano non si è un po’ perso il senso di quello che era l’hip hop nel suo insieme?
Assolutamente. I writer e i breaker sono rimasti quelli che erano. Tutti rappano, vogliono solo fare i videoclip.
Nei tuoi pezzi parli anche delle view su Youtube: quanto contano?
Non ho mai contato i numeri su Youtube, per me non valgono troppo. Ci sono ragazzini che fanno delle view incredibili, io magari ne faccio centomila, però poi loro non suonano mai mentre io vado a suonare in giro per l’Italia. Per cui sì, significa che la gente guarda la tua roba, ma non è la cosa più importante.
A proposito di live: quanto conta per te il palco?
Anche per questo parlo tanto di rock, perché amo l’aspetto live.
Nel tuo tour ci saranno strumentisti sul palco?
È un concerto con un’attitudine rock, ma non c’è una strumentazione. Questa non è tanto una scelta mia, quanto dei locali… idealmente mi piacerebbe moltissimo e avrei anche chi mi potrebbe accompagnare sul palco.