Luca Jurman (Press Conference)

 

L’album “Live In Blue Note Milano”, uscito pochi giorni fa, sancisce la proficua collaborazione fra la catena di locali tempio del jazz e della black music e Luca Jurman, musicista conosciuto dal grande pubblico per esser stato l’artefice del successo di molti cantanti saliti alla ribalta grazie alla partecipazione ad “Amici”.

 

16 dicembre 2009

Ma Luca dimostra di essere artista ben più profondo e preparato rispetto a quanto può emergere dal semplice medium televisivo e, nonostante abbia appena subito un’operazione al ginocchio, durante la conferenza stampa si rivela un fiume in piena, parlando di musica a 360 gradi per quasi un’ora. Quelli che seguono sono solo gli estratti fondamentali e irrinunciabili di una chiacchierata fra Jurman e i giornalisti presenti per l’occasione.

“Avevo già dichiarato che non avrei fatto più parte della scuola di ‘Amici’. Ognuno ha preso le sue decisioni: nella vita, come è stato detto, tutti sono utili e nessuno è indispensabile. In ogni caso preciso di non aver avuto nessun tipo di problema con Maria De Filippi, anzi penso di aver con lei un rapporto tranquillo, sereno e splendido. Insomma, quest’anno è andata così, semplicemente. Invidia degli altri maestri verso di me? Non credo proprio, anche perché hanno vinto i ragazzi, non ho vinto io. Certo questi risultati mi hanno gratificato moltissimo, anche perché sto vedendo che le loro carriere stanno andando molto bene.”

“Ammetto che la televisione ti dà una visibilità talmente ampia e talmente grande che puoi riuscire ad avvicinare moltissime persone alla tua musica. Così è successo anche nel mio caso: il mio pubblico è aumentato. Ma non direi che sia cambiato. È aumentato perché si sono avvicinati i giovani. Il pubblico che è abituato ad apprezzare la soul music, e quindi tutta la musica di derivazione jazz e blues, ha orecchie allenate. In questo senso i giovani di oggi hanno allenato benissimo le loro orecchie. D’altra parte la musica che faccio io rappresenta le radici di quello che producono gli artisti pop dei nostri giorni; penso a Beyoncé e, in generale, a tutto l’r’n’b e il soul moderno. Quindi il fatto che gli esponenti della musica mondiale di adesso siano estimatori di questi generi offre una possibilità in più ai giovani di ascoltare qualcosa di diverso da quello che sono soliti frequentare, fino ad arrivare ad amarlo e persino a riprodurlo. Insomma, trovare questo gruppo misto che va dalla quindicenne all’ottantenne fa molto piacere, è uno spettro di pubblico molto ampio e non più settoriale.”

“Il percorso che seguo da molti anni, e che probabilmente mi ha portato ad avere questo continuo seguito di pubblico, è proprio quello di riproporre i classici del soul attraverso arrangiamenti che siano in sintonia con le nuove sonorità, con le chiavi di lettura dell’ascoltatore moderno.  È un lavoro difficilissimo, ma molto importante per chi ama questo genere di musica. Amo l’idea di far ripercorrere all’ascoltatore la vita di questo genere, partendo da Ray Charles fino ad arrivare a John Legend e ad oggi, mantenendo un filo conduttore che leghi le diverse sonorità espresse nei vari periodi storici.”

“Quando eseguo una cover cerco di lavorare su due piani differenti: da un lato cerco d’immedesimarmi in essa, mentre dall’altro preferisco comunque evitare di sentirla mia al 100% e di appropriarmene, per una questione di umiltà e di etica artistica. Posso dire che avrei voluto scriverle io, questo sì. In ogni caso quello che amo e che mi appassiona tantissimo è proprio l’idea di reinterpretare seguendo le regole dell’interpretazione, ossia riarrangiare stando sempre attento a rispettare l’opera. La cover spesso viene vista in maniera strana, ma in realtà è una delle cose più difficili da fare, perché bisogna sempre tener conto la caratura artistica dell’autore che stai interpretando. Oltre a tutto questo, la cover è anche importante quale riconoscimento che tu dai all’artista che stai interpretando, anche solo a livello di diritti d’autore.”

“Ai miei allievi dico sempre che un personaggio come Stevie Wonder andrebbe visto obbligatoriamente da chi vuol fare musica. Nella mia vita ho girato tantissimo e ho sentito moltissima musica, e forse per questo adesso mi emoziono meno frequentemente rispetto ad un tempo. In questo Stevie Wonder è unico, nonostante gli anni la sua energia è sempre la stessa e lui continua a dare moltissimo alla musica. Tra l’altro stiamo parlando di un compositore che ha scritto moltissimi brani nella sua carriera. Un cantautore a tutti gli effetti. Così come sono cantautori quasi tutti i grandi esponenti della soul music, anche se non li chiamano così. Questo discorso lo faccio sempre quando un ragazzo si aggrappa alla scusa di essere un cantautore per affermare che non è importante che canti bene e che non gl’interessa lo studio del canto.”

“Sono sempre in contatto con i ragazzi ai quali ho insegnato ad ‘Amici’. Ognuno di loro ho grandi potenzialità per avere una carriera ricca di soddisfazioni. Alessandra Amoroso e Valerio Scanu, ad esempio, stanno andando benissimo, mentre penso che Silvia Olari non abbia avuto la visibilità che avrebbe meritato. Anche per questo ho deciso di ospitarla sul mio live al Blue Note di Milano. Ma credo che tutti loro abbiano la possibilità di diventare musicisti affermati e di poter durare molto a lungo, l’importante è che si mettano a studiare seriamente e non tralascino mai quest’aspetto del loro mestiere. Così facendo non rimarranno solo fenomeni passeggeri, a patto che imparino le problematiche del linguaggio artistico, perché non basta avere una canzone bella nel proprio repertorio, bisogna anche sapere portarla avanti e poi costruire il percorso di crescita dell’artista. Più in alto si va più le canzoni devono diventare di uno spessore differente.”

“So che oggi si criticano molto i talent show, i quali, secondo i detrattori, toglierebbero spazio a molti musicisti e autori promettenti. Io non credo che le cose stiano proprio così. L’arte esiste anche al di fuori dei talent show. Un nome che dovrebbe spegnere queste polemiche potrebbe essere quello di Vinicio Capossela: senza nessun tipo di promozione e senza partecipare a nessun format televisivo è un musicista che vende molti dischi da vent’anni, più di molti ragazzi che escono dai talent show, e i suoi concerti sono sempre pieni. Gli auguro di continuare così fino alla fine dei suoi giorni, perché se lo merita ed è un artista poliedrico che manda un messaggio molto forte. Noi parliamo sempre dei talent show come se fossero l’unica fucina di talenti, ma non è così. Non dimentichiamo che Laura Pausini, Eros Ramazzotti, o più recentemente Giovanni Allevi si sono imposti senza questi mezzi. Oltre a questo, non c’è solo l’Italia, c’è anche il mondo, e in questo ambito gruppi come gli U2 o i Coldplay vendono cento volte di più rispetto a Marco Carta. Quindi non dobbiamo guardare solo al talent show: se io avessi ragionato così la mia vita artistica si sarebbe già fermata, e invece non mi sono mai fermato.”

“Tornando al discorso di prima, oltre ad ‘Operazione Trionfo’  e ‘Amici’, la mia vita artistica si è svolta, e si svolge, anche su altri binari. Ad esempio, ho scelto di dedicarmi ad una musica che è comunque particolare e che non vende come altre; tant’è vero che il mio disco al Blue Note non esce né per Universal né per Warner né per Sony. Esce per Edel, e quindi non potrà godere certamente della distribuzione che possono avere i dischi che escono per questi colossi. Ma è una scelta mia, perché amo la musica e per questo sono sempre in giro come una trottola, ho difficoltà ad avere una vita normale, faccio fatica ad avere un rapporto sentimentale, ecc. Però riesco a vivere della mia musica, e ormai ci vivo da parecchio. Quello che dico è che è inutile lamentarsi delle scelte dei discografici e degli schemi secondo i quali pensano le grandi case discografiche, che spesso divergono pure da quello che pensa il pubblico. Io preferisco fare, sia che si tratti di insegnare ai ragazzi di un talent show, sia che si tratti di portare avanti un discorso musicale personale. Perché è vero che i talent show sono molto seguiti, ma oggi il web ha un potere enorme e certi siti sono visualizzati addirittura da più persone rispetto a quelle che guardano la tv: quindi anche voi giornalisti avete la possibilità di pubblicizzare la buona musica, persino di far valere le vostre opinioni di fronte alle major. Anche perché, alla fine, che cosa è pop e che cosa non lo è lo decide il pubblico, non lo decide l’etichetta discografica di turno. Ray Charles ha ‘inventato’ il soul ed è diventato un musicista pop, cioè popolare, che piace al popolo, senza che la sua musica avesse nulla in comune con quello che ai tempi era definito pop. Poi, se la Warner, la Sony, la Universal si sveglieranno dal loro torpore e produrranno i miei dischi o quelli di altri artisti che fanno musica diversa dalla norma, benissimo. Ma le battaglie non si vincono mai da soli. Quindi quello che voglio dire è: quelli che condividono una certa idea è meglio che si mettano assieme e che si facciano valere in questo modo.”

“L’avvento dell’mp3 ha portato un bene da una parte, ma una distruzione dall’altra. Perché è inutile continuare a parlare di musica gratis su internet: il download illegale è un furto, come andare a rubare una maglietta in un negozio. Ecco, il problema è che questo furto ha tolto il sostegno e le sovvenzioni economiche di chi faceva il talent scout, il produttore artistico e il produttore esecutivo. Adesso le case discografiche fanno tutto; a volte si arriva perfino al conflitto d’interessi, quando il management dell’artista viene svolto dalla discografica stessa. Quindi non c’è più il filtro che ci doveva essere fra artista e casa discografica, ovvero fra arte e business. Quindi per risolvere questi problemi è importante far capire ai ragazzi che bisogna tornare a comprare i dischi, se vogliono che i loro artisti preferiti abbiano maggiore libertà artistica, e se si vuole avere la possibilità di non far decidere tutto dalle etichette discografiche. Anche perché per fare un disco fatto bene è necessario spendere parecchi quattrini. Per fare un esempio, le ultime produzioni importanti che ho fatto avevano come budget un milione, un milione e mezzo di euro. Per fare un disco in tre mesi. Questo rende l’idea di tutto quello che spesso si deve investire per far bene un album.”

“Nel mio live al Blue Note ho interpretato ‘Gone Too Soon’ di Michael Jackson: l’ho sentita dal vivo, per la prima volta, in un suo concerto in America tanti anni fa. Si tratta di un pezzo piuttosto triste, la storia di qualcuno che se n’è andato troppo presto. Siccome Michael era appena morto, ho pensato di scegliere questo brano per ricordarne la scomparsa, che non voglio venga dimenticata. Da Jackson abbiamo preso tutti, cantanti compositori ballerini. Anche lui era un cantautore, lo stesso Quincy Jones parlava delle sue capacità mostruose. È anche una persona che ha sofferto tanto, per essere stata denigrata, io credo, semplicemente per invidia, perché aveva fatto molti soldi. Questo è un problema che abbiamo un po’ dappertutto: quando c’è qualcuno che è grande, quelli che sono piccoli, se non riescono a diventar grandi anche loro, cercano di distruggere quello che sta più in alto. Abbiamo sofferto anche da noi una cosa simile, se pensiamo al malessere e alle vicende di Mia Martini”.

Stefano Masnaghetti

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