Forse è giunto il momento di dire che il livello qualitativo del cosiddetto underground italiano sia molto più elevato di quanto troppi siano portati a pensare. Un gruppo come i Kaufman, provenienti da quel bacino musicale incredibile che è da sempre il bresciano, dimostra che troppo spesso ci concentriamo su prodotti esteri di bassissima qualità, finendo per perdere vere gemme come il nuovo “Magnolia”, concept album sulle contraddizioni frutto della mente di Lorenzo Lombardi, voce e scrittore del gruppo. Abbiamo incontrato proprio Lorenzo per discutere di tutto, dalla scelta di cantare in italiano alle particolari collaborazioni di cui è pieno il disco.
Quando è maturata in voi la convinzione che la vostra proposta sarebbe stata più convincente se cantata in italiano?
È una convinzione che nasce da molto lontano in realtà, ogni volta che qualcuno esprimeva il desiderio di capire, istantaneamente con la musica, il mondo evocato anche dalla parola. Voglio dire, l’impatto comunicativo dell’insieme musica (melodia e parola) è in grado di dare sfumature molto più interessanti. E poi c’è anche il senso della sfida: provare a lavorare sul linguaggio che meglio possiedo, per ragioni ovvie, in ambito musicale è un’opportunità che non può essere messa in un angolo tanto facilmente. La lingua dice tantissimo, pesa come una pietra. C’è la faccenda del significante. Mi spiego. Hai presente il libro “Il Giovane Holden”? Insomma, tutti ti spiegano questa cosa se lo leggi, ma è importante. In inglese il titolo originale è “The Catcher In The Rye”, cioè letteralmente “l’acchiappatore nella segale” e il significato viene spiegato poi in un capitolo del libro. Ma il problema è il significante, cioè la parola stessa e il mondo che richiama nell’immaginario collettivo. Il catcher in America è il tipo che nel baseball ha il guantone e riceve la palla, una figura quotidiana per un americano medio. E rye è la segale certo, ma da quella segale si trae il whiskey e nei posti di provincia chiamano direttamente rye proprio il liquore stesso.
Quindi se guardassimo il significante potremmo tradurre quel titolo come ” il terzino del chianti” nell’immaginario italiano. Ecco, qui sta il punto. Il significato l’ho sempre trovato banale e poco adatto a una canzone. Per la politica ci sono comizi, lunghi e articolati, per la filosofia manuali, per raccontare una storia che abbia un’articolazione non banale serve la prosa. Una canzone invece è quasi una poesia, con l’arma delle note in più. Il senso sta in un gesto solo, il resto è quel mondo che è costruito sul mondo che il suono delle parole creano.
Non ti è mai capitato di sentirti gonfiare il petto per frasi apparentemente senza senso? Pensa a “Smells Like Teen Spirit”…
Le canzoni che scrivo provano ad essere questo…un quadro dipinto a parole che creano una fotografia…a tratti grossi un po’ impressionista, perché in poche pennellate si deve aver catturato il momento.
Vi siete sentiti un po’ “costretti” dal nostro mercato in questa scelta? Sappiamo che gli italiani partono spesso con pregiudizi a riguardo…
Il mercato conta poco. Una costrizione credo che non si sposi bene con il concetto di creazione artistica. Certo l’italiano offre una possibilità di ascolto a un pubblico più ampio. Ma o il cambio di lingua è in fondo già nelle tue corde oppure è difficilissimo.
Non so se siete d’accordo con me, ma dopo aver ascoltato più volte “Labbra”, continuo a sentire una fortissima influenza dei Rem in questo brano. Magari mi faccio solo condizionare dal vostro nome!
Certo, i Rem sono una delle influenze, ma ce ne sono molte altre. Io stesso riascoltando il disco fatico a capire quali ascolti siano stati per noi essenziali e quali no nel corso di anni e anni di dischi sentiti in auto.
A proposito del nome, volete spiegare bene da dove deriva? Molti pensano solo da Andy Kaufman…
Il nome Kaufman è associato a personaggi diversi: Andy Kaufman appunto, geniale showman newyorkese, ma c’e’ anche Charlie Kaufman, sceneggiatore folle e surreale o Millard Kaufman, inventore nientemeno che del personaggio Mr. Magoo. Diciamo che la fascinazione di questo nome sul nostro immaginario è quella di una cultura appena sorridente, acuta eppure a suo modo popolare nel mondo statunitense. E ci piace pensare che la nostra musica gli assomigli un po’.
Come è cambiato il vostro approccio alla musica dagli esordi ad oggi?
L’approccio cambia ogni giorno di vita in più e ogni disco ascoltato in più. Forse c’e’ un punto di partenza e uno di arrivo ma solo se scatti una fotografia. Anche in questo istante già sta cambiando.
Quanto è cambiato il tuo modo di scrivere canzoni negli anni?
E’ una domanda difficilissima. Non so rendermene conto. Ho l’impressione di aver sempre considerato la canzone come una rappresentazione istantanea, come un quadro impressionista. In poche pennellate provi a raccontare un mondo che può essere emotivo e fisico al tempo stesso. Come a dire…uno stesso albero visto con due stati emotivi differenti è due oggetti diversi, ha colori diversi, ha forme più o meno spigolose o dolci. Detto questo, è ovvio che disco dopo disco, lettura dopo lettura il linguaggio, musicale e testuale si affina, diventa più preciso forse o solo appena più consapevole. Ma, visto dall’interno, il processo ha comunque contorni molto sfocati.
“Magnolia” è un concept album un po’ particolare, che vede le contraddizioni come filo conduttore. Quando è nata l’idea di mettere in musica tutto ciò?
E’ venuto tutto molto naturale, senza troppi programmi o costruzioni. L’idea era raccontare la difficoltà e la bellezza della comunicazione tra due corpi e due anime, ma in fondo che idea è? È il dramma che ognuno vive. Raccontarlo viene da sé…
Come è nata la collaborazione con Omar Pedrini? Chi ha contattato chi?
Entrambi siamo di Brescia, ci conoscevamo, c’è una stima reciproca. Anzi direi di più…sui banchi del liceo si sognava sulle note di “Senza Vento” e si pensava a quando avremmo abbandonato i libri di latino per imbracciare chitarre anche noi. Omar ha ascoltato alcuni pezzi nello studio dove abbiamo registrato , ci ha espresso apprezzamento e dato consigli, e la sua partecipazione poi è nata così, spontaneamente e in modo bellissimo.
E quella con Filippini? Siete una band bresciano/bergamasca quindi ci saranno stati problemi legati alle diverse fedi calcistiche…
Antonio Filippini è un caro amico di Simone…altre volte ha fatto partecipazioni con noi durante qualche concerto. E i due bergamaschi dei Kaufman non sono dei tifosi di calcio ( UH!)
La scena musicale bresciana da decenni è ricca di band incredibili, che troppo spesso non sono riuscite ad arrivare a ciò che meritavano. Come mai così tanti talenti perduti?
La scena bresciana è certamente fervida per ragioni storiche e per congiunture decisamente particolari, tuttavia credo che la questione sia molto più ampia, che riguardi molte città. Nel corso del nostro tour precedente abbiamo girato club un po’ ovunque nello stivale e di band talentuose sottovalutate ne abbiamo viste tante. E’ molto più difficile di quanto si creda. Ma qui si aprirebbe un discorso lungo quanto un libro.
Cosa vedi nel futuro dei Kaufman?
Credo di aver bisogno di guardare nei fondi di caffè, perché le speranze sono un concetto molto diverso dalle previsioni. A te va un caffè?
Luca Garrò