Joe Victor: “Non facciamo musica da social”

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I Joe Victor si insinuano nel panorama della musica italiana indipendente con un soffio di genuino divertimento. Alla presentazione del loro primo disco “Blue Call Pink Riot”, avvenuta con un concerto sold out al Teatro Quirinetta di Roma il 29 ottobre 2015, Gabriele e Valerio, rispettivamente cantante/chitarrista e tastierista, si sono prestati a parlarci un po’ della band, dei sogni e dei progetti futuri, dopo una vera e propria consacrazione.

Voi da quanto suonate insieme?
Gabriele: Abbiamo cominciato un anno e due-tre mesi fa con un po’ di concerti sporadici per capire le canzoni da tenere, quelle da scartare… Insomma, definire la scaletta. Il primo concerto ufficiale è stato a giugno 2014, il 23 ottobre 2014 primo concerto al Circolo degli Artisti e l’attività live è iniziata a gennaio. A oggi siamo a 107 concerti prevalentemente a Roma. Tre concerti a settimana, per questo la gente ci conosce! (Ride). Siamo stati a Perugia, a Venezia, a Bologna, a Napoli, poi a Londra due volte e poi siamo andati allo Sziget di Budapest. In un anno è una cosa che non ci si crede: non ha senso, abbiamo cominciato da un video su Youtube.. Non è che facciamo musica social, in italiano.

Valerio: io e Gabri ci conosciamo da dieci anni. Abbiamo caratteri opposti ma la musica piace a tutti e due, abbiamo lo stesso fuoco musicale, variegato. Sperimentare è difficile ma ci proviamo: il solo di Electric Light lo abbiamo riarrangiato da un jazz etiope dove era fatto col sax. C’è una seconda minore all’inizio che è un cazzotto in un occhio ma poi apre il pezzo, ci piacciono queste cose particolari: il folk sì è fichissimo, il blues è una bomba a mano, ma cerchiamo di introdurre delle novità che cambino un po’ l’atmosfera.

Prima che entraste hanno messo un pezzo dei Creedence Clearwater Revival e tutti la cantavano. Ero rimasta una delle poche nostalgiche a saperla, ma effettivamente ho capito che la vostra musica un po’ ricalca quell’atmosfera lì. L’ispirazione viene da lì o c’è anche altro?
Gabriele: Viene da lì, soprattutto per la voce e per la chitarra. Però è un mix: crediamo nel “libera la fantasia e il gusto”. Ti giuro, non saprei dirti un nume tutelare o qualcuno che ci abbia ispirato più di un altro. Sicuramente nei live io ho molto il timbro in stile Creedence, ma mi piace James Brown come atteggiamento sul palco, Cat Stevens tantissimo e la musica dance anni Settanta, le batterie degli anni Ottanta, le tastiere degli anni Ottanta, quindi in realtà c’è un po’ tutto. Se ci si focalizza su voce e chitarra c’è molta America degli anni Sessanta e settanta, ma se vai a spulciare il resto delle cose le influenze sono varie.

Valerio: la musica è tutta bellissima, qualsiasi genere è incredibile. C’è chi lo fa meglio e chi lo fa peggio, ma l’ispirazione viene da tutto: dalla minimal house al folk americano. Poi adesso c’è un fermento bellissimo in giro, il filone underground sta diventando parallelo al mainstream come Florence + The Machine o St Vincent. È una bella globalizzazione.

Infatti ci sono riprese da country americani, i bassi che sembra spunti Donna Summer da un momento all’altro.. Tutte queste influenze non rischiano di farvi perdere un’identità? O è questa la vostra identità?
Gabriele: È questa, credo sia questa. Cerchiamo di fare delle canzoni e sappiamo quello che non vogliamo: non vogliamo fare testi sociali, dove si parla della società, dove uno si riconosce e si è critici e polemici. Non ci interessa, come non ci interessa la questione della lingua, italiano o inglese: ci interessa che sia soulful, che ci sia l’anima. Vale quello.

Quindi come mai l’inglese?
Gabriele: È la musica che ascoltiamo spesso, mi piace di più cantarlo. Riusciamo a comunicare e a dire meglio le cose in inglese. Ce ne freghiamo molto di tutta ‘sta roba: l’importante è che le persone escano con un sorriso e con il cuore scaldato.

Voi sui social quanto siete attivi?
Valerio: Poco perché siamo scemi! Io con la tecnologia sono una trippa al sugo (ride) quindi pensiamo di assumere un’agenzia di comunicazione.

Progetti futuri e obiettivi?
Gabriele: Promozione del disco e tour in tutta Italia, speriamo pure in Europa. Vorremmo andare in Francia, Inghilterra e Spagna. Vediamo, se va quest’anno va… Il tour comincia il 21 novembre a Milano con la presentazione del disco, poi Torino, Bergamo, Chianciano, Roma di nuovo, un po’ di tappe in tutta Italia. Noi dovemo sona’ (sorride). Sul disco è tutto un altro atteggiamento, più intellettuale… È più lento, dipende con chi lavori, con quale produttore lavori.. è tutto dialogo. Noi abbiamo lavorato con Bravo Dischi, con Fabio, il fonico che era in sala.

Valerio: Fare bella musica, far ballare la gente e divertirci anche noi. A noi piace quello che facciamo! Vorremmo allargarci un pochettino, mettere qualche semino europeo, vedere qualche risposta, e poi magari gli Stati Uniti! Quello è un mercato grosso, intanto iniziamo da qua e vediamo che succede.

Questa sera che avete sentito?
Valerio: è stato incredibile, lui s’è pure tuffato!
Gabriele: ci sono stati alcuni problemi tecnici all’inizio che ci hanno un po’ massacrato, ma ce ne siamo fregati. Poco prima della metà ho sentito il calore che saliva, forse perché era parecchio caldo (ride)
Valerio: sembrava una religione. Sembrava che per le persone fosse catartico. Per noi è stato enorme! Quasi mi vergogno, mi sono fermato che dovevo fare un acuto e vedevo la gente con le mani per aria, me stavo pe’ mette a piagne! C’è stata una risposta eccezionale, persino gente che non è riuscita a entrare… quindi dovremo fare un concerto anche per loro.

Quando?
Valerio: Che ne so? Fòri! (ride)

Come Glen Hansard di recente a Bologna…
Valerio: Mo’ s’attrezzamo pure noi!

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