Siamo riusciti a raggiungere telefonicamente Jem Godfrey, leader e fondatore della prog rock band dei Frost*, fresca di pubblicazione dell’ottimo “Experiments In Mass Appeal”. A voi lo scambio di battute.
4 dicembre 2008
Buonasera Jem, come va?
Ciao Stefano, qui tutto bene! Tu come stai?
Bene, grazie! Ok, iniziamo l’intervista partendo proprio dal vostro nuovo album: puoi descrivere brevemente “Experiments In Mass Appeal” ai nostri lettori?
Una chiave di lettura del disco può provenire direttamente dal titolo, esperimenti…in effetti, non era nostra intenzione comporre un album di progressive rock tout court. Si tratta piuttosto di un lavoro sperimentale, nel quale abbiamo pensato fosse opportuno far collidere strutture di classica derivazione prog con momenti legati a una sensibilità più moderna ed al passo coi tempi. “Experiments In Mass Appeal” nasce proprio dalla combinazione di questi due elementi, che cerca di armonizzare durante i vari episodi che lo compongono. In fin dei conti, vorrebbe essere una sorta di musica progressiva per il ventunesimo secolo.
Sempre riguardo ad “Experiments…”, ascoltandolo ho notato una forte coabitazione fra soffici melodie e ruvidezze metalliche, dimostrata dalla compresenza di strumenti come il pianoforte e gli archi, ma anche di duri riff chitarristici e di tastiere pirotecniche. Eppure entrambi gli aspetti sono ben bilanciati: come siete stati in grado di gestire quest’aspetto della composizione?
Si è trattato di un processo piuttosto spontaneo. Prima ho composto direttamente le linee melodiche dei pezzi sul mio pianoforte, e successivamente abbiamo lavorato su quelle. Tuttavia devo precisare che quest’ultimo disco è un po’ meno melodico del precedente, e maggiormente orientato verso il suono delle chitarre; questo grazie soprattutto al grande lavoro svolto da John Mitchell, che in “Milliontown” era rimasto più in ombra. Considero John un vero e proprio dio della chitarra, dotato di un talento e di un’abilità incredibile: infatti, parecchie melodie presenti nei pezzi erano state precedentemente scritte per il pianoforte, ma successivamente sono state sistematicamente riadattate per la sua chitarra. Anche il nostro nuovo cantante, Declan Burke, ha giocato un ruolo fondamentale in questo: oltre ad essere un ottimo vocalist, è anche un mago della chitarra acustica, e tutte le parti di questo strumento presenti nel platter sono suonate da lui.
Ciò non ha eliminato del tutto le parti affidate al piano ed agli archi, ma ha contributo a fare di “Experiments…” un’opera dotata di un appeal più diretto e “guitar oriented”.
“Experiments…” può essere considerato un concept album?
Non nel senso comune di questo termine. Ogni canzone tratta di un tema diverso; però quasi tutte potrebbero venire accomunate da un certo interesse nel descrivere il mondo dello show business musicale. Sono molti anni che lavoro in quest’ambiente, e ho visto spesso come i suoi meccanismi hanno rovinato grandi potenzialità e grandi artisti, mentre nel contempo musicisti di poco valore venivano incensati e diventavano popstar. Si tratta di un mondo che può essere interessante ed a tratti esaltante, ma che spesso riserva anche amare sorprese. Parte del mood oscuro di EIMA deriva anche da queste tematiche. In ogni caso non parlerei propriamente di concept album.
A tuo parere, quali sono le canzoni migliori del disco, quelle che consideri più significative?
Credo che le più convincenti, quelle che esemplificano meglio la nuova strada intrapresa dai Frost*, possano essere indicate in “Pocket Sun”, “Saline”, “Falling Down” e “Toys”. Ecco, soprattutto “Toys” mi soddisfa particolarmente, perché in soli tre minuti puoi trovare sonorità tipiche degli anni Sessanta, spunti più propriamente progressive, dinamiche incalzanti, un gran lavoro di batteria che coadiuva perfettamente le linee di chitarra. Ma, comunque, tutti i pezzi che ho citato mi piacciono particolarmente perché riescono a fornire una boccata d’aria fresca al prog, e dimostrano che questo stile musicale può fare a meno di mastodontiche suite di mezz’ora circa. Per EIMA ho cercato proprio di far questo: ridurre la lunghezza dei brani, per dare più sostanza e compattezza agli stessi, senza rovinarli con inutili prolissità.
Infatti, una delle cose che ti volevo chiedere era proprio questa: ho notato un mix di tipico progressive anni Settanta e di moderna elettronica in molti pezzi dell’album, per esempio in “Dear Dead Days”; si tratta di un tentativo di espandere i confini del progressive rock?
Beh, tutto EIMA fa parte di questo tentativo. Sicuramente “Dear Dead Days” ha le potenzialità per diventare uno dei pezzi forti del disco, ma tutto sommato credo anche che sia una delle canzoni più tradizionali, e in un certo senso si ricollega a certe sonorità di “Milliontown”. Però, come tutti i pezzi di EIMA, è comunque definibile in una certa misura come una rottura rispetto al nostro passato; anch’essa, infatti, bada di più alle emozioni rispetto al virtuosismo fine a se stesso.
Ho apprezzato molto il tuo stile nel suonare le tastiere, aggressivo ma non privo di armonia e dinamismo. Quali sono i tuoi maggiori riferimenti in questo campo?
Quando ho iniziato a suonare il mio principale punto di riferimento è sicuramente stato Tony Banks (tastierista dei Genesis, ndr), oltre ovviamente agli altri maestri delle tastiere di quegli anni…ecco, un altro che mi è sempre piaciuto moltissimo è Peter Hammill (tastierista dei Van Der Graaf Generator, ndr). Oggi però sono più ispirato dal lavoro svolto da alcuni chitarristi, come ad esempio Steve Vai e Jeff Beck: so che può sembrar strano, detto da me, ma ultimamente i maggiori progressi che riesco a perseguire nel mio modo di suonare piano e tastiere provengono proprio da input che grandi chitarristi come i sopraccitati sono in grado di offrirmi. Si tratta solo di adattare il loro stile chitarristico alle esigenze degli strumenti che suono, che dopotutto fanno parte della stessa famiglia.
Consideri i Frost* come un tuo progetto personale o come una vera e propria band?
All’inizio i Frost* sono stati un’idea esclusivamente mia. Ero piuttosto annoiato, a causa di una routine musicale nell’ambito del pop che si protraeva da troppo tempo. Anche l’idea di chiamare John Mitchell è stata mia, perché mi piacevano molto i Kino: successivamente, è stato lui a chiamare John Jowitt al basso. Quindi, come vedi, da un mio progetto inteso a spezzare la noia, è nata una vera e propria band. Oggi non saprei dire se è prevalente l’aspetto del mio divertimento personale e della mia ricerca verso nuove forme di musica, o se ormai i Frost* hanno acquisito uno status autonomo e loro proprio. Probabilmente c’è una compresenza di entrambi gli aspetti.
Ricollegandomi a quanto mi hai appena detto, ti volevo proprio chiedere come ci si sente a scrivere e produrre per molto tempo album di musicisti pop, come le Atomic Kitten, e quindi iniziare improvvisamente a comporre e suonare musica progressiva?
Come dicevo, erano ormai più di cinque anni che ero preso a tempo pieno nell’ambito della pop music. Ho pensato quindi che era venuto il momento di dedicarmi ad una mia vecchia passione, dal momento che ho sempre subito il fascino dei grandi gruppi progressivi degli anni Settanta. Anche l’ascolto di Steve Vai e della sua musica sempre varia e stimolante ha contribuito a riaccendere la scintilla di questa passione giovanile. Così ho deciso di organizzarmi e comporre un album prog, ed eccomi qua. Sono molto felice di aver fatto questa scelta!
Sei soddisfatto della tua collaborazione con InsideOut?
Decisamente sì. Stanno compiendo un grosso lavoro di promozione per i Frost*, e c’è un rapporto di reciproca stima tra il gruppo e l’etichetta, poiché a loro piace veramente la musica che facciamo. Forse non hanno apprezzato completamente “Milliontown”, però il nuovo album li ha colpiti molto, e lo considerano un vero e proprio passo in avanti per la nostra carriera artistica. Quindi, per ora, le cose vanno più che bene; non saprei dirti per il futuro, dato che il contratto che abbiamo firmato era per due album, quindi vedremo come si evolverà la faccenda. In questo momento, però, è tutto positivo.
Un’ultima domanda, Jem; che cosa vuoi ottenere, realizzare con la tua musica?
I Frost* sono nati come mio sfogo personale, e questa è la loro essenza. Quindi con loro non voglio ottenere fama, gloria o fare vagonate di soldi; non è questo il mio obiettivo. Quando sono in studio penso al piacere che provo suonando e componendo materiale che mi piace, che ritengo interessante e che contribuisce alla mia crescita artistica e musicale. Fondamentalmente non lo faccio neppure per i fan, perché non è mia intenzione fare della musica solo per blandire i gusti del pubblico…ecco, quello che voglio veramente realizzare è prima di tutto la mia felicità, è scrivere canzoni che mi facciano sentire felice. Se poi tutto questo viene apprezzato anche all’esterno, se riesco a condividerlo con gli altri appassionati di musica, allora sono ancora più felice. Ma principalmente si tratta di una gratificazione personale.
Grazie per il tuo tempo e la tua disponibilità, Jem! Concludi come credi.
Grazie a te Stefano! E grazie a tutti coloro che hanno acquistato i nostri dischi, o che semplicemente apprezzano la nostra proposta musicale. Take care!
Stefano Masnaghetti