Si intitola “Il mio modo di ballare” il nuovo album del cantautore teatino Paolo Tocco, secondo lavoro dopo l’esordio “Anime sotto il cappello“, che aveva affascinato e colpito la critica tanto da sfiorare il Premio Tenco per la miglior opera prima.
A cinque anni da quell’esperienza, Tocco torna sulla scena con un’opera cesellata ad arte, e impreziosita dalla produzione artistica e tecnica di Domenico Pulsinelli, che ha tanto da raccontare: undici brani, undici racconti dai testi introspettivi e mai banali, che ruotano intorno al concept dell’ipocrisia che permea il nostro mondo, e che musicalmente si declinano spaziando dalle ballate tipiche della canzone d’autore italiana a un tocco di pop rock nostrano, inglobando anche il soft rock americano e qualche accenno elettronico. Abbiamo raggiunto Paolo telefonicamente per approfondire, facendoci raccontare qualcosa in più.
Partiamo dagli albori: come ti sei avvicinato al mondo della musica, quali sono stati i tuoi primi ascolti e quindi poi le tue influenze?
Influenze molto latenti e molto poco marcate, ascolti casuali ma che evidentemente ho interiorizzato. Ho scoperto la musica di De Andrè, De Gregori e Fossati molto tardi. Prima compravo dischi di Dylan, R.E.M. (di cui sono stato grandissimo fan), Tracy Chapman, Eagles e tante altre cose affini. Poi le mie origini sono nel mondo della magia e della prestigiazione, quindi il mio primo fortissimo impatto con la musica è stato con il mondo strumentale e di un certo tipo di forma canzone. Quindi Jean-Michel Jarre, ho un ricordo importante di un bellissimo disco di Placido Domingo e John Denver dal titolo “Perhaps Love”, che ho consumato fino allo stremo delle sue forze. E anche tantissima musica celtica.
C’è una sorta di tristezza di fondo che sembra aleggiare per tutto l’album e che permane anche nei brani più scanzonati e più vivaci dal punto di vista del sound. È un’impressione solo mia o in qualche modo ti rappresenta?
La mia voce ha un mood tendenzialmente intimo e cupo, e quando ci siam spinti a fare le cose un po’ più ritmate, non mi sono ritrovato proprio nel mio habitat, quindi effettivamente c’è un sottobosco di malinconia. È malinconico un po’ tutto perché parla dell’ipocrisia. E forse c’è anche un po’ di stanchezza, di noia nei confronti proprio di quell’ipocrisia che abbiamo tutti, me compreso, perché siamo impacchettati in questa vita un po’ finta, un po’ di facciata. Il disco illustra un’altra faccia di me perché io fondamentalmente sono così, anche se nella vita quotidiana viene fuori la battuta facile perché è più facile ridere e scherzare, indossare una maschera. Ma quando stai facendo un disco devi liberarti, seppure utilizzando ugualmente un veicolo, che è la canzone.
Il pezzo dell’album che mi ha toccata maggiormente è “Da questo tempo che passa”, dai cui versi poi viene estratto anche il titolo dell’album. Mi racconti della genesi di questo brano e di quel “Se mi vedrai camminare con un passo leggero leggero, non aver paura, è il mio modo di ballare”?
È la frase cardine di tutto il lavoro, contenuta nel brano protagonista. Il mio babbo non può più camminare come un tempo e circa un anno fa lo incrociai di notte lungo un corridoio che portava al bagno. Per lui era davvero lunghissimo ed un babbo non perde tempo per difendere il proprio figlio dalle paure e dalle cose cattive. Mi disse: “Non preoccuparti. Se mi vedi camminare così è perché sto ballando”. Da qui nasce il disco e la foto di copertina: uno spaventapasseri immobile – il mio babbo – un campo di girasoli che lo guardano (il passato) e lui che si rivolge al futuro (noi e il nostro domani) fatto di industrie e di grigio. Non è un futuro bellissimo, stando almeno ai presupposti di oggi. “Da questo tempo che passa” è il mio babbo che mi racconta e mi parla, e mi chiede di proteggerlo. Anche domani che sarà al riparo sotto l’erba di un prato. Che circolo importante che è la vita!
Come si declina il tema dell’ipocrisia nel video di “Luna Nera” appena pubblicato? Ancora una volta si presenta il doppio tra un concept sostanzialmente negativo e un’apparenza giocosa…
Ipocrisia della doppia faccia, l’amore come sentimento e l’amore come sesso. Il protagonista porta a letto la sua amante, che nel testo cito come “scusa”, e la moglie rientra e li sorprende in camera. A quel punto prima si arrabbia e poi il tutto si conclude con un ménage à trois. Quindi la nostra vera natura che lotta con le etiche e il perbenismo. Nel video poi ho rappresentato goliardicamente la duplice personalità con personaggi bizzarri, caratteristici per alcuni versi e surreali per altri. Emblematico il momento in cui i clown si infilano i nasi rossi per attivarsi e trasformarsi in quello che realmente sono.
Da cantautore e da persona che lavora all’interno del mondo della musica, che opinione hai del cantautorato contemporaneo? Quel carattere di schietta denuncia sociale e politica del passato, certamente figlio di quell’epoca, sembra si sia perso del tutto o sia diventato solo una maschera da indossare per chi fa un certo tipo di musica. C’è secondo te qualcuno, nella nuova scena italiana, che ha raccolto davvero questo testimone?
No, nessuno. Come hai detto tu, c’è qualcuno che ci prova, e se vuoi anche io nel mio piccolissimo faccio citazioni allo stato politico e sociale del momento, e ti cito la frase del brano Nenè: “in questa terra che lega i miei sogni e si muore, e gli lega alle pietre e alle tasche dei Santi Dottori”. Negli anni ’70-’80 il fermento non era sul palco ma era nel pubblico. Quindi la canzone in ogni caso doveva essere associata alla politica e alla società ed era il pubblico a veicolarla per quel fine e per quella ragione. Oggi non c’è più quel pubblico, non c’è più quella richiesta e quindi non c’è più quel senso da dare alla canzone d’autore. Penso che ogni era abbia i suoi canali e i suoi binari per portare a spasso una moda piuttosto che un’altra. Credo che questo non sia di certo l’era della canzone d’autore.
Stai pensando di riproporre dal vivo i pezzi di “Il mio modo di ballare”?
Ci sto pensando proprio in questi giorni. Il disco continua a ricevere importanti e inaspettati riscontri. Ho girato l’Italia con il mio primo lavoro “Anime sotto il cappello”. Penso che da settembre tornerò a farlo con questo disco. Una versione acustica sicuramente, ora come ora stiamo provando con due chitarre, un violino e delle percussioni. Staremo a vedere.