Il 26 agosto è uscito “Pale Communion“, undicesimo album in studio della band svedese Opeth, che vede come produttore il leader dei Porcupine Tree Steven Wilson. In occasione del preascolto dedicato alla stampa, svoltosi a maggio, abbiamo incontrato Mikael Åkerfeldt e Fredrik Åkesson , rispettivamente voce e chitarra del grupo, per scoprire qualche dettaglio in più su “Pale Communion”.
Durante il primo ascolto di Pale Communion, ho avuto l’impressione che sia il seguito ideale di Heritage. Cosa ne pensate?
Mikael: “Sì, Pale Communion è inevitabilmente il seguito di Heritage, dato che stiamo proseguendo il cammino percorrendo una certa direzione. Tuttavia devo ammettere che, mentre abbiamo scritto questo album, la nostra priorità era spingerci verso qualcosa che non avevamo mai fatto prima, volevamo innovarci.”
Hai parlato di una nuova direzione, puoi darci qualche dettaglio?
Mikael: Con Pale Communion, il risultato che volevo ottenere doveva essere un album che, al contempo fosse il più melodico e il più pesante che avessimo mai realizzato. Inoltre, questo è il terzo disco in cui utilizzo un solo stile di canto e come non mai mi sono concentrato sulle melodie. Volevo sembrare un cantante vero!
Fredrik: in effetti, credo che Mikael sia arrivato a livelli mai raggiunti prima nelle clean vocals. (Si gira verso Akerfelt) Sembri meno timido quando canti!
River ha degli echi che ricordano vagamente i Pink Floyd. E’ una cosa voluta?
Fredrik: per quanto riguarda l’effetto sonoro dell’eco, è un effetto che abbiamo riprodotto in studio.
Mikael: ho trovato ispirazione dalla musica della West Coast America degli anni ’60, ad esempio Crosby, Stills, Nash e Young, ovvero ascolti nuovi per me. Ci sono molte armonie vocali che mi hanno colpito e che ho voluto riproporre, in qualche modo. L’idea originaria era iniziare la canzone in modo soft e dolce per deteriorarla man mano e concluderla in puro stile Grindcore. Ma non ci sono riuscito. (ride)
Prima eravate una band prog metal ora siete una band prog rock. Quali credete siano le reazioni dei fan davanti ai vostri cambiamenti?
Mikael: Heritage ha segnato una strada, quindi non è più un mistero fare un disco così per noi. La nostra è stata un’evoluzione naturale. Non so cosa possano aspettarsi i fan da questo album e come possano assimilarlo. In realtà non sai mai che effetto farà un tuo disco su chi ti segue. Magari c’è quello pieno di canzoni fighe delle quali sei soddisfatto e che i fan non recepiscono col tuo stesso entusiasmo. O viceversa.
Da cosa è nato il titolo Pale Communion?
Mikael: il titolo è nato dal fatto che avevo per la testa la parola “Communion” e pensavo Communion come?. Alla fine sono arrivato all’idea di Pale Communion e mi è piaciuta. Volevo qualcosa che si collegasse alle canzoni. Ma non è un disco concept, le canzoni non sono legate fra loro.
Altre novità rispetto agli album precedenti ?
Mikael: Heritage è stato registrato in modo che sembrasse un disco proveniente dalla fine degli anni ’60, mentre Pale Communion ha uno stile che ricorda molto un prodotto degli anni 70. Non a caso sono un estimatore della musica anni ’70, specialmente del prog rock italiano. Un nome su tutti, i Goblin. Dal primo momento che li ho ascoltati ho avuto la certezza che non li avrei mai più abbandonati.