In occasione della promozione di “No Sacrifice, No Victory”, Outune ha incontrato i disponibilissimi Joacim Cans e Pontus Norgren, per una chiacchierata estremamente piacevole e rilassata. A loro la parola.
8 gennaio 2009
Iniziamo parlando del vostro nuovo disco: secondo voi, quali sono le maggiori differenze tra “No Sacrifice, No Victory” e i lavori precedenti?
Joacim – Credo che si tratti dell’album più completo di tutta la nostra carriera. Non ci sono pezzi deboli o filler di alcun tipo, ogni canzone che compare è stata messa con una ben precisa ragione. Tutto questo è stato possibile anche grazie a un’iniezione d’energia, energia che forse stava venendo a mancare negli ultimi tempi, probabilmente perché stavamo cominciando a ripeterci eccessivamente. Quindi abbiamo deciso di evitare questo pericolo, e in questo senso gli arrivi di Pontus e di Fredrik ci hanno grandemente stimolato, sia in fase di composizione sia in fase di registrazione. D’altra parte è anche difficile essere oggettivi nel valutarlo, dato che sono passati appena due mesi dall’inizio del missaggio, avvenuto a novembre: ovviamente alla fine di tutto questo processo eravamo piuttosto stanchi di scrivere, registrare e risentire le stesse canzoni ogni giorno. Ma è bastato prenderci una pausa a lavori conclusi per riscoprire, poco tempo dopo, la carica di energia positiva e la gioia che abbiamo provato nel creare questo album: tutte sensazioni presenti in studio, che credo siano percepibili anche ascoltando il disco finito.
Qual è il significato del titolo?
Joacim – Il titolo si riferisce al fatto che se tu vuoi ricevere qualcosa, raggiungere determinati obiettivi, devi saper rischiare e metterti in gioco. Se invece ti siedi senza far nulla, e aspetti che succeda qualcosa, capirai che in realtà non succederà proprio nulla nella tua vita! Credo che noi Hammerfall siamo stati in grado di sacrificarci un bel po’, attraverso gli anni, per poter giungere alla nostra personale vittoria: sono passati dodici anni dal nostro esordio, e io sono seduto qua, suono ancora la musica che amo, faccio tour in tutto il mondo, e gli Hammerfall possono contare su una nuova generazione di fan. Per noi questa è una grande soddisfazione, e sì, credo che possiamo consideraci vittoriosi.
Nel passato i tuoi testi erano più incentrati su tematiche fantasy e saghe leggendarie, mentre adesso sembrano concernere maggiormente le tue riflessioni personali: quali sono le motivazioni di questa scelta?
Joacim – Non la chiamerei scelta, sì è trattato piuttosto di un processo naturale: adesso, tramite i miei testi, voglio esprimere ciò che provo. In passato i testi erano diversi perché era quella la visione che avevo del metal. Però devo anche aggiungere che non ho mai letto nessun libro fantasy in vita mia: il mio mondo l’ho creato solo tramite l’immaginazione, l’unico vero limite che ogni artista dovrebbe avere. Naturalmente, i testi devono anche andare d’accordo con la musica: è ovvio che se narri di una battaglia o dell’uccisione di un drago, hai bisogno di una musica dura al punto giusto, con riff potenti e un tempo sostenuto, altrimenti il drago non muore (ride). In questo ultimo album, invece, ho scritto testi che per la maggior parte hanno a che fare con pensieri piuttosto cupi e personali.
In “No Sacrifice, No Victory” ho notato la compresenza di pezzi veloci, che ricordano le vostre prime composizioni, e pezzi più lenti, debitori di “Chapter V”: sei d’accordo?
Joacim – Abbastanza: in effetti, alcuni pezzi, come per esempio “Legion” oppure “One Of A Kind” sono rapidi e hanno un feeling decisamente epico, che ricorda molto le sonorità di “Glory To The Brave”. In ogni caso tutti hanno il nostro trademark, si sente sempre il nostro stile, quello che gli Hammerfall hanno creato durante la loro carriera.
Ho apprezzato molto l’intro di organo in “Between Two Worlds”: di chi è stata l’idea?
Joacim – E’ stata di Oscar, che ha scritto interamente la ballad: ha anche avuto l’idea di una collaborazione, così abbiamo pensato di chiamare in causa Jens Johansson, conoscendo bene la sua bravura come tastierista, la sua abilità nel riuscire ad ottenere suoni grossi e potenti. Credo anch’io che sia stata un’ottima idea, anche nel suo risultato concreto.
Pontus – Quello che mi colpisce è la sua autenticità: non suona finta o plastificata, non ha nulla a che vedere con alcuni orribili esperimenti fatti con sintetizzatori da quattro soldi, ha il timbro di un vero organo da chiesa. Jens ha svolto un grandissimo lavoro, la resa del suono è viva e cristallina.
Pontus, come sei entrato negli Hammerfall?
Pontus – Con loro mi conoscevo già da tempo: io e la mia vecchia band, The Poodles, avevamo fatto da spalla agli Hammerfall durante il loro ultimo tour, e fin da subito abbiamo trascorso molto tempo insieme e ci siamo trovati molto bene. Dopo la partenza di Stefan fu Joacim ha chiedermi se conoscevo qualche chitarrista nella zona di Stoccolma che potesse fare al caso loro, così ho subito pensato: “Beh, ci sono già io a disposizione”, quindi ho lasciato la mia vecchia band e mi sono unito a loro, avvisando che non ero lì per rubargli le fidanzate (ride).
Joacim – Infatti è stata una sua decisione spontanea: non sono stato io a chiedergli di suonare con noi, la richiesta è venuta direttamente da Pontus. Ed è stato molto meglio così: per evitare di avere una cattiva relazione in futuro, volevo che tutto nascesse dalla sua libera volontà.
Pontus – Ho sempre apprezzato la musica degli Hammerfall, fin dai loro esordi: capisci quindi che per me è stato eccitante entrare nella loro formazione, oltre ad essere stata una decisione naturale e spontanea, dati i nostri ottimi rapporti. Certo, la mia formazione musicale ha sempre guardato al lato maggiormente melodico del rock (ricordiamo che Pontus Norgren ha militato, tra i tanti, anche nei Talisman, una leggenda dell’hard melodico svedese, ndr.), quello che suono con gli Hammerfall è più heavy, ma la musica è musica, l’importante è saper scrivere belle canzoni.
Facciamo un passo indietro nel tempo: qual è stato il più importante album degli Hammerfall, quello che ha segnato una svolta nella vostra carriera?
Joacim – “Glory To The Brave”, il primo. Assolutamente. Perché fu una sorpresa per noi, anzi fu una sorpresa per tutti. Si è trattato di un inizio fortissimo, nessuno di noi si sarebbe aspettato un tale successo per un album heavy metal in quel periodo. Inoltre, già dal secondo album siamo stati in grado di portare avanti tour da headliner, in modo più agevole. In realtà già dopo “Glory…” facemmo un mini – tour come headliner, in Belgio e Olanda, ma non dimenticarti che quel disco dura 45 minuti, quindi eravamo costretti a suonare molto, molto lentamente (risate). Scherzi a parte, senza il clamore suscitato da quel disco non ci sarebbe stato nessun altro disco.
Quanti dischi avete venduto nella vostra carriera?
Joacim – Credo che siano intorno ai due milioni, contando tutti i formati, quindi cd, vinili, ecc.
Quali sono le differenze tra il mercato discografico statunitense e quello europeo?
Joacim – Beh, direi che sono abbastanza grosse: prima di tutto in America vendiamo molto meno, perché il genere che suoniamo è molto meno seguito in quel paese, e di conseguenza anche i nostri sforzi promozionali sono sempre stati meno intensi rispetto a quanto fatto in Europa, dove tra l’altro abbiamo anche suonato molto di più dal vivo. Ancora oggi i nostri mercati di riferimento rimangono la Germania e la Svezia. Oggi comunque è molto più difficile vendere cd anche in questi paesi, e non possiamo paragonare i dati di vendita che hanno avuto i nostri primi tre dischi con quelli che abbiamo oggi. Pensa che “Glory To The Brave” vendette più di 200.000 copie! Ancora oggi siamo davvero orgogliosi di quanto abbiamo realizzato nella nostra storia, soprattutto per essere riusciti a pubblicare un disco di metal classico nel 1997.
Quali sono i tuoi ricordi della tua esperienza nei Warlord?
Joacim – Suonerà scontato, ma per me si è trattato di un sogno divenuto realtà. Sin da piccolo fantasticavo di diventare, un giorno, membro di questa fantastica band. Quando Mark mi chiamò per cantare in “Rising Out Of The Ashes”, il disco della reunion, non potei che accettare. Ci siamo divertiti molto insieme, e la cosa che ancora mi fa maggiormente piacere è il fatto di essere riuscito a farli suonare dal vivo, come successe a Wacken ad esempio, perché in passato non lo avevano mai fatto. La loro eredità è ancora viva, e se in futuro ci sarà ancora l’occasione di poter suonare con loro, la mia speranza è quella che si trovi un budget adeguato per poter produrre il loro album definitivo.
Passati alcuni anni, sei ancora soddisfatto di aver realizzato il video di “Hearts Of Fire” insieme alla squadra femminile olimpica di curling del tuo paese?
Joacim – Assolutamente sì! Si è trattata di un’esperienza fantastica! La cosa più figa è stata poter fare questo con la nostra nazionale femminile di curling, uno sport semisconosciuto ma che trovo interessante, specie se a giocarlo sono delle donne (ride): insomma, molto meglio che farlo con la solita squadra di calcio maschile. Ricordo che, alla presentazione del video, i giornalisti italiani ci dicevano di non fare il gesto delle corna…
Stefano Masnaghetti