Rhapsody Of Fire: a colloquio con Alex Staropoli

Dopo quattro anni di silenzio discografico tornano i Rhapsody Of Fire, e lo fanno con una delle loro opere più aggressive e dirette. In occasione del settimo album in studio, abbiamo colloquiato brevemente con un soddisfatto Alex Staropoli, tastierista della band, utilizzando l’ultimo disco come spunto per una discussione a più ampio spettro.

 

Iniziamo parlando del nuovo album, “The Frozen Tears Of Angels”: cosa ci puoi dire sul suo processo di composizione?
Abbiamo iniziato a registrarlo e comporlo un anno prima della sua uscita, e per la prima volta siamo partiti da zero, non utilizzando materiale che già avevamo, per cercare di far risultare l’album il più fresco e moderno possibile. Ovviamente il fatto di sapere di stare lavorando per la Nuclear Blast è stato un grosso input in più, così come il fatto di tornare dopo tre anni è stato un altro stimolo molto importante. Insomma, ci siamo lasciati coinvolgere da tutte queste situazioni positive per poter creare un disco che rappresentasse davvero un valido ritorno.

Ascoltando l’album ho notato un approccio più diretto rispetto ai vostri ultimi lavori. Più focalizzato sul lavoro della chitarra di Turilli, con orchestrazioni più leggere. Che cosa ne pensi?
Sì, è vero. Abbiamo utilizzato un po’ meno arrangiamenti sinfonici. Poi questi ci sono sempre, è nel nostro stile, ma questa volta sono meno pesanti, meno ‘grassi’. Luca ha fatto un lavoro chitarristico che aspettavo da tempo; io adoro i riff, adoro le chitarre armonizzate, mi son sempre piaciute, per cui era un cambiamento nel quale speravo. Abbiamo scritto volutamente un lavoro più diretto, quindi più chitarristico: ad esempio, il volume delle chitarre è il più alto in assoluto, se comparato a qualsiasi altro nostro album. Quindi questo, unito al fatto di una maggiore snellezza delle orchestrazioni, e all’effettistica particolare che ho utilizzato per le mie tastiere, ha reso possibile la creazione di un sound che si sposa benissimo con l’ambientazione della saga, fredda e ghiacciata. Proprio questo è stato il mio e il nostro obiettivo, come musicisti: trasmettere queste sensazioni fredde attraverso la musica. Oltre a questo è stato importante anche l’aspetto grafico; infatti, finalmente siamo fieri al 100% della copertina del disco.

A proposito della saga: avete fatto quattro dischi sulla “Emerald Sword Saga”, ora siete al terzo della “Dark Secret Saga”, in futuro cosa ci dobbiamo aspettare?
Abbiamo ancora due capitoli della “Dark Secret Saga” in cantiere. Poi c’è sempre il progetto della “Rhapsody In Black”, del quale parliamo da un po’ di tempo e che tutti ci domandano. Ecco, “Reign Of Terror”, la canzone più violenta e aggressiva dell’album, rappresenta questo filone che in futuro vorremmo seguire e che ci piacerebbe intraprendere, creando un album improntato proprio a quello stile, che esuli anche dalla saga. È una cosa che forse faremo, anche se per ora non abbiamo deciso nulla di definitivo.

Probabilmente l’hanno notato un po’ tutti, e la mia domanda è scontata. Comunque: avete tratto ispirazione da Branduardi per “Danza di fuoco e ghiaccio”? Com’è nata questa canzone?
Sai, in questi casi le analogie sono molto facili, perché se prendi spunto da melodie rinascimentali o medievali, oppure se componi in quel modo, e poi canti in italiano e usi strumenti autentici, è ovvio che si finisca per far qualcosa di molto simile a Branduardi. Che poi è una cosa che lui stesso ha fatto, riprendendo antiche melodie e arrangiandole in modo fantastico, con la chitarra acustica, con il violino, ecc. Nel nostro caso, però, è stato mio fratello a fornirci la prima ispirazione per questo genere di musica. Lui insegna al conservatorio ed è diplomato in flauto dolce e flauto traverso, oltre a suonare anche l’oboe. Fu proprio lui, già negli anni Novanta, a far sentire per primo, a me e Luca, questi pezzi medievali e rinascimentali; noi ne fummo subito entusiasti, così li integrammo immediatamente nella nostra musica, fin dai tempi di “Legendary Tales”, oltre ovviamente alla musica classica e a quella cinematografica. Poi cantando in italiano è chiaro che l’analogia con Branduardi scatti quasi automatica.

Come nasce un pezzo dei Rhapsody Of Fire?
In generale, avendo una saga da musicare, Luca viene a casa mia con un foglio con i titoli già stampati sopra. A quel punto, in base ai titoli, componiamo le canzoni. Abbiamo sempre lavorato in questo modo, facendoci ispirare dal titolo dei vari brani. Nello specifico, soprattutto per questo album, e per fortuna, siamo partiti anche dai riff di chitarra: Luca veniva già con dei riff pronti e partivamo da lì per sviluppare la canzone. Per il nostro lavoro, comunque, utilizziamo molto il computer; inseriamo il riff di chitarra, aggiungiamo batteria, tastiera, basso e arrangiamenti di base, per cui la canzone la stendiamo già in questo modo. Poi, quand’è approvata, Luca torna a casa e scrive il testo completo, mentre io continuo con gli arrangiamenti finali e con le parti di tastiera. Questo è quello che facciamo per tutte le composizioni che creiamo.

Voi avete riscosso un ottimo successo anche all’estero, e ormai fate tour al di fuori dell’Italia da parecchio tempo. Che differenze riscontrate fra il pubblico italiano e quello degli altri paesi?
Differenze di cultura, principalmente. A livello di mercato, il GAS, che è un termine di marketing utilizzato per indicare Germania Austria e Svizzera, è il territorio nel quale probabilmente vendiamo di più, o comunque vendiamo molto bene. Poi, a livello live, se suoni in Germania, il pubblico non è così caloroso come può essere quello spagnolo, italiano, francese o sudamericano. Ma non perché la musica piace meno, sono differenze culturali che dipendono principalmente da come il pubblico si relazione durante il concerto, da come vive le proprie emozioni. Anch’io, ad esempio, se vado a un concerto non mi agito più di tanto, anche se sono estasiato dalla band che sta suonando. Ogni paese ha le sue caratteristiche, dipende qual è il modo di esprimere il proprio entusiasmo.

Com’è cambiato il panorama musicale rispetto ai vostri esordi, e all’esplosione del power metal di quegli anni? Oggi, con l’avvento del download di massa, che differenze riscontri rispetto a quel periodo, anche sul versante del mercato discografico?
Sinceramente non saprei rispondere del tutto a questa domanda, perché manchiamo dal mercato da tantissimo tempo e, mi spiace dirlo, in Italia non suoniamo dal 2002, tra l’altro. Siamo rimasti molto al di fuori dal mercato, negli ultimi tre anni siamo proprio spariti. Adesso, rilasciando un album e, tra poco, tornando in tour, avremo modo di capire davvero cos’è cambiato. Ovviamente le vendite dei dischi sono calate per tutti, in ogni genere; quando c’è una crisi economica vengono colpiti tutti i settori. Sulla gente che scarica, beh qui ci sono diverse categorie: da quelli che scaricano musica solo per il gusto di farlo, a quelli che invece scaricano per dare un’occhiata a quello che c’è in giro e poi, eventualmente, comprare l’album che merita. Quest’ultimo tipo di ‘scaricatori’ non lo biasimo affatto, oggi il mercato è talmente saturo che è davvero difficile orientarsi, è una giungla. Poi ci sono anche quelli che magari ti scaricano il disco ma che poi ti seguono in concerto e ti comprano l’album successivo. Ecco, parlando dei nostri fan mi ha fatto impressione vedere ieri, mentre facevamo autografi al Mediaworld di Rescaldina, tutta una nuova generazione di giovanissimi che ci sta ascoltando. Siamo stati un’ora circa a veder gente, e l’età media andava dai sedici ai ventun’anni, non penso di più. E tra di loro c’erano molti musicisti e soprattutto molte ragazze, quindi proprio un nuovo tipo di nostri fan.

Qual è stato il momento più importante della vostra carriera, quello nel quale avete capito che sareste andati avanti a lungo?
Direi che ci sono stati parecchi momenti chiave. Il primo precede “Legendary Tales”, è quando, verso il 1994, abbiamo investito più di dieci milioni per fare un demo; eravamo dei ragazzini, non lavoravamo ancora, e pensa che per fare un demo di dieci canzoni abbiamo utilizzato tutti quei soldi. Però ci tenevamo così tanto a farlo bello, anche per noi. L’abbiamo spedito a Limb, gli è piaciuto, e così abbiamo iniziato a lavorare sul disco, che però ha avuto bisogno di altri due anni per essere completato. D’altra parte avevamo già tutto il materiale pronto, sia per “Legendary Tales” sia per “Symphony…”, per quello sono usciti così ravvicinati nel tempo. È stata quella la grande sfida, essere italiani, essere sconosciuti e suonare heavy metal. E vendere 70.000 copie in tre mesi è stata una cosa incredibile, sono stati momenti assolutamente esaltanti. Con “Symphony…” c’è stato poi clamore assoluto, 200.000 copie vendute, e non avevamo ancora suonato dal vivo! Quindi è stato proprio all’inizio che abbiamo avuto il momento chiave più importante. Poi ovviamente ce ne sono stati molti altri, aver avuto la possibilità di utilizzare orchestra e cori autentici, aver suonato con Christopher Lee; e adesso aver firmato per la Nuclear Blast, che è sicuramente un altro passaggio importantissimo per la nostra carriera.

Visto che hai parlato di vendite, una curiosità: complessivamente, quanti dischi avete venduto nella vostra carriera?
Mettendo insieme tutto, singoli ed EP compresi, dovremmo aver superato il milione di copie. C’è chi dice anche di più, che le copie vendute dovrebbero essere 1.200.000. Ma non so le cifre esatte. In ogni caso, noi non ci nascondiamo sicuramente dicendo “lo facciamo solo per la musica”; sì, è ovvio, la musica è una grande passione, e viver di musica è una fortuna incredibile. Però abbiamo sempre avuto questa gioia nel vedere quante copie vendiamo, perché è un po’ il riscontro del successo che hai. Poi avere un successo più o meno grande non è il nostro unico obiettivo, però siamo molto incuriositi di come questo disco potrà vendere, in questo momento del mercato e ritornando dopo così tanto tempo. È una curiosità che abbiamo sempre avuto. Anche perché, a seconda di come verrà recepito il disco, decideremo come organizzare il tour. Per ora non abbiamo ancora fissato le date, proprio perché aspettiamo di capire come si comporterà “The Frozen Tears Of Angels”. Chiaramente ci piacerebbe fare un tour mondiale e coprire tutti i territori possibili.

Un’ultima curiosità: quali sono le nuove band che preferite oggigiorno? E ne vedete qualcuna che può ricordare il vostro stile?
Beh, Luca è quello che ascolta un po’ di tutto, ma rispondo solo per quello che mi riguarda. Tra gli ascolti più recenti trovo i Nightwish un gruppo veramente interessante. Li ho conosciuti, li ho visti dal vivo, gli album sono incredibili e suonano benissimo. Poi per il resto non seguo moltissimo le nuove band. Comunque oltre ai Nightwish, e per parlare di un altro genere, trovo gli Alter Bridge un complesso assolutamente spettacolare, li ho già visti due volte dal vivo e sono veramente incredibili. Poi ascolto molta roba del passato, da Ozzy a King Diamond ai Rainbow, ma non sono informatissimo sulle ultime uscite. Riguardo a band che possono somigliare a noi, adesso come adesso non ne vedo in giro, anche perché questa era forse una cosa di un po’ di anni fa, quando un po’ tutti volevano seguire il filone Angra – Rhapsody e simili, ora non è più così. Per fortuna noi siamo riusciti a definirci in uno stile specifico e personale fin dall’inizio, abbiamo cambiato disco dopo disco ma restiamo sempre riconoscibili. Puoi fare musica alla Rhapsody, ma non come i Rhapsody, così come suonare simile agli Helloween ma non essere gli Helloween. Gli originali restano sempre gli originali. Questo dopo più di dieci anni di carriera posso dirlo, siamo felici di aver iniziato a proporre un certo stile e continuiamo a proporlo con fierezza.

Stefano Masnaghetti

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