Port Royal

Abbiamo raggiunto i Port Royal dopo l’uscita del loro nuovo disco “Dying In Time”. Ecco cosa ci hanno raccontato…

29 ottobre 2009

Cosa è cambiato in voi e nella vostra musica dagli esordi fin qui?
Di anni purtroppo ne sono passati ormai parecchi; le nostre prime sessions di registrazione risalgono all’estate del 2001, quando lavoravamo sui pezzi che poi avrebbero composto il “Kraken ep”, uscito a marzo 2002. Eravamo studenti universitari ventenni, sapevamo poco su come usare un computer per fare musica, non avevamo ancora ben chiaro che direzione prendere… Oggi ci muoviamo con ben altra destrezza e sicurezza tra file e programmi vari, abbiamo quattro album full lenght alle spalle (più gli ep, i remixes, le collaborazioni e l’attività live in giro per l’Europa) e ascoltatori sparsi un po’ ovunque sul globo, siamo trentenni o quasi alle prese con i problemi della vita reale (leggi alla voce lavoro…): molto è dunque cambiato in noi, quali persone e quali musicisti. Allo stesso tempo però (come spesso accade ci sono due punti di vista, almeno, da cui guadare le cose) potremmo anche dire che fondamentalmente restiamo sempre gli stessi: le nostre passioni, paure, la predisposizione verso la musica e la vita sono pressoché immutate. Infatti, nonostante tutte le esperienze che si vivono, in un certo senso non ci si muove più di tanto.

Come è arrivato il successo nel mondo indie internazionale? Siete soddisfatti? Avete già un ulteriore e successivo “piano d’attacco” per l’estero?
Il successo internazionale deriva dalla visibilità data dalle pubblicazioni all’estero e da una proposta che è valida e universale. Restiamo, comunque, all’interno del mondo indie ovvio, una realtà sì molto apprezzata in genere e quasi di culto in certi territori, ma anche non troppo diffusa e nota in molte altre parti del mondo: l’obbiettivo sarebbe quello di riuscire ad “attecchire” maggiormente anche in paesi che finora ci hanno un po’ “trascurato”, per così dire… In tal ottica un’etichetta come la n5MD speriamo possa essere buona base di partenza per un nostro primo tour oltreoceano per esempio.

Genova per voi. Come (ri)vive la città nella vostra musica? E’ fonte di ispirazione? Mi pare che la città sia piena di interessanti progetti musicali nonostante il piglio sonnolento della Superba. Vi ha aiutato od ostacolato?
Ci è capitato spesso di rispondere a domande su Genova (inevitabilmente, visto che è il luogo dove siamo nati), ma, a dir la verità, ci siamo sempre trovati un po’ in difficoltà. A noi Genova come città piace, pur con i suoi difetti; ma non pensiamo sia un’influenza specifica per quello che facciamo. Ripetiamo spesso che probabilmente potremmo aver fatto gli stessi dischi anche nascendo in tutt’altra parte del mondo. Nessun aiuto da parte della città quindi, ma neanche ostacoli, sebbene sia un dato di fatto che di spazi per musica come la nostra a Genova non ce ne siano tanti (per non dire quasi nulla, a parte la significativa eccezione del Disorder Drama). Ma oggi, nel 2009, con internet e tutto il resto, non ha neanche senso fissarsi sull’elemento geografico della provenienza, sulla scena ecc, perché tutto è ormai aperto, comunicante, fluido, globale.

Come nasce questo fil rouge che vi lega alla Russia?
Più che di Russia esclusivamente, parlerei più propriamente di Est-Europa in generale, anche se la Russia è poi un po’ il simbolo di tutto ciò. Avendone studiato la storia e la letteratura ed essendone rimasti affascinati, decidemmo anche di visitarli e ciò contribuì non poco ad alimentare l’amore che già in nuce palpitava per quei luoghi così vicini e così lontani e pieni di potenzialità ancora inespressa. Poi il caso (o fato) volle che lì venissimo apprezzati particolarmente, cosicché fummo chiamati a suonarvi parecchie volte con ottimi risultati e vivendo situazioni indimenticabili. Alla fine si è stabilito più o meno così il forte legame con la Russia e i paesi dell’ex blocco socialista che ora è sotto gli occhi di tutti e che può essere chiamato davvero “fil rouge”, dal momento che sono stati (e continuano ad essere) per noi una fonte di ispirazione ed una sorta di “patria spirituale d’elezione”.

Siete da sempre immersi nel post rock italico (parlo di un ambito abbastanza generale che ha diverse ramificazioni e sbocchi), con le giuste distanze da nomi tutelari e con un vostro percorso personale. Come vedete oggi il genere nel nostro Paese e quali sono altri progetti-gruppi che stimate?
Guarda, in generale non vediamo il post-rock, italiano o meno, particolarmente ben messo, artisticamente parlando e al di là di altre valutazioni sul seguito o il successo commerciale che esso possa comunque avere. Dieci anni fa era diverso, ma ben presto un certo tipo di proposta fissatasi su certi stilemi ha mostrato di avere il fiato dannatamente corto (tanto che noi la chiamiamo “post-rock esausto”!)… Noi, che pure in parte siamo nati in quel contesto e anche con alcuni di quei riferimenti, abbiamo da subito sentito l’esigenza di smarcarcene, di contaminare quella matrice con la techno, l’elettronica glitch e non, l’ambient, lo shoegaze. Anche questo magari è “post-rock”, intendiamoci, ma solo in un senso generico al massimo che perde ogni capacità connotativa per rimanere al limite una vuota etichetta di comodo con un valore puramente nominale.

Quali sono i vostri progetti live dopo l’uscita del disco?
Nell’immediato un tour polacco a novembre e qualche data italiana a dicembre. Dopo di che dobbiamo ancora vedere, dal momento che impegni post-universitari e lavorativi pressano… Comunque dalla primavera 2010 dovrebbe partire un bel tour internazionale.

Parlateci della copertina del disco. Un’immagine che potrebbe rimandare ai paesaggi-passaggi sintetici-elettronici tipici dei dischi nord-europei? Ma c’è qualcosa che brucia lì in mezzo…
E’ un’opera di Andrea Galvani, artista veronese che vive e lavora a New York. Abbiamo conosciuto il suo lavoro via internet, dal suo sito e lo abbiamo quindi contattato per una collaborazione per il disco. Lui ci propose questa immagine che per noi è molto bella quanto a colori ed evocativa per il soggetto… Non abbiamo indagato con l’autore sul suo significato, del resto come tutta l’arte il senso è negli occhi di chi guarda; per noi rappresenta qualcosa di esistenziale e surreale al tempo stesso. Comunque è un’immagine misteriosa e senza tempo.

Luca Freddi

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