25 agosto 2008
Dopo due album come solista, è già possibile fare un bilancio di questa esperienza? Hai trovato finalmente la tua dimensione?
Dopo un album “spaesato” come “WOP”, con “UNO” ho sentito la necessità di tornare alle radici della musica che ho sempre fatto, ovvero un misto di canzone mediterranea e reggae fortemente “dubbato”. La componente melodica però sta prendendo il sopravvento e chissà che il mio prossimo disco non sia quello di un cantante fortemente influenzato dalla musica popolare panmediterranea… ma che naturalmente non rinuncia a ritmi che fanno muovere la parte bassa del corpo!
Da dove trai ispirazione per la tua musica?
Principalmente dalla musica che ascolto, dai libri che leggo, dai film che guardo. E dalle conversazioni con i miei amici e “maestri”…
Come mai la scelta di cantare in dialetto? Non temi possa essere limitante dal punto di vista della diffusione di un messaggio?
Fino adesso il motivo per il quale gruppi e produttori inglesi o americani come Massive Attack, Leftfield, Bill Laswell o Adrian Sherwood hanno chiesto la mia collaborazione o accettato di produrre i miei dischi è anche per il fatto che canto in dialetto. Quindi per me questa cosa ha rappresentato un mezzo di diffusione, non di limitazione. Il messaggio di una canzone sta anche nella musica stessa. Se uno scrive in napoletano ed usa un beat hip hop con la melodia scandita da un oud non potrà certo essere a favore della segregazione razziale o dell’intolleranza. E questo magari parlando d’amore e senza un minimo accenno nelle liriche al problema.
Anche grazie al successo del libro di Saviano, molti artisti hanno iniziato a gridare con maggiore forza riguardo alla situazione napoletana. Nel tuo ultimo lavoro c’è “Nun me arrendo”, com’è nata?
Esattamente come sono nate “O bbuono e ‘o malamente” e “47”. Osservazione della realtà e voglia di descriverla dal proprio punto di vista, un po’ di commento personale e molta “pietas”… come del resto il libro di Saviano, credo.
Quale futuro vedi per la tua città?
Nero. Ci vorrebbe una rivoluzione… ma degli animi e delle attitudini. Smettere di lamentarsi e passare all’azione, che vuol dire anche cominciare a lavorare su se stessi e per se stessi senza aspettare sempre che questa o quella autorità risolvano in un attimo problemi secolari. E non farsi usare dai media o dai politici che accendendo o meno I riflettori sui cumuli di “munnezza” o sulle rivolte di quartiere fanno cadere governi e ne formano di nuovi mentre la “munnezza”, illuminata o meno, resta sotto le case della povera gente.
Gente che poi è talmente sprovveduta da accorgersi delle condizioni della città solo quando le vede in tv o, malgrado poco o niente sia cambiato, da credere alla risoluzione dei suoi problemi solo perché lo dice il premier al tg. Ma gli occhi (e il naso) dove ce li avete, napoletani?
Mi parli della tua passione per la recitazione?
Un divertissement che secondo alcuni potrebbe trasformarsi in un secondo lavoro. D’altronde anche Raiz è un personaggio che metto in scena e a cui faccio cantare le canzoni che scrivo…
Un ricordo del tuo periodo negli Almamegretta?
La forza del collettivo, che finché è coeso e con le idee chiare è meglio di una famiglia. Naturalmente se perde queste prerogative si trasforma in prigione.
Progetti futuri?
Lavorare su un’idea del mediterraneo concepito come area culturalmente omogenea, dalla Spagna al Libano, da Israele all’Italia… anche per favorire il dialogo e dimostrare che le guerre in corso non sono scontro di culture ma di politiche e che i confini non sono tra civiltà ma tra economie. La pace nel mediterraneo, il posto dove è nato il Monoteismo etico, la cultura greca o quella egizia è importante e toglierebbe molte scuse a chi soffia sul fuoco della guerra per i propri interessi personali – vedi Ahmadinejad o George W. – mentre a pagarne le spese sono come sempre i poveri, su tutti i fronti.
Le canzoni non possono cambiare il mondo ma dare un contributo a spostare l’attenzione della gente su determinati argomenti…
Livio Novara