Nuovo disco dopo ben 18 anni di silenzio discografico. Che effetto fa avere fra le mani un nuovo lavoro dopo tutto questo tempo?
E’ sicuramente una grande soddisfazione. Soprattutto perché, un po’ come è successo per la reunion, il progetto di realizzare un album dopo così tanto tempo è stato stimolato dalle richieste della gente. Sia da quella che ha ricominciato a seguirci live, sia da quella che, per ragioni anagrafiche, ha cominciato a farlo solo dopo la reunion stessa. Indubbiamente, lo stimolo si è concretizzato perché, in cuor nostro, sapevamo di avere ancora qualcosa da dire. Anche dopo tanti anni di inattività, la nostra voglia di fare musica e di comunicare in questa forma è ancora molto forte e avendo avuto la cosapevolezza che i tempi erano maturi, non ci abbiamo pensato su più di tanto e siamo entrati in studio.
“Siete in attesa…” suona a tratti molto più aggressivo e ruvido rispetto alle vostre sonorità tipiche. Cos’è cambiato nei Rats del 2013 rispetto a quelli della “Vertigine”?
Innanzi tutto, siamo cambiati come persone. La maggiore esperienza e lo scontrarci con una realtà che, molto spesso, sfugge in età più giovane, ha contribuito a dare all’album un taglio più aggressivo e meno “scanzonato”. Abbiamo visto e vissuto molte cose in questi anni. Molte ci sono piaciute, altre assolutamente no. Le cose belle ce le siamo godute e restano lì, quelle brutte, pesanti e oscure si sono trasformate in demoni. Scrivere canzoni è il modo migliore di esorcizzarli.
Nella presentazione del disco Wilko dice “Il mondo è più ruvido, più aggressivo e più sporco. I Rats hanno sempre rispecchiato ciò che li circonda”. Questa cosa si sente sicuramente in molti dei nuovi brani a livello sonoro. Come ha influenzato invece la stesura dei testi?
La risposta si ricollega decisamente a quella precedente. Nei testi ci sono tutte le esperienze, sia personali, sia condivisibili con altri, più importanti vissute nell’ultimo periodo. C’è l’amarezza di assistere ad una disgregazione sempre più profonda di una società che ha adottato modelli ed esempi che hanno ulteriormente inaridito un panorama già abbastanza desertico a livello di valori che sono ancora per noi importanti. Primo fra tutti, la cultura. L’incredulità nel constatare che il falso mito della presunta libertà offerta dalla tecnologia e dalla tanto decantata connettività, abbia in realtà creato eserciti di persone che hanno come comune denominatore l’omologazione. La forma più efficace di potere è offrire l’illusone di essere liberi. E’ un album in cui serpeggiano abbandono, disgregazione, rabbia ma nel quale non mancano comunque gli episodi che descrivono argomenti decisamente positivi. La condivisione di un’amicizia bellissima fatta di gioia ma anche di sofferenza che ha sempre caratterizzato la band (“Polaroid”), l’ennesima conferma di quanto siano imprevedibili e incontrollabili i sentimenti (“Il cuore al muro”), l’ironia amara che nasce dall’analisi di fenomeni sociologici alquanto risibili (“Lontano da te”).
Trovo curiosa la scelta grafica minimale della copertina. Com’è nato il concept?
Beh, l’immagine si ricollega al titolo e a quanto detto prima. Siamo sempre in contatto ma non siamo mai stati così soli. Poi, è da prendere anche come vezzo vagamente “artistico”. Abbiamo pensato alla banana di Warhol sulla copertina dei Velvet Underground. A qualcosa che catturasse l’occhio e identificasse.
Dopo la reunion, avvenuta come ormai tutti sappiamo, grazie al web e alla community dei vostri fans, come si è evoluto il rapporto dei Rats con il web? Continuate ad utilizzarlo come mezzo per comunicare con i vostri fans?
Decisamente! Una tribù in continuo contatto e in continua espansione. Sono tutti attivissimi anche se questa cosa non deve far pensare ad una setta. Abbiamo uno zoccolo duro con il quale interagiamo il più possibile direttamente. Questo porta decisamente dei benefici. Contribuisce a diffondere la nostra musica e a stringere nuove vere e proprie amicizie. Questo è veramente un bel modo di utilizzare i social networks. Soprattutto ne rispetta la denominazione. In molti altri casi purtroppo, l’uso è molto diverso e non ha nulla di aggregativo o votato alla condivisione. Ma ognuno è libero di utilizzarli come crede, a patto che non danneggi l’altro. Cosa che però, a volte succede.
E’ stato difficile procedere ai lavori di registrazione con Romi oltreoceano?
Fortunatamente, grazie alla tecnologia, non più di tanto. Abbiamo sfruttato la rete per fare in modo di essere più in contatto possibile. Inviavamo file a lui man mano che i brani venivano assemblati al Dude Music Studio di Correggio. Una volta scaricati, nello studio di Stewie Dal Col a Miami, Romi registrava le parti di basso e a sua volta le inviava a noi. Sinceramente, eravamo consapevoli che non fosse il miglior modo di lavorare. Poter essere tutti insieme, vivere allo stesso modo l’ambiente dello studio, sarebbe stato sicuramente meglio ma, a giudicare da quanto soddisfi tutti il risultato finale, possiamo dire di avere ottenuto il massimo da questo modus operandi. Il suono è compatto e potente come se avessimo registrato tutti insieme.
Dopo tutti questi anni il mercato sarà sicuramente cambiato. Cosa vi aspettate da questo disco? C’è attesa fra i fans?
In tutta onestà, di come appare cambiato il mercato, a noi non importa più di tanto. Infatti abbiamo fatto un disco (fa un certo effetto usare ancora questo termine) che con il mercato attuale ha ben poco a che spartire. Come sempre, in Italia, quello che detta legge sono le mode. Adesso, pare che chiunque non faccia hip-hop o ballate piagnucolose non possa neanche essere degno della considerazione minima. Mentre in mercati molto più vasti ed articolati, come quello anglo-americano, continua ad esserci posto per tutti da 60 anni. Per questo abbiamo fatto un album pieno di chitarre e con la totale assenza di artifici. Quello che ci interessava era trasmettere il nostro stato d’animo. Sì, è vero, siamo più cattivi, disillusi, cinici ma, come sempre, veri. L’attesa tra i fans è forte, spasmodica e questo conferisce al momento un’energia speciale. Speriamo solo di soddisfarli con qualcosa che possa essere all’altezza di un’attesa durata 18 anni.
Ci sarà un tour di supporto dopo la data di presentazione al Vox?
Ricollegandoci al discorso di prima, sappiamo bene che questo album non ci farà vincere il disco di platino. Infatti, alla motivazione principale, se ne aggiunge un’altra e, per la precisione, il pretesto per scorrazzare su e giù per l’Italia suonando dal vivo, da sempre la nostra dimensione preferita. Il nuovo album è quindi anche un pretesto per potere dare la possibilita a Bagana Rock Agency di organizzare questo giro. Sicuramente fino alla primavera del 2014 saremo in attività live.
Se dovessi scegliere, fra le 12 tracce che compongono il disco, quella che rappresenta più di tutte i Rats del 2013, quale sceglieresti?
Lo sappiamo, il paragone appare scontato, ma è come chiedere ad un genitore quale figlio preferisce. Tuttavia, se dovessimo proprio sintetizzare il discorso, crediamo che “Mayday” possa fare al caso. E’ forse la traccia che meglio idenifica il filo conduttore. C’è la deriva globale verso la quale stiamo andando. L’amarezza dei sogni infranti. Il dubbio sulla necessità di riprenderci un po’ di pragmatismo. Dopo tanto sognare, se quel sogno rimane tale e sei costretto a passare ad un altro, significa che hai speso tempo ed energie invano, continuando a fare il gioco di chi ti vuole sognatore e poco pratico, lasciando a lui questa praticità. Alla fine, potrà essere un discorso “poco rock”, ma l’equilibrio e la lucidità non sono poi così sbagliati.
Siete sempre stati un trio, ma da dopo la reunion Jonathan Gasparini è sempre stato con voi, è entrato ufficialmente a far parte della “famiglia”?
Jonathan è un vecchio amico. Lo provammo addirittura prima del tour di “indiani Padani”, nel 1993. Ricordo che all’epoca a me era piaciuto tantissimo, anche se il suo taglio estremamente metal con il nostro sound di allora non si sposava molto. Era giovanissimo e già uno dei migliori del giro emiliano. Comunque, per una scelta prettamente artistica non se ne fece nulla. Memori di quell’esperienza, al momento della reunion, la chiamata fu diretta, rivelandosi una scelta perfetta. Sì, possiamo decisamente dire che Jonathan sia entrato a far parte della “famiglia”. Nonostante continui a collaborare con altri artisti, per lui i Rats sono sempre stati e continuano ad essere la priorità. Io sono molto contento di lavorare con lui e lo dico da chitarrista oltre che da cantante. Il sound della band, ne ha decisamente guadagnato.
Corrado Riva