I The Academic sono attualmente in giro per l’Europa per promuovere il loro nuovo disco “Tales From The Backseat” e questa sera suoneranno al Circolo Magnolia di Segrate, alle porte di Milano. Abbiamo avuto la fortuna, a poche ore dall’attesa data milanese, di intercettare la band che ci ha raccontato il suo percorso musicale: dagli esordi fino a oggi.
La vostra storia mi ha davvero incuriosito: come nella migliore delle favole, da un piccolo paesino nel cuore dell’Irlanda al primo posto in classifica con il vostro “Tales From The Backseat”. In Italia non siete ancora così conosciuti, raccontateci un po’ di voi. Chi sono i The Academic?
Siamo Craig (io), Matt, Stephen e Dean. È vero, veniamo da un piccolo paese vicino Mullingar in Irlanda (circa un’ora da Dublino). Ci siamo conosciuti da piccoli: Matt e Stephen sono fratelli, ma siamo tutti andati a scuola insieme e abbiamo deciso di fondare questa band, mossi dalla passione comune per i panini alla piastra e i film di Nicholas Cage. Abbiamo cominciato a suonare insieme nei weekend e dopo la scuola, quando avevamo 12-13 anni. È solo verso i 17-18 che abbiamo iniziato a prenderla sul serio e a dedicarci a tempo pieno.
Per quanto riguarda le vostre influenze musicali, di fondamentale importanza per voi sono stati i The Strokes, con i quali avete avuto l’onore di condividere il palco. Ci sono altri artisti che hanno avuto un impatto decisivo sul vostro sound?
La ragione principale per la quale siamo diventati una band è il sound dei gruppi dei primi 2000: ci hanno fatto venir voglia di prendere in mano una chitarra o di picchiare su una batteria. Band come i Blur, The Killers, Arctic Monkeys hanno avuto una grande influenza su di noi agli inizi ma, crescendo, ci siamo avvicinati anche ad altri generi, ad altra musica, che è diventata un punto di riferimento nelle nostre vite: band come i Beatles, i Beach Boys e The Cars che ci hanno fatto impazzire.
“Tales From The Backseat” sembra nascondere un lavoro molto oculato nella scelta dei brani. Pare che nulla sia lì per caso, pezzi incisivi come “Permanent Vacation”, “Bear Claws” (della quale ho apprezzato tantissimo l’esperimento la Live Looper Version) si fondono alla perfezione con brani più ‘intimi’ come “Northern Boy”. Quanto lavoro si nasconde dietro questo disco d’esordio?
Penso che la parte più difficile nell’ideazione dell’album sia stata decidere quali canzoni tagliare. Abbiamo scritto canzoni da quando abbiamo cominciato e avevamo una lunga lista tra le quali scegliere. Quando siamo andati a registrare, abbiamo sentito che questa raccolta di pezzi doveva avere una certa “consistenza”, dall’inizio alla fine: siamo stati tutti d’accordo che queste tracce costituivano davvero un lavoro corposo e riflettevano quello che eravamo in quel periodo.
Come nascono le vostre canzoni? Attingete molto da quello che vivete e dal vostro background?
Sì, assolutamente, tutte le canzoni sono nate da esperienze personali, ispirate dal posto dal quale veniamo, dai nostri amici, dalle nostre famiglie e da tutto ciò che ci circonda.
Gli ultimi artisti indie rock capaci di trovare terreno fertile in Italia, quantomeno a livello radiofonico, sono stati gli Arctic Monkeys e The Kooks. Non proprio tantissimi. Cosa pensate che il vostro disco abbia da offrire al panorama musicale?
Penso che portiamo tanta energia con la nostra musica e così abbiamo costruito la nostra reputazione come live-band. Non tendiamo a paragonarci ad altre band, ma penso che ci sia un grande pubblico fuori da qui pronto per una nuova guitar-band.
So che, oltre alla musica, vi legano la passione per i film di Nicholas Cage e per i toast. Questo fa di voi non solo una band, ma un gruppo di veri amici. Quanto credete che conti un legame ben cementato in un music business che è sempre più mosso dal denaro e non dai valori?
Facile rispondere: il nostro legame durerà fino alla fine dei tempi. Siamo un gruppo compatto e, avendo due fratelli nella band, ci consideriamo una vera e propria famiglia. Per noi è sempre stato tutto dettato dalla musica.
Questa sera sarete in concerto a Milano, al Circolo Magnolia. Che tipo di rapporto avete con l’Italia? C’è un artista o, magari, una canzone italiana che portate nel cuore?
Siamo stati in Italia una volta sola per aprire il concerto dei Kooks: è stato fantastico. Quel pubblico milanese ci ha trasmesso tanta energia e ci hanno accolto calorosamente, nonostante non fossimo la main band. La nostra relazione con l’Italia è principalmente legata al cibo: amiamo il cibo italiano! La canzone italiana preferita…”Sparring partner”, di Paolo Conte.