La band australiana dei Pivot, composta dai due fratelli Richard (Chitarra) e Laurence Pike (Batteria), più Dave Miller all’elettronica, è da poco entrata a far parte della Warp Records, etichetta storica della discografa di genere in Inghilterra che tiene sotto contratto, ad esempio, Aphex Twins, Battles e Boards Of Canada.
5 novembre 2008
Incontro Laurence e Dave nel loro albergo, mentre Richard esce per comprare da mangiare: tornerà a metà intervista con un sacchetto da panettiere stracolmo di tranci di pizza alle verdure, e come sempre si finirà a parlare del vino, del cibo italiano e di lontane o vicine parentele con l’Italia.
Risparmiandovi, appunto, gli ameni diversivi, questo è quello che di importante ci siamo detti, una conversazione che presenta i Pivot come una band incredibilmente preparata, attenta e disponibile.
Una delle prime domande che mi piacerebbe porvi riguarda il vostro processo di composizione: come nascono i vostri pezzi?
(Laurence) Guarda, se dobbiamo parlare dell’album nuovo, ecco, è stato composto “a distanza” perchè Dave era a Londra, in quel momento, mentre noi a Sidney. I nostri pezzi nascevano quindi spesso da qualcosa che Dave scriveva e ci spediva poi via web. Richard ed io, in seguito, costruivamo sopra la base tutto il resto. Lo so, sembra poco “umano “ o “caldo” detto così, ma ti assicuro che lo era.
Ho notato, fra l’altro, che la vostra musica sembra composta da più livelli: la parte più “catchy” è spesso e voletieri affidata alla tastiera, mentre quella più sperimentale e di avanguardia viene gestita dalla chitarra e dalla batteria.
(Dave) In realtà, non ci avevamo mai fatto molto caso, ma effettivamente la tastiera è l’unico strumento che viene suonato un po’ da tutti noi quando siamo sul palco, non avendo un vero tastierista. Probabilmente nessuno di noi si è posto troppo il problema di comporre parti da professionista, anzi, abbiamo un approccio molto easy con questo strumento.
Quanto gioca l’improvvisazione nei vostri concerti?
(Dave) Per quanto mi riguarda, molto: ho numerosi microfoni che campionano al momento quello che succede sul palco, dopodichè durante il concerto li lavoro e li inserisco in quello che stiamo suonando.
Parliamo del titolo del disco: cosa avevate in mente quando lo avete scelto?
(Richard) Diciamo che durante le registrazioni la nostra vita professionale è stata scossa da molte vicende personali: sono finite storie a lungo termine, altre ne sono iniziate, abbiamo sofferto per certe cose, così abbiamo deciso di scegliere “O soundtrack my heart”, che già era il titolo di uno dei nuovi pezzi per esprimere il mood dell’intero album.
Com’ è per voi essere parte di una casa discografica storica come la Warp? E’ stimolante?
(Laurence) Non troppo in realtà, la Warp è un’ etichetta molto grande, non la devi immaginare come una “Fabbrica magica” piena di idee o come una comune hippie in cui tutti lavorano con tutti e si scambiano idee. Certo, ognuno è influenzato da quello che gli altri compagni di etichetta fanno, ma molto spesso lo è a priori. Ad esempio, abbiamo sempre conosciuto e apprezzato la musica degli Aphex Twin ma non andiamo a prenderci una birra con loro, per discutere delle nostre vedute musicali.
Quali sono invece gli artisti che apprezzate in Australia, ora come ora?
(Dave) The Drones, ad esempio.
(Laurence) The Drones, The Necks, Augie March, Snowman.
Vorrei farvi una domanda specifica, da musicista che spesso si scontra con questa realtà, qui in Italia: anche da voi c’è una specie di resistenza psicologica nei confronti dei gruppi che fanno musica solo strumentale, come se fossero “gruppi a metà” perchè manca la voce?
(Richard) Certo. Il fatto è che secondo me le persone hanno bisogno di sentire una melodia cantata, per entrare completamente in sintonia con un pezzo, se no risulta sempre troppo coraggioso od ostico. Questo è strano, visto che la musica classica, ad esempio (Richard ha studiato composizione al conservatorio), è prettamente strumentale e non è certo vista come avanguardia. Diciamo che, dalla prospettiva pop, suonare senza cantante ha qualcosa di rivoluzionario.
Nel vostro caso, si può dire che le parole possano giocare più da impedimento che altro, nei confronti della vostra musica?
(Dave) Sì, si può dire così. Però sappiamo cantare tutti molto bene, e sul palco spesso usiamo le voci come un altro strumento.
Cosa dovrò aspettarmi, quindi, per stasera?
(Dave) Ti divertirai, e vedrai che suoniamo in maniera molto diversa da quello che si sente su disco. Ci sarà molta improvvisazione, e balleremo.
Francesca Stella Riva