È uscito il 23 settembre 2014 il nuovo album di Sergio Cammariere, settimo della sua carriera, e intitolato “Mano nella Mano“. Per l’occasione, abbiamo contattato l’artista per farcelo raccontare direttamente da lui.
Questo disco è nato da un viaggio in un luogo di incontro tra due continenti. Come ha fissato le impressioni che hanno portato alla creazione dell’album?
La suggestione della costa africana dal punto di vista dello stretto di Gibilterra, dalla parte occidentale, appunto da Tarifa in Spagna, dove io mi trovavo, è una suggestione che riguarda solo la canzone “Mano nella mano”; poi c’è un’altra canzone che si unisce al concetto che è “Ed ora”, il terzo brano dell’album, per poi finire con “Pangea”, che è il brano strumentale che spiega solo in musica il concetto che io e Roberto Kunstler volevamo esprimere attraverso le parole e la musica di “Mano nella mano” e “Ed ora”, e attraverso “Pangea”, che è un brano solo mio. Tutto il resto dell’album è tutta un’altra cosa.
Dal testo di “Ed ora” trapela un’idea dell’amore come salvezza e del tempo come qualcosa da non farsi sfuggire. Sono i temi fondamentali della poesia fin dalle origini, che qua incontrano però un “grande impero che sta crollando”: è un messaggio di speranza?
Ognuno può interpretare a suo modo questo brano che vuole abbracciare un livello spirituale più alto, che parla della consapevolezza di una fratellanza musicale, Ed ora è un inno alla pace, alla libertà, è assolutamente un messaggio di speranza.
Ha voglia di raccontarmi la storia di “Le incertezze di marzo”? È un brano molto malinconico.
È una storia bellissima, è il brano più jazz dell’album, album che ha prevalentemente ritmi latini.
La canzone è nata in un modo particolare, con Giulio Casale, con il quale faccio questo lavoro da qualche anno: proviamo a scrivere canzoni.
Gli chiesi di mandarmi qualche verso che potesse ispirarmi la musica. Lui mi mandò solo due versi: a cosa serve la vita non so / non credo serva a vincere, che è l’incipit del brano. Io ho avuto questo foglio in giro per sei-sette mesi e mi leggevo questa frase, e ho continuato praticamente finché non mi è venuta una musica, poi è nata la strofa, è nato l’inciso, e ho richiamato Giulio per fargli ascoltare la canzone. Pian piano abbiamo poi finito il testo insieme. Essendo il brano più jazz dell’album, dà l’occasione a uno dei miei cari musicisti, Fabrizio Bosso, di esprimersi al meglio.
[mi fa ascoltare l’incipit]
Solo in questo incipit sta la chiave di tutta la canzone, perché parte con un accordo di settima aumentata -scendiamo sul livello tecnico- per andare a finire in un do minore settima nona, e nella canzone italiana è molto ma molto inusuale. “Incertezze di marzo” è un po’ il brano di questo nuovo album più vicino al mondo di Luigi Tenco, che era un jazzista e scriveva canzoni con questo tipo di accordi.
Del video di “Mano nella mano” mi ha colpito l’accostamento di un ritmo abbastanza veloce con lo scorrere lento delle immagini. È un effetto voluto?
La scelta della regia è sempre stata affidata a Francesco Cabras e Alberto Molinari, che hanno curato anche altri miei video come “Via da questo mare”, “Sorella mia”, “Tutto quello che un uomo”, video che risalgono a undici o dodici anni fa. La cosa più importante del video è la metafora dell’uomo di fronte alla natura, e quindi abbiamo scelto queste incantevoli location in Sardegna. La domanda riguardo il montaggio dovrebbe rivolgerla a Cabras e Molinari!
Tra poco comincerà il suo tour. Che rapporto ha col pubblico che la segue?
Lei ha mai visto un mio concerto?
No.
Le consiglio di andare su You Tube a guardarsi qualche spezzone! Anche prima del mio successo, suonavo in tutta Italia e in tutta Europa e ci sono tante testimonianze: al momento ci sono 55.000 video che mi riguardano. Le consiglio di ascoltare “Cammariere dal teatro Strehler”, che è un concerto del 2003 che si può vedere per intero, dura un’ora e 40, magari si guardi la prima mezz’ora, così capisce da subito quello che accade con i miei musicisti, che sono sempre gli stessi da oltre 15 anni. Parlo di Fabrizio Bosso, Amedeo Ariano, Luca Bulgarelli, Bruno Marcozzi, compagni di viaggio e di avventure musicali dal vivo. Queste canzoni che suonano nei dischi così bene vengono man mano rivisitate grazie a quel rapporto non solo spirituale e umano che c’è tra di noi, perché tra l’altro noi riusciamo a “comunicare senza parlare” [virgolettato di Sergio], parlo di noi musicisti, quindi quando suoniamo sul palco RIsuoniamo le canzoni, le rifacciamo di nuovo, tanto che il pubblico è molto colpito. Ci sono persone che hanno visto oltre 60 miei concerti, è un privilegio anche per noi. C’è gente che parte dall’America, chi viene dal Giappone per vedere i nostri concerti, perché ogni volta ritrova una festa, una gioia, un qualcosa che va oltre la percezione dei sensi, perché si coglie un respiro immediato che solo chi suona la musica dal vivo in modo acustico come facciamo noi può inventare e far cogliere.
Nel disco ho coinvolto musicisti brasiliani che non verranno con me in tournée, come Roberto Taufic e Alfredo Paixao, che ho voluto mettere nel disco per dargli un colore, un suono diverso dai miei altri, sebbene avessi già fatto varie sperimentazioni con gli album precedenti: ad esempio, “Carovane” ha visto il coinvolgimento di musicisti indiani come Kansa Banik.
Questa volta volevo fare proprio un omaggio alla musica brasiliana, alla musica latina. Io sono stato a suonare a Rio de Janeiro per parecchio tempo ed era giusto che facessi un disco con questo tipo di suono. Dal vivo questo suono non ci sarà: ci sarà invece il suono del quartetto live, del quartetto jazz, contrabbasso – batteria – tricorno – tromba – percussioni, quindi, insomma, vengono riarrangiate le canzoni.
Il suo esordio è legato al mondo delle colonne sonore. Come si è avvicinato a quel mondo?
Sono state circostanze casuali dovute a un disegno divino, altrimenti non me lo saprei spiegare. In fondo la vita è fatta di coincidenze, e una di queste coincidenze è stata un incontro con un regista nel 1988 che mi aprì una finestra per fare la mia prima colonna sonora: incontrai allora un altro regista di cui non posso fare il nome, Pino Quartullo, e nacque la mia prima colonna sonora, per il film “Quando eravamo repressi”. Mi sono avvicinato al mondo del cinema grazie anche a tante amicizie: penso a Gianmarco Tognazzi, Longoni, Fragrasso, Cappelloni. Ne avrò fatte una dozzina di colonne sonore, non solo, anche una decina di cortometraggi, di partecipazioni in altri film. Su Wikipedia c’è scritto qualcosa… adesso non le ricordo tutte!
Un film che però voglio ricordare è quello con Mimmo Calopresti, “L’abbuffata”. Oltre a lavorare per il cinema, ho lavorato anche per il teatro dal 1999, come musicista e attore, come in “Oggetti smarriti”, spettacolo in cui ho recitato con Giorgia O’Brien, che adesso non c’è più. Da allora ho cominciato a fare anche musica per il teatro: la colonna sonora più significativa degli ultimi anni è quella di “Teresa la ladra”, spettacolo tratto dal libro di Dacia Maraini “Memorie di una ladra”, portato in scena da Mariangela d’Abbraccio. Una sorta di commedia musicale, un monologo di Mariangela con 10 canzoni che ho scritto insieme alla grande scrittrice Dacia Maraini. È una cosa che in pochi sanno, però l’ho fatta.
Nella sua collezione di vinili c’è qualche disco di musica rock? Quale?
La mia discografia rock parte dai dischi dei Genesis, dal primo, “From Genesis to Revelation”, fino a “The Lamb Lies Down on Broadway”, l’ultimo album di Peter Gabriel con i Genesis. E tanto altro rock, ma molta più musica classica alla fine. Sono sempre stato un ascoltatore di musica classica.
Grazie a Sara Sargenti