Da più di quindici anni sulla cresta dell’onda, anche per i Marlene Kuntz è giunto il momento della pubblicazione di un greatest hits. Non che sia stata una loro idea, ma alla fine il prodotto è ben fatto e i grandi pezzi non mancano di certo.
29 gennaio 2009
Il gruppo ha parlato di questo e di altri argomenti con grande disponibilità, intelligenza ed umorismo.
Perché un Greatest Hits ora?
Come saprai, i greatest hits non vengono praticamente mai da un’idea degli artisti, ma sono suggerimenti delle case discografiche…Con questo non voglio assolutamente mettere in cattiva luce il prodotto, che anzi credo sia fatto bene, anche se logicamente lascerà qualche rammarico in chi lo ascolta. Ognuno non sentirà un pezzo che avrebbe voluto vedere nella tracklist definitiva.
A questo proposito, perché non fare un album doppio?
Be’ questo dovreste chiederlo ai discografici (ride). Sinceramente non saprei. Il fatto è che in ogni caso si sarebbe scontentato qualcuno. Volevamo assolutamente inserire delle cover e siamo molto soddisfatti di quelle che abbiamo scelto. Poi c’è il pezzo nuovo e il resto è stato scelto con molte difficoltà e mille ripensamenti. Non volevamo però fermarci ad una semplice autocelebrazione, anche per questo l’aggiunta dei pezzi nuovi è significativa. Perché comprare un album dove ci sono pezzi che già posso trovare nei dischi che le contenevano?
Pensate che potrà uscire un volume due?
Non è in programma, ma chi può dirlo? Di canzoni ce ne sarebbero già ora, ma continuando a comporre non vedo perché tra dieci anni non possa venirne fuori un seguito. D’altra parte di autori come Leonard Cohen o Bob Dylan esistono diverse raccolte. Non mi sto certo paragonando a loro, non prendetemi alla lettera (ride)!
Hai parlato delle cover e del pezzo nuovo. Come sono nati?
Abbiamo eseguito “Impressioni di settembr” per la prima volta durante una puntata Scalo 76. Avremmo dovuto suonare un brano insieme a Francesco Renga e lui ci propose questo pezzo della PFM. Fu un momento molto intenso e da lì abbiamo iniziato a portarla in giro dal vivo. “La verità” di Giorgio Gaber è nata invece insieme al documentario Checosamanca. E’ un pezzo che ho sempre amato perché da un segnale forte. Gaber credeva molto nell’individualismo buono, quello che fa in modo che ognuno di noi tiri fuori quello di cui è capace, le sue inclinazioni. Credo sia una cosa imprescindibile. Con “Non gioco più” di Mina abbiamo voluto sperimentare territori a noi meno congeniali e siamo stati felicissimi per l’apprezzamento della stessa Mina, che ci chiamato personalmente. Il nuovo pezzo, come si evince dal titolo, è un’invettiva contro i pregiudizi. Nel ritornello ci scagliamo fortemente contro la negatività del pregiudizio, anche se poi nelle strofe mi arrendo anche al fatto che nel bene e nel male tutti nella vita ne abbiamo avuti.
Vista questa vostra passione per l’interpretazione di pezzi altrui, avete mai pensato di registrare un album di sole cover?
A dir la verità questo sarebbe un progetto al quale metteremmo le mani volentieri. Ci sono un’infinità di pezzi che mi piacerebbe incidere.
Anche stranieri?
Sì, però riscriverei sicuramente i pezzi in italiano. Ultimamente dal vivo stiamo proponendo “Here Comes The Sun”, per la quale ho cercato di entrare nella testa di George Harrison per capire lo stato d’animo in cui si trovava al momento dell’incisione.
Voi, insieme ad un’altra manciata di gruppi della stessa generazione, avete segnato un momento altissimo del rock italiano, quasi una rinascita. Cosa è successo oggi?
Abbiamo avuto la fortuna e anche la bravura di essere parte integrante di una rinascita dell’interesse per il rock in Italia. Ad un certo punto pareva potesse succedere qualcosa di eclatante nel nostro panorama musicale. Purtroppo la generazione successiva alla nostra non è riuscita a tenere in piedi questo interesse. Non credo solo per incapacità, anzi. La crisi del disco ha spezzato le gambe alle giovani leve e suonare dal vivo è sempre più difficile se non hai un nome.
Avete mai pensato di andare a Sanremo?
Saremmo falsi se dicessimo di no. Ci abbiamo pensato. Ora però abbiamo la fortuna di vedere che figura faranno gli Afterhours e quanto verranno massacrati (ride) e poi potremo preparaci psicologicamente.
Luca Garrò