“Una canzone al mese”. È una dichiarazione di intenti ad intitolare il nuovo progetto cantautoral-discografico di Luigi Grechi De Gregori, che da giugno, ogni 21 del mese sta uscendo con una nuova canzone. Una scelta che, pur nel contesto impegnato e anticonformista del cantautorato di Grechi, si inserisce molto bene in un mercato basato ormai sul singolo e sulla quasi estinzione del formato cd. Così, una dopo l’altra sono nate, comparse e scomparse dal sito dell’artista “Dublino” – vecchio cavallo di battaglia scritto insieme al fratello Francesco De Gregori, qui riarrangiato e reinterpretato con Grechi dalla Le Mondane band nel cui disco d’esordio è inclusa la nuova versione del pezzo, ad oggi introvabile in rete -, “Tangos and Mangos” e “Sangue e carbone (la pasiun de la mina)”, ascoltabili invece sul web. Abbiamo scambiato qualche battuta sui contorni di questo progetto con Luigi Grechi De Gregori, che potrete andare a sentire live venerdì 5 ottobre al The Boss di Milano e venerdì 19 ottobre al Folk Club di Torino. Ecco cosa ci ha raccontato in attesa del prossimo inedito, in arrivo il 21 ottobre.
Esiste un trait d’union tra le canzoni che stai pubblicando di mese in mese?
Quello che unisce questi brani è la mia persona, perché le mie canzoni nascono dalla solitudine in cui uno pensa. Oggi gran parte della gente non ha tempo per pensare e non lo vuole neanche, preferisce evitare di farlo e fa di tutto pur di non ritrovarsi solo coi suoi pensieri. Io, invece, solo coi miei pensieri ci sto bene, quindi le canzoni vengono fuori da ricordi, da cose che vedo, leggo, comunque sempre da momenti di solitudine, perché è solo lì che vengono delle idee.
Il pezzo con cui sei partito “Dublino”, però, nacque a due mani con tuo fratello Francesco De Gregori e a giugno è uscito nella versione arrangiata e interpretata dal duo Le Mondane.
Si, io sono un direttore marketing di me stesso dilettante e quella è stata una mossa ad effetto, perché c’erano tutta una serie di fortunate coincidenze, che portavano a scegliere quel pezzo: un gruppo di giovani all’esordio discografico, quindi largo ai giovani; è un pezzo che è uscito nel giorno della festa della musica, il 21 giugno; la canzone è scritta da Francesco De Gregori e dal fratello Luigi Grechi, quindi per i fan era una cosa abbastanza attrattiva e poi non avrei voluto bruciare un pezzo nuovo per un progetto che iniziava appena ad avviarsi. Ho prima scaldato un po’ le macchine con “Dublino”, che era parecchi anni che non facevo dal vivo, perché non riesco più ad accompagnarmi come vorrei e Le Mondane hanno fatto un arrangiamento molto simpatico e fresco anche se minimale, che mi è piaciuto molto.
Il secondo pezzo è stato “Tangos and Mangos”, un brano estivo e ironico.
Esatto, stonerebbe in un cd di brani miei fatto col vecchio concetto dell’album unitario, perché è un pezzo assolutamente disimpegnato, tanto per far vedere che non sono sempre un filosofo seduto dietro la mia scrivania, ma mi piace anche divertirmi e cazzeggiare un po’.
“Sangue e Carbone (La pasiun de la mina)”, invece, è un pezzo decisamente più socialmente impegnato.
Parla della sindrome del minatore e fa parte del mio stile e dei miei interessi. Ora da noi le miniere di carbone sono chiuse, ma tanti hanno avuto un nonno o uno zio che ha scavato nelle viscere della terra in paesi lontani. La canzone è dedicata a loro.
Prossima canzone in arrivo il 21 ottobre?
Sarà un pezzo più intimo, un po’ più lirico, ma sempre ottimista.
Sei in giro da qualche anno, in che stato di salute versa la canzone d’autore in Italia?
Per quanto ne so io sta benissimo, nel senso che io incontro nelle province una serie di autori bravissimi, che fanno cose interessanti e che meriterebbero di stare ai primi posti delle classifiche, però finché il mercato si muove come si muove adesso. Soprattutto la selezione, gli artisti non possono venire fuori dal nulla o da fabbriche come le presupposte scuole di cantautorato, non è una cosa che si insegna, si deve leggere, ascoltare e poi arriva anche la scrittura. Poi mancano i posti per la musica dal vivo, posti dove u ragazzo che imbraccia anche per la prima volta la chitarra, possa fra sentire cosa riesce a fare. Se non c’è questa base di partenza sotto casa, nelle città, nelle cittadine, dei posti dove si ascolta la musica tranquillamente e in pochi non ci sarà una selezione. La grande musica, non a caso, nasce in America e nelle isole britanniche, dove trovi musica in ogni pub, ristorante, albergo senza restrizioni, senza complicazioni burocratiche, pagando semplicemente le tasse dovute, ma senza tante barriere. Qui per un ragazzo che voglia far sentire la propria musica ci sono una serie di file, spedizioni di cd, demos e poi magari ti dicono come dissero a me quando feci ascoltare “Il bandito e il campione”: si si, tutta roba intelligente, ma di queste canzoni non gliene frega niente a nessuno. Dopo due anni Francesco (De Gregori) la cantò e salì in cima alle classifiche.
Recentemente hai tradotto “La ballata di Woody Guthrie”, il graphic novel di Nick Hayes uscito quest’anno. In che modo la vicenda del grande folk singer può essere considerata di ispirazione e significativa di questi tempi?
Il libro non è di interesse solamente musicale, il punto di vista dell’autore è particolare, perché il suo interesse principale è il disastro ecologico che poi è ala base dell’ispirazione delle prime canzoni di Woody Guthrie, una tempesta di polvere che distrusse i raccolti in seguito a delle politiche sciagurate di sfruttamento del territorio e trasformò in un deserto un luogo fertile come la prateria americana. È un discorso lungo. Ma è la storia di un ragazzo che si trova travolto dalla crisi economica del ’29 e dopo tre anni incappa in questa micidiale tempesta di povere ritrovandosi senza casa, in condizioni precarie, con la madre in manicomio per una malattia nervosa mai diagnosticata, il padre diventato inabile e che ha perso tutto, i fratelli sparsi qua e là. È una storia che potrebbe esistere ai nostri giorni in cui tanti giovani si trovano a soffrire più o meno come Woody Guthrie per le tempeste che gli arrivano addosso. Quindi è un libro molto bello, non solo la storia di un songwriter. Io sono stato scelto per tradurla perché non sono un esperto, ma sicuramente ho praticato le sue canzoni per almeno 30 o 40 anni.
Sulla sua chitarra c’era scritto “This machine kills fascists”, interessante, non trovi?
Woody Guthrie aveva un atteggiamento abastanza truculento, era un po’ estremista e non era molto ben visto dagli altri compagni, perché allora erano tutti appartenenti al mondo della sinistra operaia. Pete Seeger sul suo banjo aveva scritto: “Questa macchina circonda l’odio e lo spinge ad arrendersi”. Mi sembra pi ideologicamente corretto rispetto qualunque scritta che parli di uccidere. Infondo sono un pacifista, non tutto, ma almeno un po’.