I Gaslight Anthem sono tornati in Italia lo scorso 10 novembre, per un unico concerto all’Alcatraz di Milano. Abbiamo incontrato e intervistato Brian Fallon, che ci ha parlato del loro nuovo album “Get Hurt” (leggi qui la recensione), dei concerti, del suo rapporto con i fan, ma soprattutto della letteratura.
Foto copertina a cura di Raffaele Della Pace.
Penso che non sia facile capire “Get Hurt” se non conosci bene la band. Sarebbe banale dire che è un disco intimo solo perché parli della tua vita sentimentale. Anzi, non sono neanche convinto che questo sia il disco più intimo. Credo solo che tu abbia quasi smesso di parlare con malinconia dei “bei vecchi tempi” e iniziato a parlare di sensazioni nel presente. Era questa la tua intenzione?
Sì, sì è così. Pensavo anche che fosse più immediato parlare di qualcosa che non fosse il passato, le persone che mi seguono e ci seguono posso relazionarsi più facilmente ai contenuti e capire a cosa mi riferisco. Mentre parlare del passato potrebbe creare più distacco emotivo con loro. Allo stesso tempo chi non ci conoscere davvero bene potrebbe non avere la giusta percezione. Ci sono pro e contro in entrambi i casi, infatti non so bene di cosa scriverò in futuro. Forse concilierò le due cose.
Non ti comporti come la classica rockstar, dici che preferisci il contatto con i fan nei tuoi concerti, talvolta per capire anche quali brani funzionano meglio. Sei riuscito ad estrapolare una recensione di “Get Hurt” dai concerti che avete tenuto in questo tour fino ad oggi?
Non credo sia facile tirarne fuori una dal tour per ora, perché suoniamo tanti brani vecchi insieme ad alcuni di quelli nuovi. Ci sono anche pezzi che non suonavamo da tanto tempo, o che i fan non hanno neanche mai ascoltato dal vivo. Ed è tutto questo a funzionare bene, piuttosto che il singolo brano, nuovo o vecchio che sia. Abbiamo anche iniziato a portare scalette molto più lunghe. Non ci interessano cose fasulle come gli “encore”, sai, far finta di lasciare il palco e poi tornare… Preferiamo suonare un pezzo in più, solo suonare. Ecco, la gente apprezza molto tutto questo. Quindi non mi sono ancora preoccupato di recensioni o pareri sul disco, perché questi concerti funzionano e i nostri fan si divertono, questa è l’unica recensione che conta davvero.
So che ti piace parlare con i fan durante i concerti…
A volte! (ride)
E – a volte – ti diverti a scherzare con loro o a fare l’occhiolino alle ragazze. Hai mai avuto paura di perdere questa prospettiva diventando più famoso?
No, non credo. Io sono molto più timido di così, ma quando salgo sul palco è come se avessi un’altra personalità. Faccio lo scemo con le ragazze. Scherzo anche coi ragazzi, li prendo un po’ in giro. Penso sia importante far sentire al pubblico che siamo come loro, non siamo più “importanti”. Non mi piacciono le band che salgono sul palco e dicono cose come “URLATE PER ME!”. Oh andiamo, è terribile.
Ma in realtà mi comporto così anche perché sono sempre nervoso, come qualunque persona. E faccio così. Ma questo è il motivo per cui è fantastico essere in una band. Per questo genere di cose. Non perderò questa prospettiva, perché è proprio quello che amo, il resto mi interessa di meno. Abbiamo iniziato da molto giovani, facevamo piccoli concerti punk in luoghi come centri sociali e scantinati. Siamo sempre quella band in fondo. Parlare con i fan permette loro di vedere me come qualcosa di più vero, reale, e viceversa. Mi piace.
Lo vedo! Infatti devo dirti la verità: quando ho letto dei nuovi vip ticket nei vostri concerti ho pensato che fosse strano. Vi è stato proposto? Tu cosa ne pensi?
Sai, hai ragione, in realtà è molto strano per noi. Ci è stato proposto da alcuni nostri amici del music business, ci hanno detto: “dovreste provare questo, alle persone potrebbe piacere”. E noi abbiamo pensato: “ok, proviamo”. Ma adesso sento di fare un sforzo per rendere questi pre-show degni del prezzo che la gente paga, sento di dovergli qualcosa di speciale perché se lo meritano, ma è strano. Mi sono pentito? Non proprio. La cosa mi è piaciuta? Non credo. Lo faremo ancora in futuro? Assolutamente no. Quindi è giusto che sappiate che se vi piace questo genere di cose, beh, è l’ultima volta in cui potrete approfittarne. Preferisco molto di più prendere gli strumenti e andare ad improvvisare un acustico in un negozio di dischi. Ed è gratis, per tutti, ci sono anche bambini che non verrebbero al concerto. O anche un secret show, qualcosa di DAVVERO intimo e molto più divertente. Il soundcheck è bello, ma è esercizio, non merce.
>>Guarda le foto del concerto di Milano del 10 novembre 2104
Nelle vostre canzoni parlate di vecchie radio, della musica in un modo davvero romantico e nostalgico. Come giudichi il music business di oggi e cosa pensi dell’avvento dello streaming e delle copie digitali?
Sai cosa? Non si vendono più molti dischi. Non mi interessa necessariamente come le persone accedono alla musica. Però è fantastico che voi che siete in Italia possiate conoscere magari una band slovacca e scoprire che vi piace. Quando era piccolo era difficile, entravi in un negozio di dischi e pensavi: “mh, magari questo”. E talvolta ti andava male, trovavi un disco terribile, mentre altre volte pescavi bene. E c’era qualcosa di magico in questo perché quando ne trovavi uno buono pensavi “ok, questo è il mio segreto!”. Questo mi ha sempre affascinato, era bellissimo. Ma era anche difficile.
E ora ci sono tantissime band da tutto il mondo che puoi scoprire. Non penso che lo streaming sia una cosa cattiva. Alla fine non è un problema per le band, ma solo per le etichette. Ciò che per me conta è scrivere buone canzoni e soprattutto fare ottimi concerti. Conta solo questo.
Amo i poster dei vostri concerti, quelli con ragazze tatuate, vecchie auto, maschere e cose di questo tipo. Perché non avete mai scelto questo stile anche per le copertine dei vostri album?
Oh.
Quella di “Get Hurt” per esempio ne è incredibilmente distante.
Sì, è vero. Non lo so, non ne sono sicuro. Penso che abbiamo sempre visto i poster come una cosa e le copertine come un’altra. Non fraintendere, amo le cover dei dischi, ma per noi è sempre stata solo una scelta tra alcune proposte che ci venivano fatte. Funziona così, al massimo noi tiriamo fuori un’idea. Ma i poster sono diversi, so che può essere interpretato in modo negativo, ma mi interessano molto di più. Io amo i poster, ho sempre avuto la camera piena di poster, e mi piace che siano specifici per i live che facciamo, che cambino a seconda che ci si esibisca in Europa o in America. Qualcosa di più specifico. Però sì, anche io amo i nostri poster, non so perché le nostre cover non siano così.
Mi chiedevo anche se la letteratura avesse un ruolo preciso nel tuo songwriting e nella tua ispirazione.
Oh sì, soprattutto adesso. A partire da “Get Hurt” in particolare ho iniziato a leggere moltissimi libri. Recentemente ho iniziato a leggere autori greci, italiani. Sto leggendo Dante, ma temo non faccia per me. Leggo molte poesie francesi anche, non so perché mi piacciano così tanto. Mi piace molto Rimbaud.
Con la letteratura ho un approccio diverso rispetto alla musica. Con la musica se ascolti qualcosa che ti piace puoi pensare di scrivere qualcosa di simile magari, o di parlare di quegli stessi argomenti. Ma da un libro assorbi molte più cose di quello che puoi percepire, ti ispira in maniera diversa. Quindi le prossime canzoni che scriverò saranno molto più… Seicentesche? (Ride) Non so.
In realtà ti ho posto questa domanda perché vedo una chiara connessione tra i Galisght Anthem e la Beat Generation, solo che non ti sento mai parlare di questo, non lo leggo mai nelle tue interviste. Sono io che mi sbaglio?
No no, non ti sbagli. Questo è esattamente quello che io voglio essere. Se mi chiedi chi o cosa sono, chi o cosa vorrei essere, ti risponderei questo. Proprio come quel gruppo di autori, Kerouac, Ginsberg, Carr, anche io ho un gruppo di amici con i quali parlo di poesia, di cosa e come scriviamo, di quali libri leggiamo. In realtà non parliamo neanche molto di musica, ne parliamo nel senso letterario. Sai, Leonard Coehn ad esempio. Come se nient’altro avesse importanza, si tratta solo di libri, di viaggi, di esperienze. Bevi un caffè e dici “dai, andiamo in Russia, facciamo esperienze e scriviamo di questo”. Questo essere folli, stare svegli fino a tardi. Questo è come vedo l’intero processo. Sì, ci hai preso, mi sento molto vicino a questi autori.
Adoro il tuo modo di raccontare storie attraverso le tue canzoni. Hai mai pensato di scrivere qualcosa che non fosse una canzone? Magari un romanzo…
SI! L’ho appena pensato. Vorrei scrivere un libro di poesie, ma anche un libro che parli di cosa vuol dire essere in una band. Dire alle persone come funziona l’industria musicale, cosa è vero di quello che dicono e cosa non lo è. Però vorrei DAVVERO scrivere un libro di poesie. Solo che devo lavorarci ancora un po’. Come quando inizi a suonare la chitarra, hai bisogno di esercitarti prima di poter tirare fuori quello che hai dentro. Ho bisogno di tempo, ma sono su questa strada. Anche come musicista per me le parole sono più importanti della musica stessa. Finito “Get Hurt” ho già iniziato a scrivere qualcosa per il prossimo album, ma sono solo testi per adesso. Perché la musica ce l’ho già, la conosco, so farla. Se trovi le parole giuste, la musica arriva. In questo momento le parole per me sono più importanti.
Per concludere, una curiosità: lo scorso anno hai invitato Ryan Gosling a unirsi alla band per il tour. Ha mai risposto?
(Ride) Sì, ma non lui in persona, il suo manager. Mi ha risposto che non sta più lavorando con la sua band al momento, sta lavorando ai suoi film. Credo che il disco dei Dead Man’s Bones sia davvero interessante.
Lo è davvero, è stata una sorpresa pazzesca!
Proprio così! So che lui vuole essere un attore, ed è davvero un grande attore, ma a me quello non interessa. Non mi interessa Ryan Gosling come celebrità, penso solo che la sua band sia buona, buona davvero, per questo mi piacerebbe suonare con lui. Peccato, noi comunque suoneremo snippet dei loro brani. Quasi nessuno li conosce, ma qualcuno come te apprezzerà.