“Nel caos di stanze stupefacenti“, in uscita il 7 aprile per Carosello, è un disco rumoroso. L’impatto sonoro del live si sente, eppure sarebbe banale definire il lavoro di Levante solo in tal senso. Claudia ha da sempre dato prova di dilettarsi con la parola musicata e scritta, ma niente come questo disco la consacra definitivamente tra le firme da tenere in considerazione. Una forte consapevolezza, immagini crude e la capacità di dire le cose come stanno, seppur sia una donna a cantarle.
Sei una cantautrice che con i titoli degli album non si è mai risparmiata. Ora, perché proprio questo titolo?
Le stanze sono le dodici storie che racconto. È un disco molto rumoroso perché avevo necessità di raccontare questo caos che in realtà nasce da un profondo silenzio in cui mi sono ritrovata nell’ultimo anno e che ho voluto raccontare. Un silenzio, però, fa tanto rumore e da qui le stanze stupefacenti. La vita mi stupisce sempre e quindi ho voluto giocare con questo titolo pieno di contrasti.
“Non me ne frega niente” nasce da una tua lettura dei social? Come valuti la rete?
La rete mi piace e sono totalmente ben inserita. Sono successe tante cose belle alla mia musica grazie a Internet. Tempo fa ho criticato un modo sbagliato, e poco educato, di utilizzare questo mezzo. Non credo ci sia questa grande differenza tra la realtà e la rete. La critica piccata, volgare, l’insulto non si trovano per strada perché si sa che non sarebbe giusto. La rete sembra concedere alle persone dei modi poco educati. Quando è successa la strage al Bataclan son rimasta molto sconvolta, era capitato durante un momento di gioia come la musica e l’intervento di molti mi ha deluso. Quindi ho fatto un post e si è scatenato un putiferio, non volevo attirare a me tutte quelle attenzioni ed i commenti sono stati anche pesanti. Quel fatto mi ha portato a scrivere “Non me ne frega niente”: mi dissocio dalla maleducazione, non dai social.
Cosa racconta la copertina del disco?
La persona composta, vista nelle precedenti copertine, qui cade. Nella prima indossavo il vestito da sposa di mia madre appoggiata al muro di casa in Sicilia, nella seconda ero posata che accoltellavo un cervello e stringevo fiera un cuore. Ora cado, cado nello specchio. Si è rovesciata la poltrona e ci sono io con i vestiti essenziali. Qualcuno l’ha anche criticata negativamente e mi è dispiaciuto. Al di là dei commenti anacronistici, non avrei potuto indossare nient’altro che le mie mutande e la canottiera perché mi sono messa a nudo nel disco. E poi c’è il blu, il mio colore preferito.
Come nasce il duetto con Gazzè?
È il mio padrino, c’è un bellissimo rapporto, a tratti paterno. È molto protettivo. Ho aperto i concerti del Sotto Casa Tour, lì mi ha concesso di poter parlare davanti a tante persone. Quando ho scritto questo brano e ho pensato ad un possibile featuring, è stata la prima persona a cui ho pensato. Anche perché il brano è fortemente ironico ed è perfetto per lui”.
Sei sempre attenta alla contemporaneità: da Tiziana Cantone e la violenza sulle donne, sino a toccare l’omossessualità.
Scrivo spesso dei miei amori, tristezze. Con “Gesù Cristo Sono Io”, senza grandi pretese, ho voluto raccontare la storia di chi vive violenze da parte dei propri compagni. Donne maltrattate che finiscono in situazioni tristi; nell’ultimo anno ci sono state questioni come quella di Tiziana ed altre storie. Ho preso spunto da fatti biblici per raccontare la situazione che vivono queste donne che non hanno il coraggio di esporsi: quando sei all’interno di situazioni del genere non è mai facile.
Quando ami il tuo carnefici non è facile chiedere aiuto. Racconto di un Cristo, una donna, che credeva di essere una regina ma sulla testa ha solo tante spine. “Santa Rosalia”, parla dell’omosessualità, partendo dal racconto di una persona a me molto cara. L’ho dedicato a lei. È nata una filastrocca in maniera spontanea, come se l’omosessualità venisse spiegata ai bambini: “rosa o blu, dai un bacio a chi vuoi tu”.
Cosa pensi della superficialità con cui ci si approccia oggi alla musica?
Credo sia colpa della velocità. Io stessa ho fatto tre dischi in tre anni, è pericoloso ma nessuno si è stupito. Quando le cose sono gratuite, c’è anche un modo superficiale di affrontarle. Ascolti una canzone, poi skippi, vai avanti e avanti ancora. Pochi si soffermano. Ricordo i miei primi dischi, li consumavo brano dopo brano per quattro mesi. Oggi, al di là della quantità con cui riceviamo la musica, non abbiamo neanche più il tempo per stare al passo con tutto. C’è tanta superficialità. Sono anche spaventata: la musica non si sta più vendendo, cosa ci inventeremo per campare di musica? Non so come si possa salvare questa situazione. Campiamo di live, non certo di vendite.