Si intitola “Arrivano gli alieni” il nuovo album di Stefano Bollani in uscita oggi, venerdì 11 settembre 2015. Un disco, il suo terzo da solista dopo “Smat Smat” (2003) e “Piano solo” (2007), che lo vede nelle vesti inedite di cantante e compositore dei testi e delle musiche, oltre che in quelle abituali di tastierista, di tre dei quindici pezzi inclusi.
Sono, dunque, “Microchip”, “Un viaggio” e la title track “Arrivano gli alieni”, con i loro testi irriverenti ed il consueto carico di virtuosismo strumentale, la vera novità dell’album. “Tre pezzi che mi giravano in testa da pochissimo”, ha raccontato Bollani in conferenza stampa a Milano, “ho anche pensato a un certo punto a chi avrebbe potuto cantarle, non volevo per forza lanciarmi nel magico mondo della vocalità italiana contemporanea, ma in effetti poi i brani non mi sembravano adatti a nessuno, per cui ho pensato che l’unica possibilità fosse che li cantassi io stesso. Però, invece di scrivere un album intero, come si dovrebbe se si volesse fare un vero e proprio esordio da cantautore, mi sono detto che bastavano le tre che avevo scritto, perché mi piacevano e volevo anche che l’album fosse molto variopinto”.
Una varietà garantita dalle scelte strumentali che vanno dal piano solo, al prevalere del timbro liquido e molto 70s del Fender Rhodes, fino ad alcune sovraincisioni di piano e Rhodes: “uno strumento che ho riscoperto negli ultimi anni suonandolo un po’ con i gruppi, ma soprattutto nel disco e in tour con Irene Grandi. È lì che è venuta fuori l’idea del Fender, che io immaginavo sempre in mezzo a un gruppo, non da solo, e invece mi sono divertito a suonarlo, così adesso lo porto sempre quando faccio i concerti. È uno strumento a metà strada tra l’elettronico e l’acustico ed è molto vivo sotto le dita, risponde come un pianoforte e ti permette, come si sente in questo disco, di cantare con una parte della mano destra, accompagnare con la sinistra e inventare anche delle voci interne. Insomma, offre una tavolozza di colori davvero notevole”.
Tavolozza arricchita dall’eterogeneità del bacino da cui sono state pescate le 9 cover, che accanto ai tre brani strumentali firmati da Bollani, “Alleanza”, “Aural” e “Vino Vino”, completano la tracklist di questo lavoro. “Scegliere le canzoni è stato molto semplice, sono andato per esclusione, ho preso tutte le canzoni di tutto il mondo e ho immaginato quelle che non volevo fare e sono rimaste queste”, ha spiegato scherzando. Ci sono, tra il resto, “Quando, Quando, Quando”, “Aquarela do Brasil”, “The Preacher”, “Matilda”, “El Gato”, “Mount Harissa”, tenute insieme dal suono del Rhodes e dall’approccio con cui Bollani si avvicina a questo materiale musicale, “prendendo come spesso faccio una canzone o il ricordo di una canzone e trasfigurandolo per farla diventare qualcos’altro, perché non è detto neanche che io sia innamorato della versione originale, mi innamoro dell’ossatura della canzone, quindi di qualcosa che le sta sotto e che posso scarnificare e rivestire con nuova ciccia”.
Ma quanto è stato difficile scrivere gli inediti? “Molto poco, perché avevo solo me stesso a giudicarmi e io sono molto indulgente con quello che scrivo”. Beh, infondo non è andata poi così male, visto che ci riportano a gente come Bruno Martino e Carosone, “una mia passione da sempre”. E un’influenza che si sente tutta nella partenopea “Microchip“, “un ritrovato dai risvolti raggelanti, se pensiamo che il rischio è quello di far passare l’idea che sia utile avere un umanità piena di questi cosi sottopelle, perché il mondo è pieno di brutture e di violenza. Io penso il contrario, cioè che il mondo non sia pieno di brutture e di violenza, ma sia pieno di paura, una paura che viene raccontata alle persone facendo pensare loro che sarebbe meglio vivere con un microchip”. Un’idea che si ricollega a quella di fondo di “Arrivano gli alieni“, la canzone, “dove il concetto di alieno va presa come metafora di qualcos’altro, quindi ciò che ci può aiutare, quello che ci può salvare viene dall’esterno, in altri termini, quelli che noi chiamiamo alieni, ma che tecnicamente hanno semplicemente una cultura diversa dalla nostra. In fondo la canzone dice che tutto ciò che è altro da noi e che sta per arrivare a visitarci non è detto che lo faccia, come sempre pensiamo, con intenzioni bellicose. Siamo noi che proiettiamo su questi alieni un’idea che è tutta nostra di aggressione, di guerra, di dominio, possesso e avidità, che probabilmente non esiste fuori da questo Pianeta”. Un tema piuttosto attuale!
Insomma, un Bollani in grande spolvero e un po’ alieno a se stesso, che tra marzo e aprile 2016 visiterà il pianeta teatro con la versione rivisitata dello spettacolo “La regina Dada”, di cui è produttore, regista, compositore delle musiche e attore. Nel frattempo in pentola bolle una probabile terza edizione, sempre su Rai3, di “Sostiene Bollani”, nonché una serie di concerti che lo vedranno protagonista di due imperdibili appuntamenti nell’ambito di MITO: il 15 settembre all’Auditorium del Lingotto di Torino, dove eseguirà la “Rhapsody In Blue” di Gershwin insieme all’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta dal Maestro George Pehlivanian e il 16 a Milano, dove presenterà “Arrivano gli alieni” in anteprima nazionale alle Gallerie d’Italia Piazza Scala prima e a seguire al Teatro degli Arcimboldi (tutti i dettagli su www.stefanobollani.com e www.mitosettembremusica.it).