I L’Or si ripresentano al pubblico con “Rabbia E Sole”, un album che fin dal titolo fa capire bene le due anime che pervadono il lavoro dall’inizio alla fine. Un album sentito, suonato e che racconta molto bene tanto la malinconia di una generazione, quanto la voglia di lottare e di non perdere mai la speranza in un futuro diverso. Mi ha stupito la scelta de “l’Eroe” come pezzo iniziale. Com’è ricaduta la scelta su un brano così forte per dare inizio all’album?
Per “costruire” questo disco col nostro produttore Gianni Errera siamo partiti valutando circa 30 provini da noi realizzati in sala prove. All’ascolto ripetuto emergeva prevalente la nostra matrice rabbiosa e fortemente votata al rock. Nonostante disponessimo di numerose ballad ed alcuni brani potenzialmente “danzerecci”, il taglio del lavoro doveva necessariamente rispecchiare il più possibile la nostra identità. Da qui la scelta di partire con “L’Eroe”. Una track d’impatto con un tiro indie-rock ed un testo scioccante che trasporta l’ascoltatore fin dall’inizio nel mood prevalente dell’intero album.
Sbaglio o la malinconia è un elemento ricorrente nei testi di “Rabbia e Sole”? Anche se non citata esplicitamente, mi pare che l’album ne sia permeato. D’altra parte, l’eroina stessa è considerata la droga della malinconia…
Beccato in pieno! Quasi tutti i miei testi hanno uno sfondo malinconico. Sia il nostro stile compositivo che il mio letterale ne sono velatamente intrisi. Un po’ per carattere, un po’ per esperienze e scelte di vita, forse. “L’Eroe” racconta la storia vera di una persona che ho conosciuto. In generale cerco di descrivere soltanto ciò che conosco o che ho vissuto personalmente, spesso in modo autobiografico. Mentre scrivo non me ne rendo conto, ma quando rileggo i miei lavori, una volta uscito dalla “trance” autorale, mi accorgo di usare parole colorate di malinconia. Lo trovo un sentimento onesto e pulito, essenzialmente positivo perché ti tiene legato a ciò che sei stato e invariabilmente non sarai più. Una sorta di monito a mantenere saldi i piedi per terra.
“Febbre al silicone” è un pezzo molto particolare, ironico, ma con un risvolto che lascia aperte più interpretazioni. Come è nato?
E’ nato come tutti i brani dei L’OR. Dalla folgorazione di un attimo e dalla voglia di provocare una reazione, a volte dissacrare. Un amico londinese qualche mese fa mi raccontò una sua esperienza simile. In un locale pubblico incontrò una ragazza “rifatta”. Cominciò la conversazione prevenuto, scoprendo man mano di avere parecchi interessi in comune. Il dialogo divenne complice e le affinità si trasformarono in pochi giorni in un rapporto di coppia. Ricordo che gli dissi: “Un giorno ci faccio un pezzo…”
Il disco dura poco più di trentacinque minuti e penso che la cosa giovi molto al risultato finale. E’ stata una scelta voluta?
Scelta più indotta che voluta, almeno non da subito. Durante la pre-produzione e la registrazione della prima parte di “Rabbia e Sole” abbiamo “gestito” ogni brano con la stessa meticolosa attenzione che si dedica ad un singolo radiofonico. Di conseguenza, senza rendercene apparentemente conto, a metà dei lavori ci siamo accorti che i brani duravano tutti al massimo 4 minuti scarsi. Visto il ritmo accattivante che la scaletta sosteneva fino a quel punto, abbiamo ritenuto opportuno concepire la seconda metà con la stessa intenzione.
“Il Rock Ci Ha Dato Un Tetto” sembra autobiografico. A chi ti rivolgi nel pezzo?
Appunto lo è. Mi piace definirlo un diario di una grande amicizia fra due giovani uomini legata dalla musica. Uno cultore e appassionato, l’altro musicista di professione che dall’Italia si trasferisce in Inghilterra per rincorrere il suo sogno. Dopo anni di intenso rapporto i due sono costretti a prendere strade diverse, ma il sentimento viene coltivato a distanza fino a quando quello rimasto in Italia molla tutto per raggiungere l’amico di sempre.
Nel brano hai citato Bowie e Freddie. L’hai fatto solo perché due dei nomi più importanti degli anni ottanta o perché magari tue fonti d’ispirazione?
Li cito per varie motivazioni. Le due proposte nella domanda sono entrambe valide. Del resto sono nomi talmente altisonanti ed a contenuto artistico talmente elevato che penso abbiano inevitabilmente influenzato, o perlomeno sfiorato il percorso di qualsiasi musicista sia venuto successivamente. Questo vale anche per me. Sono sempre stato attirato dal sound inglese. In quegli anni era un marchio di fabbrica inequivocabile. Inoltre sono tuttora gli artisti preferiti del protagonista del brano, mio caro amico.
Ma è davvero possibile in Italia che il rock dia ancora un tetto a chi lo fa?
La domanda mi fa sorridere, forse d’amarezza. Cercherò di non essere troppo polemico. Il musicista della canzone è costretto a trasferirsi in un altro paese per poter continuare a credere nel suo sogno. La situazione musicale in Italia ormai la conosciamo tutti. Gli unici nomi che hanno davvero peso per l’interesse pubblico ed i mass media si contano sulle dita di una mano. Fra questi forse solo due sono di respiro internazionale e spesso vivono di successi vecchi di trent’anni, ripetuti in ogni veste fino alla nausea. Basta questa fotografia per capire come stanno le cose qui da noi. Non c’è ricambio generazionale fra i musicisti. Pochissimi talent scout veri e poca voglia di scommettere su nuove proposte. Spazi mediatici intasati dai prodotti post-reality e major interessate solo ad artisti “radiofonici” provenienti da un percorso televisivo. Mi chiedo spesso se e come potremo crescere. In questo dovremmo prendere spunto dallo stile inglese. Toccandolo con mano più volte mi sono reso conto che là il gioco è differente: se hai qualcosa da dire davvero lo spazio si trova. Probabilmente non diventi il nuovo Bowie, ma senz’altro riesci a metterti un tetto sopra la testa. In Italia no.
Cosa viene ora per i L’OR?
Finalmente qualche bel palcoscenico, un tour già partito ed in costante aumento di date. Dopo quasi due anni di lavoro fra sala prove, studio e missaggio per la realizzazione di “Rabbia e Sole” l’unica cosa che ci mancava come l’aria era il momento live. Siamo ripartiti da poco ma è stato come rinascere e tornare bambini. Abbiamo davanti una primavera ed un’estate densa di appuntamenti. Ci auguriamo soltanto di affrontarli come fosse la prima volta che imbracciamo cuore e strumenti. Se poi dovesse uscirne qualcosa di più ci faremo trovare pronti!
Sanremo si è concluso da poco. Sinceramente, avete mai pensato di provare a parteciparvi? La partecipazione dei Marlene dimostra che spesso anche chi pare più lontano dalla kermesse abbia pensato di farlo…
Al contrario di chi snobba Sanremo un po’ per fede, un po’ per necessità, noi l’abbiamo sempre considerato una vetrina importante ed utile (forse l’ultima rimasta nel nostro paese) per far ascoltare una volta l’anno la nuova musica italiana all’intera penisola ed ai paesi collegati. Noi ci abbiamo provato nel 2009 e nel 2010 con due brani rock di sicuro impatto. La prima volta con il brano “Consapevole”, incluso nel nuovo cd, siamo arrivati in finale sul palco, eliminati poi al televoto. Il secondo con il brano “13esima stella” non siamo andati oltre la seconda selezione nonostante il nostro produttore abbia scritto una partitura d’orchestra eccezionale. Il punto è che anche la kermesse ligure è diventata un recipiente artistico blindato, dove per essere accettati/invitati ci si deve uniformare al solito format visto e stravisto della canzone melodica a sfondo amoroso, con direzione ed epilogo scontati. Le eccezioni più che onorevoli di Afterhours prima (2009) e Marlene poi dovrebbero rappresentare punti saldi dai quali ripartire per riformare l’anima della manifestazione. Purtroppo ci sono voluti tre anni per riportare sul palco dell’Ariston qualcosa di coraggiosamente diverso. E non ricordo nemmeno quanti ne sono passati dalle apparizioni di Bluvertigo e Subsonica. Mi piacerebbe ricredermi l’anno prossimo.
Avete ancora degli eroi, musicalmente parlando?
Ma certo! E penso ne nascano sempre di nuovi. Proprio per questo la musica può rinnovarsi negli anni. Ogni artista che rispecchia per noi l’idea soggettiva di canzone perfetta può diventare potenzialmente un eroe, visto che grazie al suo modo di comunicare ci regala un momento immortale che nessuno ci può togliere. I L’OR si sono innamorati della musica ascoltando Beatles, Led Zeppelin e Pink Floyd, cresciuti imitando Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden e Smashing Pumpkins, incazzati pestando come Metallica, Motorhead, Foo Fighters, cambiati interpretando il messaggio di Radiohead, Muse, Oasis, maturati arrendendoci all’immensità di Jeff Buckley e sorpresi davanti alle tavolozze colorate di Fabrizio De Andrè, Afterhours e Marlene Kuntz. Tanti eroi da seguire come esempio per creare la propria sincera identità.
Luca Garrò